Dove la pace è un cantiere aperto · L’episcopato austriaco si è riunito in assemblea in Bosnia ed Erzegovina in segno di solidarietà con un paese martoriato ·

guerra e pace«La pace piena e giusta non regna ancora nella Bosnia ed Erzegovina a causa delle tensioni e della mancanza di fiducia che mettono in pericolo la convivenza pacifica»: è quanto affermano i vescovi austriaci e i loro confratelli del paese balcanico nella

dichiarazione congiunta firmata ieri dai membri delle due conferenze episcopali alla fine della plenaria dei presuli austriaci, svoltasi dal 5 all’8 marzo a Sarajevo. Per la prima volta, infatti, i lavori dell’episcopato austriaco si sono tenuti nel paese balcanico con l’intento di affrontare insieme le «sfide della Chiesa e della società in entrambe le nazioni», mettendo così anche in evidenza le forti difficoltà vissute dalla comunità cattolica locale.

L’appello dei presuli austriaci ai responsabili politici della Bosnia ed Erzegovina e alla comunità internazionale è dunque di «promuovere il rispetto dei diritti umani e delle libertà di tutti i membri della società, trattando in maniera uguale i tre popoli che vivono in questa terra». I vescovi inoltre esprimono il loro appoggio per l’integrazione europea di Sarajevo. Nel documento si legge che «dopo gli incontri effettuati con le autorità politiche e i capi delle comunità religiose, i vescovi austriaci si impegnano a rimanere vicini al popolo del paese balcanico e a rendersi messaggeri della drammatica situazione che i cattolici stanno vivendo in molte parti della Bosnia ed Erzegovina».

Sempre i presuli austriaci affermano che svolgere la loro plenaria a Sarajevo è stato segno di «unità per la Chiesa bosniaca e quella austriaca, legate da una storia comune e da numerosi contatti negli anni». Secondo i vescovi della Bosnia ed Erzegovina, la presenza dei confratelli austriaci è «espressione di solidarietà nei confronti dei bisognosi che ancora soffrono dalle conseguenze della guerra, nonché un segnale per i giovani che da tanti anni decidono di lasciare il paese, andando nell’Europa occidentale e anche in Austria».

©    © Osservatore Romano   10.3.2018