I cristiani cercano di ritornare nei loro villaggi - Speranze per la Chiesa in Iraq

cristiani speranzaBAGHDAD, 6. "In un paese dove siamo abituati a tante cattive notizie, il fatto che sia stata inaugurata e dedicata una nuova chiesa è un grande segno di speranza»: è quanto ha dichiarato l’arcivescovo Alberto Ortega Martín, nunzio apostolico in Giordania e in Iraq in merito alla consacrazione della chiesa dedicata ai Santi Pietro e Paolo a Erbil, in Iraq. Secondo il presule, la consacrazione della chiesa è senza dubbio una buona notizia. «Tra l’altro — ha ricordato monsignor Ortega Martin — è una chiesa che si trova ad Ankawa, un quartiere cristiano della città di Erbil, la capitale del Kurdistan iracheno. Si tratta di una zona dove ci sono parecchi cristiani e in particolare parecchi rifugiati cristiani: tanti di loro potranno partecipare così più facilmente alle attività della chiesa, alla messa e alle celebrazioni. È un edificio molto grande e bello. È un bel gesto che dimostra che la Chiesa continua, ha vitalità e che si va avanti nonostante le difficoltà». Questa nuova chiesa per i cristiani iracheni ha un grande significato. «In Iraq — ha dichiarato il nunzio apostolico a Radio vaticana — il tema del martirio si vive molto da vicino perché qui i cristiani, anche per loro diretta esperienza, sanno cosa siano le difficoltà e persino le persecuzioni. E tanti di loro hanno perso tutto per mantenere la fede. Avere allora come patroni della chiesa questi grandi santi, che hanno dato la vita per il Signore, senz’altro per i cristiani d’Iraq è un grande incoraggiamento ed esempio». E proprio durante la messa nella nuova chiesa, il patriarca di Babilonia dei Caldei, Louis Raphaël I Sako ha esorato e incoraggiato tutti i cristiani a rimanere nel proprio paese, a essere una presenza buona in Iraq nonostante le difficoltà. «L’inaugurazione di una nuova chiesa — ha spiegato l’arcivescovo Ortega Martin — dà tanta speranza alla gente: la invita a vivere la fede che è ciò che può permetterle di continuare la propria missione. L’importante è che i cristiani, come diceva anche il patriarca, rimangano attaccati alla fede e alla loro terra, alla loro patria, continuando nonostante le difficoltà a fornire quel contributo prezioso che possono dare per il bene non soltanto della Chiesa, ma anche dell’intera società. In molti vogliono rientrare nei loro villaggi che sono stati liberati: adesso si deve pensare a ricostruire». A Erbil, la situazione sta lentamente tornando alla normalità. «In alcuni posti che sono stati già liberati, dove la situazione è più tranquilla e forse le case erano meno danneggiate, molte famiglie sono rientrate. C’è un villaggio caldeo che si chiama Telleshkof, vicino ad Alqosh, dove ci sono oltre 600 famiglie cristiane già rientrate: questo è un grande segno di speranza. In altri — ha proseguito il nunzio apostolico — si sta continuando il lavoro di ricostruzione: ci vorrà del tempo, ma io spero e auspico che si possa rientrare a poco a poco in tutti i villaggi». Nonostante l’impegno della comunità internazionale e dell’esercito iracheno, molte famiglie cristiane vivono nell’angoscia di ulteriori violenze e persecuzioni. Secondo l’arcivescovo c’è ancora preoccupazione, «nel senso che tutti vorremmo un ritorno più veloce, ma servirà ancora un po’ di pazienza. Spero che presto ci siano le condizioni per poter rientrare. Intanto, però quelli che rimangono sfollati continuano a ricevere l’aiuto da parte di tutta la Chiesa per poter continuare a stare là, col desiderio di poter rientrare a casa quanto prima». Infine, monsignor Ortega Martin ha ricordato un particolare momento dell’inaugurazione della nuova chiesa di Erbil. «Il giorno dopo la consacrazione della chiesa ho partecipato alle prime comunioni nella chiesa di San Giuseppe con l’arcivescovo di Erbil dei Caldei, monsignor Bashar Matti Warda. C’erano una quarantina di bambini ed è stata una celebrazione molto bella. Ho visto come hanno partecipato, come hanno seguito la liturgia che non è facilissima, come hanno saputo le risposte e come hanno cantato, con gioia e fiducia: sono tornato con questa immagine negli occhi — di questi bambini che saranno i cristiani di domani — dicendo che, grazie a Dio, c’è tanta speranza per la Chiesa».

© Osservatore Romano 7.7.2017