Parole nuove

arcobaleno ad assisi imagelargeASSISI, 1. La tavola rotonda «Le parole nuove dell’ecumenismo: ecumenismo ricettivo, discernimento, mutua affidabilità» è stata ieri al centro dei lavori della Sessione di formazione ecumenica organizzata dal 26 luglio al 1° agosto ad Assisi dal Segretariato attività ecumeniche (Sae). L’incontro è stato aperto dall’intervento di dom Lambert Vos, benedettino belga, priore del monastero di Chevetogne (fondato nel 1925 da dom Lambert Beauduin per operare a favore dell’unità dei cristiani) e direttore della rivista «Irénikon».
Vos, che nel maggio scorso a Bose ha conosciuto la presidente del Sae, Marianita Montresor, ha espresso interesse per il tema («In cammino verso un nuovo ecumenismo») e per l’impostazione generale del Segretariato, ossia il dialogo ecumenico a partire dal dialogo ebraico-cristiano. Panaghiotis Ar. Yfantis, dell’Università «Aristotele» di Salonicco e dell’Istituto di studi ecumenici «San Bernardino» di Venezia, ha evidenziato che «l’ortodossia riconosce la tradizione come un elemento permanente ed essenziale della sua identità e testimonianza». Il pastore Fulvio Ferrario, decano della Facoltà valdese di teologia di Roma, si è chiesto il perché «siamo alla ricerca di “parole nuove” dell’ecumenismo ». Forse, ha tentato di rispondere, alcune di quelle “vecchie” appaiono, al momento, «fuori portata ». La reciproca affidabilità-responsabilità (mutual accontability) delle Chiese — ha sottolineato invece Placido Sgroi, vice preside dell’Istituto di studi ecumenici «San Bernardino » — è un concetto che, pur apparso già negli anni Novanta del secolo scorso, «all’interno del linguaggio ecumenico mantiene intatto il suo carattere attuale, in parte perché esso ha un carattere pratico, che richiede una messa in atto, quindi un processo di concreta acquisizione, in parte perché tale “attitudine” non è certamente ancora stata raggiunta». Parlare di “mutua affidabilità” come “attitudine” significa «indicare una proprietà di relazione di questa espressione. L’attitudine è qualcosa che esprime il legame che le Chiese hanno l’una con l’altra e, insieme, con la Chiesa di Gesù Cristo, che tutte ritengono di rappresentare». Temi delicati come l’etica sessuale e l’ordinazione delle donne — ha detto ancora Sgroi — fanno riscontro ai limiti della “mutua affidabilità”: «Ma questo non porta a rinunciare al suo tratto profetico, quanto piuttosto a chiedere a ciascuna Chiesa di interrogare il proprio inconscio collettivo, per individuare quelle zone d’ombra che le impediscono di vedere nell’altra Chiesa una manifestazione del volto di Cristo, e quindi per purificare il proprio sguardo». Giovedì, durante una meditazione, padre Gabriel Codrea, prete ortodosso romeno, ha osservato che la celebrazione dei vespri ortodossi offre spunti importanti per un cammino ecumenico delle Chiese. Essi «sono una vera guida spirituale», innanzitutto perché «ci portano agli occhi della fede la “riscop erta” in adorazione e ringraziamento di un mondo creato e donato da Dio». Sempre giovedì il pastore Ferrario, durante la celebrazione del culto di Santa Cena, parlando della comunità protestante, aveva detto che essa «deve stare bene attenta a non voler essere più protestante di Dio, vivendo di una dottrina della parola anziché della parola, di un principio scritturale anziché della Scrittura. Dio vuole compiere la sua opera mediante la nostra testimonianza e questo, per l’evangelo, è anzitutto un fatto». Mai però «questo messaggio lieto può essere separato dalla possibilità che Gesù, spietatamente, evoca: se il sale diventa insipido, è un rifiuto e viene trattato come tale. Guai se la luce finisce sotto il tavolo ».

© Osservatore Romano - 2 agosto 2015