Rientrano i profughi iracheni · Per la ricostruzione tornano anche numerosi cristiani ·

ritorno profughiIl 33 per cento dei cristiani iracheni fuggiti dalla guerra e dai jihadisti del sedicente stato islamico (Is) — quasi 30.000 persone — è tornato alle proprie case negli ultimi mesi. E in generale nel paese, per la prima volta da quando, nel 2014, l’Is ha occupato ampie fette di territorio, il numero degli sfollati interni tornati nei luoghi da cui sono dovuti fuggire ha superato quello di coloro che sono ospitati nei campi profughi del governo. Secondo i dati dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) in Iraq, a inizio anno, 3,22 milioni di sfollati interni risultano rientrati nelle proprie abitazioni, mentre 2,61 milioni di persone si trovano ancora in rifugi di fortuna. Il mese scorso il primo ministro iracheno, Haidar Al Abadi, ha proclamato la vittoria dell’esercito sull’Is.

Nella martoriata valle di Ninive, si trova il numero più alto di cristiani. È ancora impensabile però il rientro nella città di Mosul, liberata ma ancora lontana dalla normalità. La percentuale più alta di famiglie cristiane che stanno faticosamente cercando di riprendere la propria vita si trova nel villaggio di Teleskuf: il 67 per cento. E qui è stata riconsacrata e riaperta al culto la chiesa cattolica.

Anche a Qaraqosh il numero di cristiani ritornati è consistente: circa 2500 persone, ovvero la metà di tutta la popolazione del villaggio, che ha sempre avuto solo un cinque per cento di abitanti non cristiani. Qaraqosh è stata in particolare simbolo della cristianità quando, a inizio conflitto, hanno cominciato ad affluire nel villaggio tanti cristiani in pericolo in altre zone. Anche da qui, tuttavia, sono poi cominciate le fughe in massa.

La fondazione Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs) sta raccogliendo fondi per sostenere la ricostruzione in tutte queste località e anche a Batnaya, un altro centro cittadino praticamente raso al suolo, che ancora si presenta con un’atmosfera spettrale, a eccezione dei cantieri appena aperti per 520 case.

In questi anni, la maggior parte dei cristiani si sono rifugiati soprattutto a Erbil e a Duhok, nel Kurdistan. Altri sono arrivati nei paesi vicini. Solo una piccolissima minoranza ha raggiunto località fuori del contesto regionale.

Certamente non si tratta di un processo facile, riferiscono ancora le fonti. Diverse città e villaggi sono distrutti o pesantemente danneggiati e mancano di servizi di base. Alcune strade sono inservibili. E durante il triennio di violenze, molte case sono state occupate da altri. Risulta che il venti per cento delle famiglie irachene non dispone più dei documenti di proprietà dei propri immobili e, in diversi casi, i registri pubblici che potrebbero risolvere le dispute sono andati perduti.

© Osservatore Romano   5.1.2018