L’avvicinarsi del referendum convocato per il 23 giugno, giorno in cui la Gran Bretagna deciderà se restare nell’Unione europea oppure uscirne, suscita moltissima attenzione nel Continente perché l’esito del voto avrà certamente un forte impatto non solo sui rapporti futuri tra il regno di Elisabetta e gli altri 27 Stati membri, ma anche sull’avvenire della stessa Ue che di conseguenza potrebbe essere “rifondata” o “riformulata”. Ricadute altrettanti rilevanti si misurerebbero sui Paesi dell’Europa sud-orientale, rimasti fino a oggi fuori dai confini dell’Unione, pur essendo tutti sulla strada del processo di adesione.
La vittoria dell’opzione Brexit dovrà dimostrare se la volontà dei britannici di lasciare l’Unione porterà l’auspicato miglioramento. E questo anche dopo le ulteriori concessioni a Londra da parte del Consiglio europeo richieste dal primo ministro David Cameron, con tutte le condizioni e i diritti che ne derivano, senza citare quelli già esistenti (come per esempio l’essere fuori dall’Unione monetaria o dagli accordi di Schengen relativi all’apertura delle frontiere interne).

L’uscita della Gran Bretagna dall’Unione potrebbe rappresentare negli altri Paesi membri un forte impulso alle tendenze euroscettiche

che hanno appena avuto un evidente successo nel primo turno delle elezioni presidenziali austriache. Euroscetticismo che è presente, pur con diverse gradazioni, in tutti gli altri Paesi dell’Unione. Al contempo, però, un tale esito potrebbe dare una nuova spinta agli sforzi interni all’Ue atti a ”riassettare” il sistema politico ed economico esistente, per renderlo più funzionale e più integrato, il che presupporrebbe la chiara e convincente intenzione di fare dell’Unione una vera “casa comune” e sempre meno una mera comunità di ”vicini di casa” in cui i più piccoli e gli ultimi arrivati non si sentono a proprio agio.
La regione europea in cui in questo delicato momento storico – segnato dai postumi della crisi economica e dalla recente crisi migratoria e dalla lotta contro il terrorismo islamista in ascesa – le conseguenze della possibile uscita del Regno Unito dall’Unione potrebbero dimostrarsi particolarmente pesanti è senza dubbio quella dell’Europa sud-orientale. Nei Balcani – rimasti ancora in gran parte fuori dai confini dell’Ue – si spera ancora che il “sogno europeo” non sia interrotto prima ancora di farvi ingresso. Le forze politiche dominanti nei sei Paesi dei Balcani occidentali (Albania, Bosnia-Erzegovina, Kosovo, Montenegro, ex Repubblica Jugoslava di Macedonia e Serbia), pur non essendo ancora parte integrante dell’Unione, cercano in qualunque modo di far intendere ai vertici dell’Ue di essere pronte a

impegnarsi affinché tali Stati non rimangano un “ghetto” isolato nel cuore dell’Europa.

Nel secondo dopoguerra tali Paesi hanno attraversato una lunga e difficile esperienza, segnata da regimi non democratici, senza riforme del sistema economico e sociale; dopo il 1989 si sono quindi verificate devastanti guerre civili tra le varie etnie e nazionalità, con il discutibile passaggio delle proprietà statali nelle mani di tycoons e politici locali, culminando poi con la dissoluzione della ex-Jugoslavia…
Oggi questi Paesi sono tutti in cammino verso l’Unione europea, e la vittoria della “opzione Brexit” non farebbe che incoraggiare le forze antieuropee contrarie all’integrazione. Come si potrebbe infatti spiegare a questi popoli il reale benessere derivante dal far parte dell’Ue alla luce del fatto che un suo “storico” componente decida di lasciare la “casa comune”? Si percepirebbe piuttosto un senso di fallimento del progetto stesso dell’Unione, allontanando l’opinione pubblica balcanica dall’Ue. Uno scenario che certo non farebbe bene al percorso di pacificazione, dialogo, riforme e ammodernamento faticosamente avviato nei Balcani.

©  http://agensir.it/europa/2016/04/27