La vita dopo la morte

risen 4 miniGERUSALEMME, 17. «Anche ai tempi nostri non è raro vedere quanto l’irruzione del Vangelo sappia generare situazioni in cui ci si espone alla sofferenza, alla solitudine e al rifiuto. Dai primi martiri fino a oggi, il Vangelo causa divisione e rifiuto. Pensiamo, ad esempio, ai tanti nostri fratelli cristiani ancora oggi perseguitati per il solo fatto di essere cristiani, cioè di Cristo, nel Medio oriente, in Asia, in Africa e in tante località conosciute e meno».
È uno dei passaggi più significativi della meditazione sul Vangelo di domenica 14 agosto (il celebre passo di Luca, 12, 49-53), offerta dall’arcivescovo eletto Pierbattista Pizzaballa, amministratore apostolico di Gerusalemme dei Latini. «“D’ora in poi”, dice Gesù. E dicendolo esprime la coscienza forte di chi sa che la sua venuta nel mondo genera come uno spartiacque, per cui è evidente che c’è un tempo che si conclude e un altro che si apre. C’è un prima e c’è un poi», spiega il presule. D’ora in poi. «Cosa vuol dire Gesù? Evidentemente i problemi, le divisioni, le incomprensioni c’erano già prima che lui venisse, anzi sembrano accompagnare l’uomo fin dall’inizio del suo cammino sulla terra. Tutto questo c’era già, e non è questa la novità portata da Gesù. Quello che Gesù vuol dire è che la sua venuta non solo non elimina la divisione, ma anzi ne crea una nuova, più profonda, capace di raggiungere ciascuno fin nei suoi legami più intimi e sicuri, quelli familiari. Perché dentro una stessa famiglia — osserva — potrà accadere che per qualcuno il Vangelo sarà la cosa più preziosa, e per altri lo stesso Vangelo sarà visto come il nemico numero uno, da eliminare. Per qualcuno il volto del Padre, annunciato da Gesù, sarà fonte di salvezza; per altri sarà solo motivo di scandalo. Certo non lascerà indifferente nessuno». Per padre Pizzaballa «è una lotta, che comincia dentro di noi, dove il vecchio e il nuovo si fanno guerra, e non si può sperare di salvare e l’uno e l’altro: chi entra in questo “d’ora in poi” deve assumersi questo rischio. E siamo invitati a stare dentro questa frattura con lo stile del Signore». Gesù descrive la sua missione con due immagini, quella del fuoco e quella del battesimo. Li vivrà entrambi: «Porterà il fuoco dello Spirito, dell’amore, della presenza di Dio sulla terra. E poi si lascerà annientare dalla morte, dalla violenza disumana dei suoi stessi fratelli, senza salvare la propria vita a ogni costo, ma donandola per tutti. Così, e solo così, il Signore ci salva», scrive l’amministratore apostolico, «lasciando che nella sua vita e nella sua morte questi due movimenti non siano più separati: anzi, il fuoco che Gesù porta, si compie proprio mentre l’acqua della violenza e della morte lo sommerge. E questo vale anche per noi: è perdendo la vita per amore che si accende il fuoco sulla terra». Quando dunque «il mistero del male viene allo scoperto e sembra annientare tutto, proprio lì, se vi si entra con la fiducia dei figli, si compie un mistero più grande, si compie il giudizio di Dio sull’uomo, ed è un giudizio di salvezza e di misericordia. Insomma — conclude l’arcivescovo eletto — d’ora in poi chi segue il Signore, chi vive il suo Vangelo, dovrà passare con fiducia attraverso la morte, e vedrà accadere la vita, attraverso la separazione, e vedrà accadere l’unità».

© Osservatore Romano - 17-18 agosto 2016