Teologia dell’agape

i fratelli di taize durante la preghieradi GIOVANNI ZAVATTA
Una teologia del cuore, dell’agape, che vede la divisione della Chiesa come un dramma; l’unità della Chiesa come «questione di vita o di morte» per la missione cristiana; e la parola «solidarietà» da affermare in tutte le sue declinazioni, contro il tribalismo, il confessionalismo. Sono solo alcuni degli aspetti del pensiero teologico di fratel Roger, fondatore della comunità di Taizé, emersi nella prima giornata del seminario internazionale cominciato ieri nel paesino della Borgogna. «È la lotta contro il “confessionalismo”, qualunque sia, che determina, segna — ha detto il teologo Gottfried Hammann nella sua relazione — l’impegno “teologico” ed ecclesiale di Taizé.
Una teologia che ne è la fonte e l’anima da sempre». Seconda guerra mondiale, casa, giovani: tre “cose” fondamentali che hanno caratterizzato l’esperienza ecclesiologica di fratel Roger, utili, spiega ancora Hammann, per comprendere appieno la sua lotta per l’unità della Chiesa, il suo progetto per la riconciliazione. Riconciliazione che parte da una maison dove «sostare e costruire l’esistenza in una comunità di vita avec ses frères prima di vivere la Chiesa in pellegrinaggio »; una casa dove accogliere i giovani in cerca di vita e di senso, «giovani alla ricerca di unità umana al posto del campo di battaglia e dell’odio fratricida». Fratel Roger — ha concluso il relatore — visse un itinerario originale di uomo di fede e di Chiesa, «in grado di situarsi, grazie alla sua lotta, al di là delle separazioni confessionali, pregiudizievoli non solo sul piano dottrinale ma soprattutto e principalmente sul piano pratico della vita dei credenti di ogni confessione». Una «questione di vita o di morte »: in queste parole — ha detto nel suo intervento la teologa Silvia Scatena — «credo possa essere efficacemente sintetizzato il senso dell’urgenza che ha connotato la peculiare traiettoria ecumenica di fratel Roger e, con essa, quella di una comunità protesa nello sforzo “di restare davanti a Dio per giungere all’unità di tutti in una sola Chiesa”, come segno anticipatore dell’unità futura capace di sostenere la speranza dei cristiani. Un senso dell’urgenza connesso essenzialmente all’evidenza e all’immediatezza di due consapevolezze che costantemente hanno abitato fratel Roger: che, se l’unità era qualcosa di voluto dal Cristo, essa doveva poter essere vissuta senza tardare; che essa rappresentava quindi la precondizione indispensabile della ricerca di un’unità più universale, giacché la Chiesa, “nel cuore di Dio, è vasta quanto l’umanità”». L’intuizione fondamentale lasciata in consegna dal fondatore di Taizé è quella di «un ecumenismo da intendersi realisticamente come necessario cammino in avanti, che chiede agli altri e accetta per sé i passi e le purificazioni possibili, come dépassement di ciascuno che può costare sacrifici e una certa forzatura delle proprie tradizioni per obbedienza all’appello più forte all’unità da parte del Cristo». Cercatore di una riconciliazione che comincia anzitutto dal cuore — conclude Scatena — «l’esperienza di quel che restava irrealizzabile, soprattutto dal punto di vista istituzionale, non arresterà mai in fratel Roger “la spinta verso la Chiesa, una, santa, cattolica”, verso quella pienezza dell’unità che il Cristo vuole». Al seminario teologico internazionale in corso a Taizé è intervenuto anche l’arcivescovo Rowan Williams, già primate della Comunione anglicana: «L’esistenza, la realtà della comunità di Taizé è stata voluta come protesta contro un ecumenismo senza speranza, vale a dire un ecumenismo che ostinatamente discute, negozia, ma che è privo di una visione d’insieme, di ciò che può essere compiuto» anche attraverso — ha osservato Williams sottolineando «le similarità» fra l’opera di fratel Roger e l’esortazione apostolica di Papa Francesco Evangelii gaudium — la realtà tangibile di «persone che vivono in solidarietà come comunità e che esprimono questa solidarietà con i giovani, gli individui emarginati, i poveri della terra. Un segno attuale, la Chiesa qui e ora, che si materializza a ogni celebrazione della santa eucaristia. Una unità, una cattolicità che non è solamente un’idea, un programma, un orizzonte lontano, ma ciò che avviene qui e ora». Per il vescovo ortodosso Andrej Ćilerdžić, il messaggio di amore e di pace di Taizé «ci sprona a cercare il vero significato della vita, senza temere i sacrifici necessari per raggiungerlo». Fratel Roger, con la sua comunità monastica, «era consapevole dei suoi limiti, di non avere le risposte ai problemi del mondo; il suo desiderio era semplicemente quello di accompagnare tutti coloro che erano alla ricerca di una realtà essenziale. Dietro i mali dell’umanità contemporanea vedeva sempre risplendere qualcosa, Dio creatore che ci chiede di essere co-creatori con lui. Roger resta voce contemporanea della nostra coscienza, e i grandi problemi del genere umano nel mondo ci spingeranno sempre a ricordarci dei suoi saggi consigli».

© Osservatore Romano - 2 settembre 2015