I cristiani in Iraq: la politica della Santa Sede ed il silenzio dell’Occidente

Tratto dal numero Luglio-Settembre 2009 di “Studi economici e sociali” rivista della Fondazione Nazionale di Studi Tonioliani (www.giuseppetoniolo.com)

di Fausto Fasciani

Introduzione

L’invasione anglo- americana dell’Iraq avvenuta nel 2003 ha spinto circa 1,8 milioni di persone a fuggire nei paesi limitrofi come Siria, Giordania, Libano, Egitto e Paesi del Golfo. Tra questi ci sono circa 150mila cristiani che hanno scelto la via dell’esilio per sfuggire alla crisi economica e soprattutto all’assenza di sicurezza che è il principale problema del paese. Secondo recenti dati rilasciati dall’episcopato caldeo dal 2005 ad oggi hanno perso la vita in attentati ben 750 fedeli. L’aiuto ai profughi cristiani iracheni viene fornito dalla ROACO il comitato che riunisce le agenzie di tutto il mondo impegnate a sostenere dal punto di vista finanziario le comunità cattoliche orientali.  Durante la visita “ad limina Apostolorum” che i vescovi iracheni hanno effettuato in Vaticano alla fine di gennaio, denunciando il “silenzio assordante sulla drammatica situazione dei cristiani” hanno chiesto alla comunità internazionale di consentire il rientro in patria di tutti i profughi.  Anche il Sinodo caldeo che si è tenuto ad Ankawa alla fine di aprile  si è chiuso con una dichiarazione dei presuli nella quale si chiede al governo del premier Nuri al Maliki di facilitare il ritorno dei profughi anche attraverso una politica di compensazione che rafforzi la presenza cristiana nel paese.

 

   Visitando in Giordania la moschea “al Hussein bin-Talal” di Amman, nel corso della sua recente visita in Terra Santa, Benedetto XVI ha esortato la comunità internazionale a compiere ogni sforzo per assicurare ai cristiani iracheni il giusto diritto di cittadinanza nel loro paese e ad assicurare “all’antica comunità cristiana di quella nobile terra il fondamentale diritto di pacifica coesistenza con i propri concittadini”.  

    Preoccupazione per la situazione dei profughi iracheni è stata espressa anche  dal Sinodo della Chiesa siro-cattolica che si è svolto in Libano a metà giugno nel cui documento finale si sottolinea “la necessità di sostenere i rifugiati cristiani nel ritorno nella propria terra”.

La comunità cristiana: lineamenti storici

I cristiani iracheni sono parte integrante delle attuali popolazioni mesopotamiche ( antichi sumeri, babilonesi, caldei ed assiri) e la maggior parte di loro oltre all’arabo parla il Suret, una lingua simile a quella parlata da Gesù. La “Plantatio Ecclesiae” risale alla predicazione dell’apostolo Tommaso. Su 22 milioni di iracheni i cristiani sono circa ottocentomila (rispetto al 1,4 milioni del 1987) pari quindi al 3 per cento della popolazione anche se, secondo altre fonti, i cristiani sarebbero addirittura scesi ben al di sotto dell’ 1 per cento.

Diversi sono i riti: assiro-nestoriano, siro-cattolico,  siro-ortodosso, armeno ortodosso e caldeo.

Fino al IV secolo la chiesa irachena era detta “Chiesa di Persia” per poi divenire “Chiesa d’Oriente” al concilio di Efeso del 431 quando diviene autonoma per seguire l’eresia di Nestorio che teorizza le due nature, umana e divina, di Cristo. Nel corso del nostro medioevo la Chiesa d’Oriente conosce  un grande sviluppo che la vede arrivare fino ai confini della Mongolia con ben 250 diocesi e centinaia di monasteri. I cristiani si distinguono nella scienza medica, nella filosofia e nell’amministrazione pubblica. E’ Tamerlano nel XIV secolo a distruggere questa fiorente chiesa e a costringere i fedeli a rifugiarsi sulle montagne tra la Turchia e la Persia. Nel 1553 la Chiesa d’Oriente si divide in caldea ( in comunione con Roma) ed assira. Il genocidio degli armeni da parte dei Turchi coinvolgerà anche i cristiani iracheni e nel 1933 anche gli assiri, che avevano appoggiato le truppe inglesi attratti dalla possibilità di costituire un loro Stato indipendente, sono massacrati dalle truppe irachene. Sono gli anni dell’emigrazione: molti cristiani fuggono verso l’Europa e gli Usa mentre molti altri si rifugiano nei paesi confinanti.

    Durante il regime di Saddam Hussein i cristiani,  godono di una relativa libertà. La Costituzione del 1970 riconosce la personalità giuridica  alle confessioni cristiane anche se a livello privato vige il regime della shari’a . Il regime sostiene il restauro e la costruzione di chiese e nelle scuole confessionali si insegna liberamente il catechismo. Pur costituendo insieme ai musulmani sunniti, quella “borghesia” sulla quale si basano l’economia e l’amministrazione pubblica irachene, i cristiani vengono chiamati a svolgere il servizio militare e per “saggiare”la loro lealtà vengono impiegati nelle truppe più avanzate al fronte nella guerra contro l’Iran e coloro che finiscono nei campi di prigionìa  khomeinisti vengono particolarmente vessati  a motivo della loro fede. Inoltre, l’antico monastero di Mar Odisho e centinaia di villaggi cristiani del nord vengono poi distrutti dalle truppe irachene nelle operazioni contro i curdi e  abbandonati dalla popolazione che si rifugia a Baghdad nel quartiere di Dora. La crisi economica  derivante dall’embargo ed il filo-fondamentalismo islamico del regime di Saddam costringono circa 150mila cristiani ad  emigrare all’estero dopo la prima Guerra del Golfo.

 Nel marzo 2003 iniziano le operazioni belliche contro il paese da parte degli anglo-americani, a Luglio muore il patriarca caldeo Raphael Bidawid I ed al suo posto viene eletto a dicembre Mar Emmanuel III Delly che prevale su Antoine Audo e Sirhad Jammo vescovi rispettivamente di Aleppo in Siria e di San Diego in California. Se Bidawid non vedeva alcuna distinzione tra la fede e la nazionalità “araba”, Delly, sensibile alle argomentazioni della diaspora, rivendica l’identità etnica dei cristiani. In una lettera indirizzata all’amministratore civile statunitense Paul Bremer i vescovi scrivono “che i caldei rappresentano la terza componente etnica dopo gli arabi  e i curdi”. Questa posizione crea delle frizioni tra caldei ed assiri:  mentre i primi sono cittadini leali e legati all’universalismo romano i secondi, fedeli alle proprie tradizioni culturali e religiose, perseguono da tempo il progetto di una Chiesa - nazione assira. Nell’ottobre 2003 si è svolto a Baghdad un congresso al termine del quale si era raggiunto un accordo sul termine unificatore assiro-caldeo. Poi il 20 agosto 2005 le lobbies  dell’emigrazione caldeo- assiro-siriaca, facendo pressione sui deputati al Congresso Usa ottengono il riconoscimento degli assiri come popolo autoctono. Di conseguenza la Carta consacra i termini assiro e caldeo in maniera separata e anche la rappresentanza politica cristiana è frammentata in vari partiti.

Il primo attacco massiccio contro i cristiani si registra il 1° agosto 2004 quando quattro autobombe due a Baghdad e due a Mossul, esplodono vicino a delle chiese provocando dieci morti e cinquanta feriti. Nelle settimane successive, secondo cifre fornite dal  governo iracheno, ben 40 mila cristiani abbandonano il paese. Il leader al Sistani lancia una fatwa, imponendo agli sciiti di non toccare i gruppi religiosi minoritari in Iraq in quanto sono parte del popolo iracheno.

Malgrado ciò, i cristiani continuano ad essere nel mirino di organizzazioni terroristiche e malavitose. Si susseguono attacchi intensi e coordinati contro chiese e sedi episcopali che vengono chiusi per ragioni di sicurezza. Significativo, in tal senso, il caso del Babel College la facoltà di teologia di Baghdad che, insieme al seminario, maggiore sono chiusi e trasferiti nel più sicuro Kurdistan iracheno. L’edificio del Babel College è stato quindi occupato dall’esercito degli Stati Uniti che nel 2007 vi ha installato una propria base per poi restituirlo alla Chiesa solo nel novembre del 2008. A questo poi si aggiungono le violenze contro il clero e le famiglie cristiane quali il pagamento della jizya, una tassa imposta ai non musulmani pena la perdita della casa, i rapimenti a scopo di estorsione e le uccisioni  di sacerdoti e diaconi tra le quali quelle eccellenti di padre Ganni e di Paulos Faraj Rahho, arcivescovo di Mossul. Da qui la scelta di fuggire all’estero oppure verso il Kurdistan iracheno le cui autorità, al fine di attirare le competenze professionali dei cristiani, stanno investendo ingenti risorse nel restauro di chiese e villaggi.

 Oltre a  Benedetto XVI diversi esponenti vaticani quali il cardinale Leandro Sandri, prefetto per la Congregazione delle Chiese Orientali e l’arcivescovo Fernando Filoni, sostituto della Segreteria di Stato e già nunzio apostolico a Baghdad (ed unico diplomatico a non lasciare la città durante l’attacco anglo-americano del 2003), a più riprese hanno espresso pubblicamente la loro preoccupazione per la grave situazione delle comunità cristiane dell’Iraq e dell’intero Vicino Oriente e non si esclude che su questa problematica possa essere convocato un Sinodo.

Il governo di Baghdad, che pure ha espresso più volte comprensione alle gerarchie cristiane, specie dopo gli ultimi devastanti attacchi contro alcune chiese del 12 luglio scorso ha annunciato la creazione di una forza speciale destinata alla protezione dei luoghi di culto anche in seguito alle pressioni dell’Onu.

La comunità cristiana  e la legislazione costituzionale

La Costituzione irachena, approvata il 28 agosto 2005 e ratificata da un referendum popolare del successivo 15 ottobre, riconosce la libertà religiosa ed i diritti delle minoranze non islamiche.

La materia è regolata dall’articolo 2 per il quale l’Islam è la religione ufficiale dello Stato e fonte primaria, ma non unica, così come previsto dalle Carte di paesi laici come Egitto, Siria e Tunisia.Il medesimo articolo, però, afferma che nessuna legge può essere in contrasto con le “costanti dei precetti dell’Islam”. Una grave contraddizione che ha suscitato le reazioni delle minoranze non islamiche, ad iniziare dai cristiani,e che rimanda il problema della costituzionalità delle leggi al Parlamento ed alla Corte Suprema formata da giudici ed esperti in “giurisprudenza islamica”. Il rischio denunciato dai presuli è che qualunque norma di legge può essere interpretata secondo la sensibilità religiosa della comunità che in un certo momento gode di una larga maggioranza parlamentare. 

La gerarchia cristiana già durante i lavori preparatori della Carta costituzionale ha suggerito l’introduzione in essa di tre principi base: cittadinanza, laicità ed unità della nazione. Il 13 agosto 2005 il comitato di redazione della Costituzione ha ascoltato i rappresentanti delle minoranze non islamiche. In quell’occasione il vescovo ausiliare di Baghdad Shlimoun Warduni ha dichiarato: “Quello che vogliamo è uno Stato democratico, civile, pluralista, federale che separi la religione e lo Stato”. Questo intervento era stato preceduto da una petizione sulla libertà religiosa e i diritti della donna nella quale le Chiese giudicavano “molto grave” il tentativo di islamizzazione costituzionale del paese.  A metà settembre, dopo l’approvazione del Parlamento avvenuta senza alcun dibattito, i vescovi iracheni, accettando che l’Islam fosse definito “religione di Stato” criticano l’articolo 2 nella parte in cui sancisce il divieto di approvare una legge che contraddica i principi dell’Islam affermando che ciò “spalanchi le porte” alla discriminazione nei confronti dei non musulmani. Va anche detto che i presuli non temono la politica dell’attuale governo di Nuri al Maliki che ha sempre espresso nei loro confronti e dei non musulmani buona volontà e nel 2005, lo stesso Benedetto XVI°, ricevendo in Vaticano il capo dello Stato Jalal Talabani, comunque definiva il testo costituzionale “un progresso”. In una recente intervista rilasciata ad un mensile italiano il Patriarca Delly ha riaffermato questa posizione: “ ci sono tante questioni aperte riguardo alla Costituzione: la libertà religiosa, che, ad esempio, non c’è. La Costituzione si basa sul Corano, che non può essere contraddetto da nessuna legge, mentre le fonti del diritto potrebbero essere tante, perché esistono altre religioni”. Di recente, poi, la legislazione elettorale è stata modificata in senso restrittivo nei confronti delle minoranze non islamiche.

 

 

Conclusioni

 

L’Iraq versa nel caos più completo:il 50 per cento della popolazione è disoccupata, mancano luce, acqua ed alloggi ed il governo centrale non è in grado di assicurare la sicurezza ( dal 2005 ad oggi oltre 82mila iracheni hanno perso la vita in attentati).

    Il paese, che di fatto è passato sotto la sfera d’influenza dell’Iran e in misura minore di Israele, rischia la guerra civile e la disgregazione.  Tra le principali forze etno- religiose, sciiti, sunniti e curdi non c’è stato alcun gesto di riconciliazione, la stessa capitale Baghad è divisa in settori dominati dalle fazioni e per questo motivo la gerarchia cristiana ha espresso delle perplessità sulla decisione dell’amministrazione Obama di ritirare le truppe entro il prossimo anno. Anche il vago testo della  Costituzione, partorito in gran fretta a causa delle pressioni di Washington e basato su un compromesso tra sciiti, sunniti e curdi che hanno privilegiato non l’interesse della nazione, ma quello particolare di etnìa, rischia di favorire la “cantonalizzazione” del paese e lo

 stesso presidente Usa ha espresso delle preoccupazioni per il fatto che l’attuale governo iracheno non è ancora riuscito a raggiungere un accordo politico tra sunniti e sciiti e tra arabi e curdi.

    Solo l’esigua e divisa minoranza cristiana avrebbe le carte per favorire la pacificazione e la ricostruzione tout court dell’Iraq. I cristiani convivono da secoli con tutte le confessioni musulmane e con tutte le etnie irachene, specialmente con i curdi e con i turcomanni e possono essere il fattore unificante della nazione e, più in generale, di dialogo tra il mondo moderno e l’Islam.

     Per  metterli al sicuro dalle violenze l’amministrazione Bush, anche su pressione della diaspora irachena e degli evangelici, aveva proposto di assegnare ai cristiani una regione autonoma “safe haven” nella Piana di Ninive che contiene circa venti villaggi  cristiani abitati da almeno 120 mila persone circondati da villaggi curdi, arabi, yazidi e shabak. Ma pressioni in tal senso vengono anche dal governo curdo che è interessato a far rientrare nella sua sfera d’influenza o addirittura, in prospettiva, inglobare questo territorio in un Kurdistan non più autonomo,ma indipendente. In parallelo anche gli assiri  vedono la possibilità di realizzarvi il loro antico sogno dello Stato indipendente. Barack Obama, che da candidato alla presidenza Usa, si era dimostrato sensibile alla causa dei cristiani iracheni, sembra favorevole a questo piano che, se realizzato, a nostro avviso darebbe il colpo definitivo all’unità della nazione irachena e legittimerebbe la violenta politica di pulizia etnico-religiosa attuata dai radicali sciiti e sunniti nei confronti della minoranza cristiana.

      Al contrario, Louis Sako, vescovo caldeo di Kirkuk, tacitamente appoggiato dalla Santa Sede,  ha dichiarato in merito all’istituzione di questa enclave cristiana che “ Un ghetto per i cristiani porterebbe inevitabilmente con sé scontri settari, religiosi, politici senza fine; la nostra stessa libertà ne verrebbe diminuita. Noi cristiani siamo una componente fondamentale della storia e della cultura irachena”. Dello stesso parere è  anche il vicario di Baghdad Shlemon Warduni secondo il quale “l’idea della Piana di Ninive è nociva” aggiungendo che “ non vogliamo fare da cuscinetto tra un Kurdistan autonomo e le altre regioni”.

    Posizioni chiare quelle dei presuli caldei che danno il senso dell’importante, ma per taluni  scomodo ruolo di stabilizzazione dell’area svolto dalle millenarie Chiese del Vicino Oriente che sono a rischio estinzione a causa dei conflitti regionali, del fondamentalismo e della crisi economica nella compiacente indifferenza dei governi occidentali.

 

 

 

Fausto Fasciani,  avvocato in Roma e giornalista pubblicista è membro del direttivo dell’associazione “Amici dell’Oriente Cristiano” che ha sede presso il Pontificio Istituto Orientale ed è cavaliere dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme.