INTERVISTA CON P. CONSTANTIN SIMON VICE-RETTORE DEL PONTIFICIO ISTITUTO ORIENTALE

Padre Simon, da quanto tempo è al Pontificio Istituto Orientale?

Sono arrivato qui come studente nel 1978, e insegno dal 1986; in mezzo ho anche studiato Filologia slava e balcanica a Monaco di Baviera. Da oltre 20 anni quindi insegno storia slava e storia russa; all'inizio mi avevano chiamato per insegnare storia balcanica, poi il docente di storia russa p. Krajcar si ammalò e il rettore di allora, p. Piovesana, mi chiese di sostituirlo.


Lei ha continuato il lavoro di illustri docenti; si può parlare di “scuola storica” del PIO?Io avevo iniziato con padre Michal Lacko, con il quale avevo iniziato a scrivere la tesi di dottorato, che ho poi difeso dopo averla conclusa sotto la direzione di p. Krajcar; secondo relatore era p. Olšer. Quindi effettivamente ho preso il testimone dai rappresentanti di un’ottima scuola, cominciata prima da p. Amann e p. Sakač, e che anche oggi è composta da un gruppo di docenti di notevole qualità e serietà accademica. Come si colloca la sezione storica nella Facoltà di Scienze Ecclesiastiche?La sezione storica è sempre stata la più piccola, nel senso di quella con il minor numero di studenti rispetto alla teologia e alla liturgia; d’altra parte ha sempre fatto valere la sua importanza, perché senza la storia non si comprende bene né la teologia, né la liturgia. È sempre esistita come sezione autonoma, ma è quella che collega tutte le altre discipline, la patristica, la dogmatica, i riti e i sacramenti… tutto parte dalle fondamenta storiche, quindi c’è sempre stato uno scambio intenso e fruttuoso tra le sezioni. Certo, l’ideale sarebbe costituire una vera e propria facoltà di storia a sé stante, e il momento sarebbe adatto: come gruppo di docenti siamo in un certo senso la sezione attualmente più forte della facoltà, con almeno 4 o 5 docenti di primo livello, mentre per esempio la sezione liturgica attualmente è un po’ debole, non trova i ricambi ai grandi liturgisti che ha avuto nei precedenti decenni. Come si è evoluto l’insegnamento della storia russa negli ultimi vent’anni?Abbiamo sempre un numero limitato di studenti, essendo un settore molto specifico, ma l’insegnamento è molto cambiato e si è molto arricchito: oggi abbiamo molti più materiali, nella Russia moderna escono molte pubblicazioni storiche, si mettono in comune testi e ricerche che ai tempi del comunismo erano totalmente proibiti: la storia era una delle scienze più pesantemente sottoposte alla censura. Oggi c’è un accesso diretto alle fonti russe, prima ci accontentavamo di testi come quello di Smodič, tra l’altro scritto in tedesco, e poco altro. Oggi è un lavoro di ricerca e riflessione in continua evoluzione. Oltre alle fonti, si aprono molti spazi di collaborazione.Questo è per noi oggi l’aspetto più interessante e più fecondo: c’è una grande collaborazione con vescovi, centri di ricerca, istituti accademici di ogni orientamento, e soprattutto ortodossi. Il rapporto più importante è quello con l’università ortodossa di San Tichon, con la quale è in atto un importante scambio di visite e di interessi, loro sono venuti da noi in febbraio, quando abbiamo anche tenuto l’importante conferenza storico-filosofica sui cento anni della raccolta Vechi, noi andremo da loro in ottobre. La cosa è particolarmente sorprendente se si pensa che l’università di San Tichon è considerata uno dei centri più “conservatori” e severi del mondo ortodosso russo, mentre con noi si sono rivelati molto disponibili e vicini in un approccio serio e profondo di studio e di collaborazione. È una linea vincente che speriamo abbia sempre più spazio nelle relazioni tra cattolici e ortodossi russi, soprattutto dopo la nomina del nuovo patriarca Kirill, che noi del PIO conosciamo bene da tanto tempo; ricordo benissimo la visita di Kirill al Russicum nel 1986, quando pranzò con noi e assistette alla nostra liturgia, e colle conoscere tutti i professori e gli studenti. Del resto abbiamo sempre avuto rapporti con tante istituzioni ortodosse, anche fuori dalla Russia, come l’Istituto S. Sergio di Parigi, con cui certamente collaboreremo anche in futuro, e speriamo in contatti sempre più numerosi e più frequenti; di recente, per esempio, abbiamo incontrato l’arcivescovo di Samara. Queste relazioni ci permettono di rivedere insieme tanti giudizi, anche su questioni controverse del passato e del presente, e di comprendere meglio il punto di vista l’uno dell’altro. Io ho sempre cercato di capire il punto di vista degli ortodossi su tante questioni difficili e delicate, su cui anche oggi bisogna lavorare molto. Ha accennato al Russicum; lei è il principale storico del Russicum.In effetti ho già pubblicato alcune parti, e tra poco uscirà una storia completa del Russicum in 600 pagine, dopo un lavoro lungo e faticoso, in quanto i materiali d’archivio sono piuttosto sparsi e disordinati. Nel libro si troverà la storia dell’apostolato russo dagli inizi degli anni Trenta fino al periodo del rettore p. Mailleux negli anni Settanta; quest’ultimo è stato, a mio parere, il rettore più capace, che ha saputo cogliere nel modo giusto i cambiamenti del tempo, iniziando un approccio di apertura che ha dato all’apostolato russo il suo significato corretto. È stato il primo a invitare i russi ortodossi a studiare a Roma, grazie al rapporto con il metropolita Nikodim di Leningrado, di cui l’attuale patriarca Kirill è il principale discepolo; al Russicum vennero studenti che hanno poi occupato posti di grande responsabilità nella Chiesa Ortodossa Russa, come l’attuale metropolita Juvenalij di Krutickij e Kolomna, capo del Dipartimento Teologico del Patriarcato, o l’esarca di Kiev e dell’Ucraina, il metropolita Vladimir. Lo scopo iniziale del Russicum, infatti, si era rivelato fallimentare: la speranza di convertire la Russia al cattolicesimo non ha prodotto alcun risultato, nonostante gli sforzi di personalità controverse, ma abbastanza aperte come lo stesso D’Herbigny. Era l’impostazione di Pio XI e dei vertici vaticani del tempo, che non aveva gli strumenti per capire veramente la Russia, mentre dopo le aperture del post-concilio il Russicum è diventato un importante luogo d’incontro ed è stato veramente molto utile, soprattutto nell’ultimo ventennio, dopo la perestrojka gorbacioviana con tutti i cambiamenti anche nella politica religiosa. In questo senso credo che il Russicum sia di grande utilità anche oggi, così come il programma di studi russi del PIO; è un’impostazione che abbiamo cercato di potenziare negli ultimi anni sotto i rettorati di Vall e Vasil’, e certamente continuerà anche con il nuovo rettore, non solo nelle relazioni con i russi, ma con tutti gli slavi e gli europei dell’Est, slovacchi, ucraini, romeni e altri. Come vede il futuro del PIO, soprattutto dopo la nomina di p. Vasil’ alla Congregazione?Ovviamente molto dipenderà dalla personalità del nuovo rettore che verrà, che troverà comunque un ambiente ben preparato dopo l’ottima guida di p. Cyril, oggi arcivescovo, che è il primo rettore nato e cresciuto nel rito orientale, ma senza le titubanze tipiche degli orientali cattolici e molto aperto e leale con le Chiese Ortodosse, cosa che non sempre è avvenuta nei rapporti tra ortodossi e cattolici orientali. Abbiamo avuto e abbiamo attualmente diversi studenti ortodossi di buon livello, che hanno prodotto molte licenze e dottorati, e godiamo quindi della fiducia di tanti vescovi, che apprezzano la preparazione che gli studenti ricevono da noi. Questo è stato facilitato anche dall’impostazione data dal Decano p. Farrugia, che permette agli studenti di scrivere i dottorati anche in lingua russa. Allo stesso tempo siamo riusciti a mantenere un clima molto familiare, che è tipico della tradizione del PIO e delle sue dimensioni (che pure sono cresciute notevolmente negli ultimi dieci-quindici anni), per cui c’è un rapporto intenso di conoscenza e fiducia reciproca tra studenti e docenti, che non è facile da trovare nelle altre università romane. Nel prossimo futuro potremo contare anche su nuovi docenti che si stanno preparando, come il portoghese p. Fernando per la liturgia, che speriamo possa proseguire l’opera del p. Arranz, quindi ci sono buone prospettive anche in tema di ricambio generazionale. Come valuta le aperture del PIO all’esterno, anche grazie all’Associazione degli Amici?

È una dimensione importante e necessaria, ed è una vecchia questione aperta: l’apertura agli studenti laici che non hanno il baccellierato in teologia. Io penso da sempre che per gli studi storici la teologia non è strettamente necessaria, e che sia importante ammettere studenti laici, che spesso sono ancora più interessati e motivati degli ecclesiastici: questi ultimi infatti “devono” completare gli studi, i laici che vengono da noi sono spinti invece da un’attenzione specifica e una volontà maggiore di approfondire le nostre materie, e spesso risultano essere tra i migliori studenti, anche se abbiamo molti buoni studenti tra gli ecclesiastici. È importante trovare il modo di superare le difficoltà, e rendere il PIO molto più disponibile al dialogo non solo interconfessionale e interreligioso, ma con tutto il mondo della cultura e della società.

Intervista raccolta da Stefano Caprio

p. Constantin Simon sj intervista audio
durata 21 minuti circa

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