Il Papa a Ginevra per il settantesimo anniversario del Consiglio ecumenico delle Chiese. Sotto lo stesso tetto

taize 2Fratel Alois, Priore di Taizé. Da «La Tribune de Genève» del 20 giugno) La visita di Papa Francesco a Ginevra, in occasione del settantesimo anniversario del Consiglio ecumenico delle Chiese, è una pietra miliare che segnerà il cammino dell’unità dei cristiani. Noi, fratelli di Taizé, ce ne rallegriamo perché siamo vicini sia al Papa sia al Consiglio ecumenico. Il Consiglio ecumenico e la nostra comunità sono nati nello stesso periodo, Taizé all’inizio della seconda guerra mondiale, il Consiglio poco dopo la sua fine.
A metà del XX secolo, le loro rispettive iniziative erano animate da una stessa passione dell’unità. Intravedevano, per le Chiese separate, una nuova tappa da superare, una tappa di comunione e di fraternità tra cristiani, in vista della pace sulla terra, al di là del conflitto che aveva lacerato il mondo. Sul loro esempio, a Ginevra come a Taizé, cerchiamo di mantenere accesa quella fiamma.
Papa Francesco, dall’inizio del suo ministero, non lesina sforzi per ravvivare il desiderio di unità. Io lo posso testimoniare in quanto mi è dato d’intrattenermi con lui ogni anno. In occasione del 500º anniversario della Riforma protestante, si è recato in Svezia, a Lund, per fare visita ai luterani. Là mi sono commosso profondamente nel sentire «riconoscere con gioia i doni che sono venuti alla Chiesa dalla Riforma». Applicava così alla riforma ciò che aveva già formulato in modo più generale riguardo all’ecumenismo: «Non si tratta solo di ricevere delle informazioni sugli altri per conoscerli meglio, ma di raccogliere ciò che lo Spirito ha seminato in loro come dono che è anche per noi».
In questa ottica, la visita del Papa a Ginevra potrebbe aiutare i cristiani a interrogarsi su alcuni punti, in particolare sui seguenti.
Quali sono i doni che possiamo ricevere dagli altri? Per le loro evoluzioni storiche e teologiche e per scelte di coscienza, i cristiani non vivono la fede tutti allo stesso modo.
Invece che fonte di contrasto, come possono queste differenze diventare arricchimento reciproco? L’unità non implica un’uniformità nella pratica della fede e neppure un livellamento delle convinzioni.
Ma come fare perché il rispetto di una sana diversità non alteri mai la dinamica dell’unità? In molti luoghi del mondo le appartenenze nazionali e l’affermazione delle identità sembrano oggi prevalere sul senso di appartenenza a una stessa famiglia umana.
Attraverso la loro unità che supera le frontiere, i cristiani riuscirebbero a mostrare di avere tutti bisogno gli uni degli altri? Dal momento che la settimana di preghiera per l’unità, che si svolge ogni anno a gennaio, è uno dei momenti — troppo rari — per incontrarsi, si potrebbero trovare altre occasioni per mettersi “sotto lo stesso tetto”, per pregare insieme e vivere una condivisione? Perché tra i cristiani si concretizzi uno scambio di doni, ritroviamoci insieme più spesso nella preghiera, nell’ascolto della Parola di Dio, nel silenzio e nella condivisione!
Non dimentichiamo d’invitare gli altri cristiani ai tempi forti della vita delle nostre comunità cristiane. Facciamo tutto quel che possiamo insieme, non facciamo nulla senza pensare agli altri. In ogni occasione, un autentico interrogativo ecumenico potrebbe essere: chi manca per il momento a questa mensa fraterna? perché ci siamo dimenticati di invitarlo?
I cristiani perdono credibilità quando parlano di un Dio d’amore rimanendo però separati. In passato, in nome della verità del Vangelo, i cristiani si sono divisi. Oggi, in nome della verità del Vangelo, è essenziale che si riconcilino. Possa l’incontro di Ginevra invitare tutti i cristiani a costruire, con altri, una civiltà fondata sulla fiducia.
© Osservatore Romano - 21 giugno 2018