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Il dialogo tra le religioni per la pace nel Libano

Beirut, 13. Quella del dialogo e della ricerca di un compromesso ragionevole rimane per il Libano l'unica strada da imboccare per non ricadere nel baratro di una nuova e sanguinosa guerra civile. Benedetto XVI con il suo appello di domenica 11 "ad abbandonare ogni logica di contrapposizione aggressiva" si è fatto interprete della preoccupazione e dell'impegno dell'intera comunità cristiana.
Il patriarca di Antiochia dei Maronita Nasrallah Sfeir, impegnato in un lungo viaggio internazionale che lo porterà nei prossimi giorni negli Stati Uniti per incontrare il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon e il presidente degli Usa George W. Bush, tramite il quotidiano "L'Orient le Jour" ha lanciato un appello ai libanesi "affinché ricordino i fatti del 1990 che hanno provocato centinaia di feriti e morti e gravi distruzioni". Per questo, ha aggiunto "dobbiamo imparare dal passato". In queste ore nel Paese dei cedri regna un clima carico di tensione dopo che nei giorni scorsi le milizie sciite di Hezbollah hanno occupato le strade Beirut ovest in risposta al tentativo del governo di Fouad Siniora di piegare la loro forza militare, parallela all'esercito. E sembra nuovamente divenuta un miraggio la convivenza tra diverse etnie e religioni che per secoli ha rappresentato la più grande ricchezza del Paese.
Il patriarca ha quindi sottolineato che "alla luce della gravità della situazione facciamo appello a tutti i partiti perché evitino di mettere a rischio la vita dei cittadini o i loro beni. Li invitiamo a tornare al tavolo di dialogo - ha aggiunto - per trovare una soluzione che sia accettata da tutte le parti, in modo da permettere al Libano di beneficiare nuovamente di un clima  di  pace,  sicurezza  e  tranquillità".
Nei giorni scorsi, al momento della partenza da Beirut, Sfeir aveva anche sostenuto che "se i libanesi non riescono a ristabilire la sovranità dello Stato e la sicurezza, le Nazioni Unite potrebbero prendere le misure necessarie a tali scopi. Certo alcuni non apprezzeranno questo discorso e noi speriamo che i libanesi prendano in mano il loro destino, a condizione che abbandonino gli odi personali e che apprezzino i vantaggi che trarrà il Paese dal ristabilimento della sua indipendenza e da rispetto che gli verranno per la sua sovranità e per la ritrovata stabilità".
Quanto alla questione fondamentale della elezione del presidente della Repubblica, il patriarca ha rinnovato l'appello ai parlamentari ad "assumere le loro responsabilità", e ha messo in guardia contro eventuali violazioni della Costituzione. "La Costituzione - ha detto - prevede che il presidente sia eletto nel corso di una seduta nella quale siano presenti i due terzi dei deputati. Se il presidente ottenesse i due terzi dei voti sarebbe perfetto, ma può essere eletto anche dalla maggioranza assoluta. Ma se la Camera si riunisse senza che si raggiunga il quorum delle presenze, sarebbe una violazione della Costituzione".
Forte preoccupazione per le sorti del Paese è stata espressa anche dall'arcivescovo maronita Béchara Raï di Jbeil, il quale in una dichiarazione rilanciata da "Catholic News Service" ha sottolineato come "in Libano non tutti vogliono la guerra. Stiamo insistendo perché i leader politici cristiani si dimostrino saggi ed evitino di partecipare a questo scontro armato. Noi chiediamo loro di fare tutto il possibile per conciliare pacificamente i due gruppi".



(©L'Osservatore Romano - 14 maggio 2008)