La diversità (culturale, etnica e religiosa) è da sempre uno dei motivi di orgoglio del liberismo nord americano ed è anche il risultato di una storia del tutto peculiare. Secondo Daniel Cox, direttore del Public Religion Research Institute, la crescita della diversità potrebbe però contribuire a diminuire l’interesse dei cittadini Usa verso la religione. “Si è sempre sostenuto che la vitalità religiosa dell’America si basi proprio sulla diversità delle fedi – ha scritto Cox recentemente -. Una maggiore concorrenza tra i luoghi di culto, contribuirebbe a far crescere una cultura religiosa più vibrante. Tuttavia, nuove prove suggeriscono che il pluralismo religioso potrebbe lavorare nella direzione opposta, minando la vitalità stessa delle comunità religiose americane”.

Cox sa bene che non si tratta di un dibattito nuovo. Nel suo lungo articolo pubblicato sul blog “Fivethirtyeight”, tuttavia, esprime una preoccupazione inedita e mette insieme alcuni dati più aggiornati e sufficientemente significativi. “Il panorama religioso americano si sta trasformando rapidamente.

Un tempo, la diversità religiosa significava prendere in considerazione anche battisti, metodisti e episcopali. Oggi invece convivono una molteplicità di tradizioni religiose, come Sikh, Buddhismo, Islam e Induismo, e una crescente varietà di sistemi di credenze non istituzionali, come l’umanesimo, lo scetticismo, l’ateismo e la spiritualità soggettiva.

L’evoluzione demografica (razziale ed etnica) negli Usa, inoltre, ha cambiato il volto del cristianesimo. L’America era una volta un paese cristiano, prevalentemente bianco ma oggi meno della metà degli americani (45 per  cento) si identificano nella comunità dei bianchi cristiani”. Secondo la lunga analisi di Cox, l’effetto più concreto della crescente diversità religiosa è quello di esporre gli americani a idee e a punti di vista che potrebbero mettere in discussione le credenze religiose.
Un recente sondaggio ha rilevato che il 77 per cento degli americani sono a conoscenza di qualcuno che è non religioso, il 61 per cento conosce qualcuno che è ebreo e il 38 per cento conosce qualcuno che è musulmano. Il moltiplicarsi delle fedi all’interno delle reti relazionali degli americani ha spinto il legislatore a smorzare alcuni obblighi legati alle norme religiose per non creare spaccature o mancanza di coesione all’interno delle comunità, al lavoro come nelle zone di residenza. La pressione sociale di conseguenza è diminuita e, a differenza del passato, praticare o meno un culto religioso non è più un fattore discriminante per la vita sociale. Cox, però, punta il dito su un altro dato.

Gli americani che fanno registrare una maggiore diversità religiosa nelle loro reti sociali dimostrano di avere meno impegno per le attività religiose.

Secondo gli studi compiuti dal Public Religion Research Institute, il 63 per cento degli americani che vivono in network fortemente caratterizzati da diversità religiosa, partecipano raramente (o mai) a funzioni religiose, Nelle comunità più coese dal punto di vista religioso, i praticanti “distratti” scendono ad un terzo (32 per cento). Cox non lo scrive nel suo articolo ma i due dati potrebbero essere letti in entrambe le direzioni. Chi pratica poco sceglie comunità più variegate. Resta però il dato di un’analisi che non lascia dubbi. La convivenza di più fedi si “sposa” con lo scarso interesse per la religione. Il problema diventa più chiaro nei matrimoni “misti”. Secondo i dati esposti da Cox, il 60 per cento delle persone cresciute in famiglie di una sola religione dice di partecipare con regolarità alle funzioni religiose.
Nelle famiglie dove invece i genitori non hanno la stessa fede, il livello di partecipazione scende al 40 per cento. “La religione organizzata non è mai stata in pericolo di estinzione a causa di un singolo evento traumatico – commenta lo stesso Cox -. Sono invece molte sfide che si accumulano senza risposta a produrre il maggior rischio. La diversità religiosa quindi potrebbe non rappresentare una minaccia drammatica alla religione, ma può rappresentare un altro piccolo foro in una nave che affonda già”.