Yom Kippur – L’intervento del rabbino capo di Roma Una normalità diversa, che dia senso alla vita

rabbino di segniQuesto è il secondo anno in cui siamo costretti a fare un Kippùr diverso, con limitazione del numero dei partecipanti alla tefillà, cosa che pesa soprattutto al momento finale. L’anno passato, pensando solo al Covid e non a tutto il resto delle amarezze, è stato l’anno dell’aumento vertiginoso delle vittime, poi delle vaccinazioni di massa. L’anno delle difficoltà economiche ma anche della solidarietà, che in questa comunità non è mancata. Siamo ancora nel mezzo della crisi, vediamo prospettive incoraggianti, ma dobbiamo difenderci e riorganizzarci. Aspettiamo tutti il ritorno alla normalità. Ma normalità non vuol dire il bene in assoluto. Quando si finisce lo studio di un trattato di Talmud si fa una piccola cerimonia di festeggiamento in cui si recita una preghiera nella quale si ringrazia il Signore che ha indicato, a chi vuole seguirlo, un comportamento particolare che lo distingue da altri: loro si svegliano presto e noi ci svegliano presto, loro si affaticano e noi ci affatichiamo, loro corrono e noi corriamo; ma bisogna vedere per cosa vale la pena di svegliarsi presto, correre e faticare. Queste domande di solito se le pone una persona che ha avuto un trauma e si vede crollare il mondo addosso, normalmente è difficile che una persona se le ponga. La reclusione e le limitazioni imposte dal Covid sono state per molti, ma non per tutti, un’occasione per riflettere. Kippùr con il Covid è una opportunità doppia per pensare. Ritorno alla normalità, sì, ma che sia una normalità diversa, che dia senso alla nostra vita.

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