Cammino di Chiesa

papa francesco porziuncolaPubblichiamo stralci della lettera pastorale del vescovo di Assisi - Nocera Umbra - Gualdo Tadino.

di DOMENICO SORRENTINO

La provvidenza sempre ci accompagna e spesso ci sorprende. Chi avrebbe potuto prevedere che, per l’VIII centenario del perdono di Assisi, avremmo avuto un papa di nome Francesco? E come indovinare che questo anniversario sarebbe caduto nell’anno dedicato alla misericordia?
Sono circostanze che destano stupore e fanno intuire un disegno di Dio. Al mio predecessore Teobaldo, nel 1310, toccò confermare, contro voci critiche, l’indulgenza della Porziuncola che Francesco aveva ottenuto da Papa Onorio III. A me forse tocca spiegarne il senso e l’attualità. Vivo, in vescovado, tra le onde di grazia generate dallo Spirito di Dio nel giovane Francesco, quando, sotto gli occhi del vescovo Guido, si spogliò di tutto per conformarsi a Cristo. Nel luogo dove si commemora l’evento si ammira il dipinto che lo ricorda, mentre dirimpetto è di scena proprio la Porziuncola, nell’atto della consegna che i benedettini ne fanno a Francesco. Nel centro della sala, poi, campeggia il Perdono di Assisi, con il volto radioso del santo, mentre implora l’indulgenza dal Redentore per intercessione della Beata Vergine. Mi pare di scorgere un filo fra le diverse scene. Francesco, che ha rinunciato ai tesori della terra, distribuisce a piene mani i tesori del cielo. E mentre il dio-denaro ha scompaginato la sua famiglia carnale, una cappella povera e disadorna accoglie e plasma la sua famiglia spirituale. «Non più padre Pietro di Bernardone, ma Padre nostro che sei nei cieli»: dalla spogliazione all’indulgenza della Porziuncola corre il cammino di un uomo trasfigurato. Trasfigurato per trasfigurare: dando la notizia del «perdono», il 2 agosto 1216, Francesco esclamò: «Io vi voglio mandare tutti in paradiso!». La Porziuncola diveniva una porta del cielo. Aperta soprattutto per i semplici e poveri. Casa dove la presenza di Dio si percepisce come una carezza e le pietre hanno il calore di un grembo materno. Che cosa avrà sentito, Francesco, in questo luogo, a lui caro più di ogni altro? Possiamo supporre che qui egli si abbandonasse al dialogo con la Trinità, cullato dalle braccia della Madre. In questa piccola chiesa egli accolse la consacrazione di Chiara, sua «pianticella», e radunò i compagni che si univano a lui, per farne delle fraternità in missione per il mondo. Indulgenza, dunque. Di che cosa si tratta? È parola connessa al perdono: perdono speciale, perdono sovrabbondante. Perdono profondo e pieno. Che cosa aggiunge a tutto questo l’indulgenza? Per comprenderlo occorre riflettere sulla situazione spirituale in cui il peccato ci getta. Il peccato lascia in noi delle «scorie» dolorose. La teologia ne parla in termini di «pena». Se siamo sinceramente pentiti, possiamo sempre contare sulla misericordia. Ma il peccato non è solo una colpa da perdonare. È anche una malattia dell’anima. Chi non vede che, anche dopo aver ottenuto il perdono, i peccati lasciano in noi inclinazioni malsane, che ci spingono a ricadere negli stessi errori? Il peccato porta la pena di se stesso! Il sacramento del perdono pone rimedio a un aspetto fondamentale di questa pena: la separazione da Dio (per i peccati gravi) o l’allontanamento da Lui (per i peccati veniali). Restano per lo più da vincere i residui della malattia. Se non li curiamo in vita, sarà necessario farlo dopo la morte, in purgatorio. In funzione di questa «cura», nell’antica maniera di celebrare il sacramento della riconciliazione, che registrò diverse fasi e forme, erano previsti atti gravosi di penitenza. Col tempo si affermò una diversa pedagogia: una sorta di cura «intensiva» della misericordia, che, sulla base del perdono sacramentale ottenuto col pentimento sincero e il proposito di vita nuova, consiste nell’implorazione ecclesiale, dunque non solo individuale, di una grazia ulteriore che spinga a una risposta sempre più profonda all’a m o re di Dio. Nasce così l’attuale prassi dell’indulgenza. Così concepita, espande in noi l’efficacia del perdono sacramentale, favorendo un’apertura a Dio così profonda, da disporre il nostro cuore all’incontro definitivo con Lui. Ogni assoluzione sacramentale stimola ed esige un’ulteriore crescita spirituale, di cui è espressione la stessa «penitenza» che il confessore ci dà. Ma quanta fatica e incertezza, da parte nostra! Come non sentire il bisogno di una grazia speciale, che ci consenta di realizzare questa totale guarigione del cuore? Ecco la grazia dell’indulgenza! Essa non è uno «sconto» sui nostri doveri: tutt’altro! È piuttosto un’energia interiore con cui lo Spirito Santo dà nuova forza al nostro impegno, liberandoci dai residui delle colpe già perdonate. Alla fatica di combattere tali residui la Chiesa si riferisce parlando di «pena temporale», per distinguerla dalla «pena eterna» — l’Inferno! — che il peccatore stesso si infligge quando, liberamente e definitivamente, alla maniera di Satana, si indurisce nel male e rifiuta il perdono di Dio. È una grazia, quella dell’indulgenza, da implorare con umile e fiduciosa preghiera. Da Onorio III, che concesse questo dono alla Porziuncola, a Papa Francesco, che viene a visitarla per ricevere egli stesso questo dono, brilla in Porziuncola il servizio del successore di Pietro all’unità e alla santità della Chiesa. Gesù non cessa di onorare la sua promessa. L’indulgenza è pura grazia. Nel dialogo ecumenico dobbiamo rassicurare i fratelli protestanti di questa nostra convinzione. Nessun’opera, da parte nostra, la potrebbe meritare. È dono gratuito di Dio attraverso la mediazione della Chiesa, corpo e sposa di Cristo, che quasi si concentra, con ardente implorazione, nel ministero del successore di Pietro, presentando al Padre i meriti infiniti del Redentore, uniti a quelli che da Lui scaturiscono nella Vergine Maria e in tutti i santi. Dio chiama, l’uomo risponde. Nessuna magia o automatismo. Di qui le condizioni che la Chiesa pone: pentimento, confessione dei peccati, Eucaristia, preghiere e gesti come la visita alla Porziuncola. La condizione più esigente ed importante è l’impegno a contrastare qualunque attaccamento al peccato, anche quello veniale. È bello farne esperienza in Porziuncola. È bello sentire tra le sue mura l’eco della santità e della fraternità che generazioni di fedeli hanno sperimentato sulle orme di Francesco. La «comunione dei santi» si esprime, nell’indulgenza, anche come progetto di vita. La misericordia si fa dono vicendevole. Si fa carico persino dei defunti, ai quali l’indulgenza può essere applicata a mo’ di suffragio, quale aiuto alla loro purificazione. Un aspetto da non trascurare, nell’implorare l’indulgenza, è la preghiera secondo le intenzioni del Santo Padre. È provvidenziale che, in questo anno della misericordia, Papa Francesco abbia scelto di venire alla Porziuncola, pellegrino tra i pellegrini. Lo accogliamo con gioia. Preghiamo per lui. E come non sentirlo, ad Assisi, particolarmente caro, quasi doppiamente «nostro», quale primo Papa che porta il nome del nostro Santo? Da non dimenticare infine la solidarietà. L’indulgenza fu per Francesco anche un regalo per la gente più umile e priva di mezzi. Francesco chiese al Papa un’indulgenza «senza obolo». A misura dunque dei nullatenenti! Anche con la Porziuncola egli si faceva difensore e custode dei poveri. Questa cappella a lui cara porta inscritto il suo ideale, rilanciato da Papa Francesco: «Una Chiesa povera e per i poveri ». Ricevendo, in Porziuncola, l’indulgenza, si percepisce che essa dilata il cuore. Ci spinge a rimboccarci le maniche per costruire un mondo più giusto, fraterno, accogliente. Un mondo di pace. «Vi voglio mandare tutti in paradiso!». Pensava, Francesco, solo all’aldilà? Al contrario: credo volesse condividere con tutti il paradiso che aveva dentro. Se stiamo in grazia di Dio, siamo già, in qualche modo, in paradiso. Ma sperimentarlo pienamente in questa vita implica una sintonia con lo Spirito Santo che, quando non è interrotta dalla colpa grave, è per lo più disturbata dalle nostre fragilità. L’indulgenza, posto il perdono sacramentale, mira a sviluppare questa sintonia. Riceverla in Porziuncola è un po’ come lasciarci curare in un singolare «ambulatorio », in cui Gesù toglie da noi il «cuore di pietra» e ci dona un «cuore di carne»: il suo stesso cuore! «Paradiso! Paradiso!», hanno esclamato tanti santi. L’indulgenza è uno squarcio di cielo. È una risposta al bisogno di gioia del nostro cuore. Gesù, e solo Gesù, ne conosce il segreto. Non manchiamo, in quest’anno speciale, l’appuntamento con la gioia. Vogliate pregare, per favore, anche per me.

© Osservatore Romano - 3 agosto 2016