Oro, gemme e seta

basilica nativita minidi Fabrizio Bisconti

Proprio in questi giorni, è stata data la notizia dell’avanzamento dei cantieri di restauro e dello stato degli studi relativi alla basilica della Natività in Betlemme, una delle memorie monumentali più suggestive e stratificate della Terra Santa, sorta già in età costantiniana. Di quella prima fase monumentale, come ebbe modo di constatare padre Bellarmino Bagatti, in uno storico articolo degli esordi degli anni Cinquanta del secolo scorso, consacrato agli «antichi edifici sacri di Betlemme», poco è rimasto, ma quel poco lascia ipotizzare una struttura complessa a pianta longitudinale, distinta in cinque navate da una vera e propria foresta di colonne, preceduta daun nartece e da un ampio quadriportico, mentre la testata dell’edificio proponeva un singolare organismo ottagonale, che monumentalizzava la Grotta della Natività. Padre Bagatti, che, assieme a padre Virgilio Corbo, che ci ha lasciato lo studio più dettagliato del Santo Sepolcro, e a padre Michele Piccirillo, fortunato scopritore di molte basiliche della Giordania, pur adottando metodi archeologici atipici, rispetto agli scavi stratigrafici, che rappresentano l’avanguardia della ricerca scientifica, riuscì a far dialogare le “reliquie monumentali” del Tempio della Natività con le fonti letterarie, inaugurando una lunga e felice stagione di un’archeologia biblica, pensata e messa in atto dall’autorevole e vivacissimo Istituto Biblico Francescano di Gerusalemme.
D’altra parte, la formazione archeologica di padre Bagatti proveniva anche dai corsi che aveva seguito presso il Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana di Roma che, proprio negli anni Cinquanta, proponeva come maestri riconosciuti padre Antonio Ferrua, Enrico Josi e un giovanissimo Pasquale Testini. Ebbene, Bagatti riuscì a collegare quei resti, tanto provati quanto intermittenti per ricostruire lo sviluppo icnografico dell’edificio di culto, a un rapido passaggio dell’itinerario del pellegrino anonimo di Bordeaux che, già nella prima metà del iv secolo, tra il 333 e il 334, ci ricorda che per «coloro che da Gerusalemme vanno verso Betlemme, al quarto miglio, sulla strada, a destra, c’è il sepolcro dove fu deposta Rachele, la moglie di Giacobbe. Di là, verso sinistra, a due miglia c’è Betlemme. Dove nacque il Signore Gesù Cristo è stata costruita una chiesa per ordine di Costantino» (Itinerario Burdigalense, 598). Ma la vera ispiratrice della monumentalizzazione della sacra grotta sembra la madre di Costantino, Elena, che molto dovette contribuire alla ricerca dei luoghi santi e all’invenzione della vera croce che, come è noto, portò in forma di reliquia anche nella vecchia Roma, nel cuore del Sessorium, dove si innalzò, non lontano dalla cattedrale lateranense, la basilica di Santa Croce in Gerusalemme, detta anche Jerusalem. Elena, dunque, come riferisce Eusebio di Cesarea, «ornò con magnifiche strutture il ricordo del parto della Madre di Dio, avendo cura di far risplendere in ogni maniera la grotta della Natività e, poco dopo, l’imperatore arricchì lo stesso monumento con doni regali, aggiungendo alla liberalità di sua madre dei vasi d’oro e d’argento» (Vita di Costantino, 3, 42-43). Negli ultimi anni del iv secolo, sulla scia dei viaggi effettuati in Terra Santa dalle matrone romane dell’entourage legato a san Girolamo, la “pellegrina eccellente” Egeria, forse una religiosa, forse una nobildonna, proveniente presumibilmente dalla Galizia, descrive, con dovizia di particolari, il monumento-memoria della Nascita di Cristo: «L’ornamento della chiesa di Betlemme, nel giorno dell’Epifania, è superfluo descriverlo: all’infuori di oro, gemme e seta non vedi altro. Se guardi le cortine sono listate, anch’esse, d’oro e di seta. E cosa devo dire, poi, della decorazione dell’edificio stesso, che Costantino, insieme a sua madre, secondo le proprie ingenti risorse, impreziosì proprio con oro, mosaici e marmi preziosi?» (Peregrinatio Eteriae 25,42). Rari appaiono i resti della fondazione costantiniana, se facciamo eccezione per alcuni lacerti musivi del pavimento con motivi geometrici e fitomorfi. Una vera e propria rifondazione dell’edificio viene effettuata ai tempi di Giustiniano, negli anni centrali del vi secolo, in seguito ai gravi danneggiamenti subiti dal tempio, dovuti a una rivolta dei samaritani, come testimoniano il patriarca Eutichio di Alessandria e il patriarca Sofronio di Gerusalemme. Tale ricostruzione monumentale doveva comportare anche decorazioni musive iconiche, se durante il Concilio di Gerusalemme dell’836, durante la seconda grave stagione della lotta iconoclasta, viene evocata l’ammirazione per la rappresentazione dei Magi da parte dei Persiani, che si arrestarono dinanzi alle figure dei loro antenati. Ma il momento determinante per la configurazione definitiva della basilica della Natività deve essere collocata nel pieno Medioevo, al tempo delle crociate, quando l’intero edificio fu decorato con lastre marmoree e con un prezioso ciclo musivo, che può essere riferito al xii secolo. Ebbene, nell’ambiente triconco — che era stato sovrapposto nella fase bizantina all’ottagono costantiniano — e nelle pareti laterali scorrevano le raffigurazioni musive della Vergine con il figlio, di Davide, di Abramo, della Pentecoste, della Dormitio Virginis, della presentazione al Tempio, dell’Annunciazione, recuperando scene e cicli di edifici mariani del passato, dal santuario sistino di santa Maria Maggiore alla basilica eufrasiana di Parenzo. Ma nel palinsesto musivo apparivano anche le indicazioni figurate e iscritte dei concili più significativi: da quello di Cartagine del 254 a quello di Nicea del 787.

© Osservatore Romano - 5 febbraio 2016