Sotto la guida di Giuseppe · La fuga in Egitto nell’arte ·

Arcabas fuga in egitto«La base canonica scritturale della fuga in Egitto è tanto esigua che la potente eco dell’arte suona quasi assordante; è tale risonanza che speriamo di aver fatto sentire» scrivono François Boespflug ed Emanuela Fogliadini a conclusione del libro che hanno dedicato a un episodio della vita di Gesù di cui

la Scrittura in realtà ci dice pochissimo, La fuga in Egitto nell’arte d’Oriente e d’Occidente (Milano, Jaca Book, 2017, pagine 160, euro 20).

Un viaggio menzionato esplicitamente solo in uno dei quattro Vangeli, quello di Matteo, e quasi completamente ignorato dalla riflessione teologica dei primi secoli cristiani. Non a caso, spiegano gli autori, è uno dei rari eventi del ciclo dell’infanzia di Cristo che non è stato celebrato dauna festa nel calendario liturgico, tranne quello della Chiesa ortodossa copta, tra cui figura come “le piccole feste di Cristo” rinominata Ingresso della Sacra Famiglia in Egitto e celebrata il 24 del mese copto di Pakhons, corrispondente al primo giugno del calendario gregoriano, e dalla Chiesa ortodossa Tewahedo d’Etiopia. Il numero di opere d’arte che questo episodio ha suscitato, invece, è davvero grandissimo.

La fuga in Egitto non è un concetto teologico o liturgico, non è un sacramento né un rito, non è nemmeno un evento ben circoscritto nel tempo in quanto occupa mesi o persino anni, ma è un tema ramificato, con una forte risonanza emotiva, che riecheggia altre “fughe” della Bibbia. Ci mostra una Santa Famiglia in cammino e vulnerabile, e il fatto che anche il Figlio di Dio abbia dovuto affrontare un lungo viaggio in un paese straniero può confortare chi oggi vive la stessa esperienza, nota monsignor Silvano Tomasi, segretario delegato del dicastero Servizio per lo sviluppo umano integrale nella prefazione al volume: si calcola che, in tutto il mondo, 250 milioni di persone vivono e lavorano in un paese diverso da quello in cui sono nate. Tra le opere riprodotte e commentate nel libro — da Tiepolo a Georges Rouault, da Renato Guttuso a François-Xavier de Boissoudy, senza dimenticare la miniatura e la scultura medievale — spicca un’opera di Arcabas, molto dolce e poetica ma anche molto meno naïf di quello che può sembrare a un primo sguardo. La sua Fuga in Egitto, infatti, è insieme un omaggio a Tiepolo e una originale rilettura della figura di Giuseppe. Il gruppo è già a bordo — asino compreso — della barca che permetterà loro di attraversare un fiume, verosimilmente il Nilo. I passeggeri si stagliano su uno sfondo color oro, il traghettatore spinge la barca con un palo, gesto che evoca, come in Tiepolo, i gondolieri veneziani.

L’asino è immerso nella tranquilla contemplazione dello sciabordio dell’acqua mentre Maria guarda verso l’orizzonte dove è dipinta una croce tozza (una sorta di firma del pittore francese). Molto originale è la figura di Giuseppe, un gigante azzurro che avvolge in un abbraccio protettivo ma appena accennato Madre e Figlio. Gli occhi sovrapposti “alla Picasso” intensificano il suo sguardo e fanno capire a chi contempla l’immagine che il suo ruolo è guidare, custodire e proteggere. C’è una grande armonia nel dipinto, «si respira la speranza — scrivono Boespflug e Fogliadini — che Giuseppe sembra indicare con la mano e che le piccole braccia tese di Gesù annunciano. Il Bambino è vestito come la Madre: tra i due c’è una profonda intimità e tenerezza. Gli sguardi del barcaiolo e dell’asino, rivolti verso l’acqua, contrastano con quelli della Santa Famiglia, indirizzati verso un orizzonte che, anche se non si vede fisicamente, si percepisce misticamente».

© Osservatore Romano    5.1.2018