All’attenzione dei padri durante la terza congregazione generale. Cristiani perseguitati e migranti L'Osservatore Romano

congregazione 245bb87fc694473d4ef6610929dd3535I giovani devono evangelizzare i giovani. Devono essere cioè protagonisti dell’annuncio evangelico con la testimonianza di vita e non solo con la parola. È l’indicazione scaturita dalla terza congregazione generale, svoltasi giovedì pomeriggio, 4 ottobre, alla presenza del Papa, che ha preso brevemente la parola durante il tempo dedicato agli interventi liberi. Hanno partecipato alla sessione 253 padri. A introdurre il tema dei lavori — la prima parte dell’Instrumentum laboris — è stato il presidente delegato di turno, il cardinale Désiré Tsarahazana. Venti i padri sinodali intervenuti come da programma e altrettanti gli interventi liberi. Nel dibattito si è fatto riferimento ai cristiani mediorientali che hanno dovuto abbandonare le loro case pur di non rinnegare la propria fede e a quelli uccisi per lo stesso motivo. Uno dei padri sinodali, parlando di quanto avvenuto nel suo paese, ha denunciato che ci sono stati oltre milleduecento cristiani ammazzati, dei quali un vescovo e cinque sacerdoti. Ha poi fatto notare che è stata la liturgia ad aver salvato molti fedeli nei momenti tragici della persecuzione. Ciò non ha comunque impedito alla Chiesa di incoraggiare i giovani a impegnarsi per un mondo migliore, perché il messaggio di salvezza giungesse a tutti i loro coetanei. A questo proposito, è stata lanciata la proposta di istituire un Pontificio consiglio dedicato proprio ai giovani.
Oltre a quello dei perseguitati per la fede, i padri sinodali hanno anche evocato il dramma dei ragazzi e delle ragazze che hanno vissuto in prima persona la guerra, di quelli che non hanno lavoro, di quanti diventano vittime della cultura dello scarto e a volte anche della tratta di esseri umani. Un pensiero è andato pure a chi è costretto a emigrare in cerca di condizioni migliori di vita e di un lavoro. Numerosi sono i problemi che incontrano i giovani che lasciano la propria patria: in particolare delicata è la situazione delle donne che devono lavorare per sostenere economicamente le famiglie di origine. Spesso si tratta di persone senza istruzione o formazione professionale. Da qui l’invito ad aprire le chiese a questa generazione di immigrati per renderli più partecipi della vita ecclesiale.
A questo proposito, è emersa la raccomandazione a non cedere alla tentazione dell’attivismo e a lavorare per far capire ai giovani il valore della preghiera e della contemplazione, soprattutto affinché scoprano la loro vocazione nel mondo. Perché le nuove generazioni hanno una dimensione profetica. Infatti, nonostante le numerose difficoltà, riescono a mantenere il vigore della loro fede. La Chiesa deve perciò offrire loro una solida formazione spirituale, pastorale e intellettuale. Da qui la proposta di accompagnarli nel processo di maturità umana e spirituale attraverso l’incontro personale con Cristo, spronandoli alla carità verso il prossimo e incoraggiandoli a una vita virtuosa sull’esempio dei santi giovani.
Uno dei padri ha anche osservato che la maggior parte delle comunità parrocchiali non è adatta ai giovani. Un altro ha evidenziato che vescovi e sacerdoti non hanno tempo di dedicarsi alle nuove generazioni, perché troppo presi dal disbrigo delle pratiche burocratiche e amministrative. È stato poi fatto notare che l’ascolto è un problema teologico e non pedagogico, e la Chiesa dunque deve essere empatica, cioè accorciare le distanze con un atteggiamento non clericale né ipocrita o paternalista. Senza dimenticare che al fondamento della “teologia dello scarto” c’è il principio che le pietre scartate sono “pietre d’angolo”.
L'Osservatore Romano, 6-7 ottobre 2018.