Georgia, tra il Papa e il Patriarca nessuna “preghiera comune”

georgia preti ortodossiIl Vescovo di Roma e Ilia II non pregheranno insieme in pubblico. Era accaduto lo stesso durante la visita di Papa Wojtyla nella Repubblica ex sovietica. La Chiesa ortodossa georgiana continua a vivere con disagio il cammino ecumenico. E Papa Francesco tiene presenti e rispetta le difficoltà vissute da tante Chiese dell’Ortodossia, messe sotto stress da quelli che il Metropolita Ioannis Zizioulas ha definito «talebani ortodossi»
Roma

Si saluteranno cordialmente. Pronunceranno l’uno davanti all’altro discorsi pieni di affetto e cortesia. Il primo ottobre a Mtskheta, nella cattedrale patriarcale di Svétitskhovéli, accenderanno insieme le candele. Ma tra il Patriarca Ilia II e Papa Francesco, nella sua prossima visita in Georgia, non è prevista nessuna preghiera da recitare insieme. Fonti del Patriarcato ortodosso georgiano, rilanciate dall’agenzia austriaca Khatpress, hanno voluto ribadirlo apertis verbis, a pochi giorni dal’arrivo del Vescovo di Roma. Il Papa sarà accolto secondo la «tradizione di ospitalità» attribuita alla Chiesa georgiana, con il riguardo dovuto a un «Capo di Stato». Ma le differenze dottrinali con la Chiesa cattolica – fanno sapere da Tbilisi – non consentono al Patriarca di pregare in pubblico insieme al Papa.  

 In realtà, le considerazioni fatte filtrare dal Patriarcato ortodosso di Georgia non destano sorprese in chi ha presente la realtà dell’Ortodossia georgiana, e tantomeno nei Palazzi vaticani: nel programma del viaggio, diffuso dalla Sala Stampa vaticana lo scorso 12 settembre, non figura nessun momento di preghiera da condividere in pubblico tra Ilia e Francesco.  

 La Chiesa ortodossa di Georgia è nota per la sua interpretazione rigorista dei canoni della propria tradizione ecclesiale, che da sempre rende tormentato il suo rapporto con il movimento ecumenico e con le stesse Chiese sorelle dell’Ortodossia. La sua adesione precoce – già nel 1948 – al Consiglio Ecumenico delle Chiese (CEC) si spiega solo col fatto che quell’organismo a quel tempo costituiva per i suoi rappresentanti un’opportunità preziosa per uscire dalla Cortina di Ferro e comunicare con le Chiese ortodosse del mondo intero. Ma già dall’assemblea di Vancouver, nel 1983, gli ortodossi georgiani hanno sospeso ogni partecipazione attiva alle iniziative del CEC, e poi sono usciti del tutto da quella rete di Chiese e comunità ecclesiali. Hanno anche disertato il Concilio pan-ortodosso celebrato a Creta nel giugno 2016. Hanno invece preso parte alla sessione della Commissione mista di dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa svoltasi a Chieti dal 15 al 22 settembre: lì hanno anche sottoscritto il documento su primato e sinodalità approvato all’unanimità alla fine dei lavori, ma hanno preteso – suscitando qualche perplessità anche tra rappresentanti delle altre Chiese ortodosse - che nel comunicato steso alla fine della sessione fosse inserito un riferimento al «disaccordo» da essi manifestato su alcuni punti del testo approvato.  

  Le reazione ingessata dell’Ortodossia georgiana davanti al cammino ecumenico aveva segnato anche la visita papale compiuta in Georgia da Giovanni Paolo II nel novembre 1999. Anche quella volta, tra il Papa e il Patriarca, non ci fu nessuna preghiera condivisa. Allora, il collante della visita del Papa fu ancora l’enfasi sul post ’89 e sulla caduta del Muro di Berlino, di cui si celebrava proprio in quei giorni il decennale. Ad accogliere il Papa polacco c’era l’allora Presidente georgiano Eduard Shevardnadze, che nella fase terminale dell’Unione Sovietica era stato ministro degli esteri di Mikhail Gorbaciov. Tutta la visita papale si era svolta nell’atmosfera celebrativa di quel fatto politico, che Papa Wojtyla definì in quel viaggio «risultato di circostanze straordinarie» ed «evento che ha simbolicamente aperto una nuova era nella vita di molti Paesi». Lo stesso Shevardnadze aveva voluto fortemente la visita del Papa come passaggio obbligato della sua strategia politica di avvicinamento all’Occidente. E perfino il Patriarca Ilia, nel suo saluto a Giovanni Paolo II, aveva definito la visita papale «un grande avvenimento politico». 

 Il contesto in cui avviene la visita in Georgia di papa Francesco è molto diverso. L’amicizia fraterna tra il Papa e il Patriarca ecumenico Bartolomeo, insieme al suo incontro a Cuba con il Patriarca russo Kirill, sono solo i segni più manifesti della sollecitudine che anima la Chiesa cattolica nel cammino verso il ripristino della piena comunione con le Chiese ortodosse. Un cammino da fare insieme, senza forzare il passo o esercitare pressioni. Senza pretendere di imporre scenografie liturgiche per accontentare l’ingordigia di photo opportunity di Istagram.  

Papa Francesco conosce e rispetta le difficoltà vissute da tante Chiese ortodosse, messe sotto stress da quelli che il Metropolita Ioannis Zizioulas, massimo teologo cristiano vivente, ha definito «talebani ortodossi»: gruppi organizzati e rumorosi, che snaturano il richiamo alla fede ortodossa in ideologia identitaria, sempre pronti ad accusare di alto tradimento i Patriarchi, i vescovi e i teologi più disposti a riconoscere e vivere l’unità in Cristo di tutti i battezzati. Per questo ci vuole pazienza. Per aspettare tutti e non lasciare indietro nessuno, nel cammino che nessuno può fare da solo, senza il “lavoro” dello Spirito.  

©   .lastampa.it/2016/09/24