Fratello del mondo

terra-santa2014 logodi LEONARDO SANDRI

La visita papale in Terra Santa sta suscitando a livello internazionale un’eco vastissima nel contesto ecclesiale, in quello ecumenico e interreligioso, ma non meno in quello sociale e politico. I viaggi dei Pontefici hanno sempre risvegliato interesse e attese, con difficoltà di vario genere, ma la straordinaria personalità di Papa Francesco potrà rendere del tutto singolare quello ormai imminente. Lo seguiranno idealmente innumerevoli uomini e donne di ogni religione e condizione, credenti e non, di ogni popolo e nazione.

Il fascino di Gerusalemme, città santa e irrinunciabile per le tre religioni monoteiste, è a tutti noto. Come pure il suo messaggio universale, radicato in quella pace che il suo nome lega inscindibilmente alla sua missione. Fascino e messaggio si intrecceranno senz’altro a quelli che suscitano le parole e i gesti del vescovo di Roma, alimentando aspettative diverse e addirittura contraddittorie. Il Medio oriente non vorrà farsi sfuggire la presenza del Papa per gridare davanti al mondo intero le sue sofferenze e gli interminabili attentati alla pace. E così reclamare il rispetto dei diritti delle componenti più deboli, come di quelle più promettenti, quali sono i giovani, ma anche delle minoranze religiose e sociali. Penso che il Papa, sulla scia dei suoi predecessori, intenda farsi vicino alla popolazione per conoscerla direttamente e assicurare la disponibilità a condividerne le prospettive di miglioramento, tentando di far giungere la sua sollecitudine all’intera area che ruota attorno alla terra di Gesù. Egli cercherà di parlare agli uomini e alle donne concreti che abitano in una dimensione tanto incerta la loro unica esistenza e vorrà perciò mostrare tutta la comprensione per la loro reale condizione. Dal programma si evince il desiderio di dialogare, sia in Giordania, sia in Palestina e Israele, come a Gerusalemme, con tutte le anime che compongono quel mosaico religioso e sociale. Benché l’arco ristretto di tre giornate imponga evidenti limitazioni, sono previsti incontri con le pubbliche autorità e i responsabili dei Paesi che il Papa visiterà. Spetta a loro, del resto, consentire a tutti di contribuire, lavorando anch’essi strenuamente e per primi, a edificare un avvenire di vicendevole convivenza, che sia rispettosa non solo di alcuni diritti, bensì di tutti quelli fondamentali, a cominciare da un’autentica libertà religiosa. Questo aspetto potrebbe già costituire un traguardo ineguagliabile. La mediazione spirituale del passaggio papale potrà essere incisiva nel trovare vie di soluzione “p ossibili” alle endemiche difficoltà del territorio. Dire “p ossibili” non significa mancare di speranza quasi alludendo a risultati prevedibilmente modesti già in partenza. È piuttosto cercare di non rimanere estranei al vero contesto della Terra Santa, la quale esige ritmi equilibrati e passi prudenti, per non urtare anziché avvicinare. Nella terra in cui Dio ha adottato la logica della incarnazione, si impongono metodi umili, che non intendono autorizzare o favorire la rassegnazione, ma solo evidenziare l’indispensabile realismo. Le soluzioni “p ossibili” sono quelle misurate sulla realtà locale in tutta la sua problematicità, che potremmo definire oggettiva e forse persino costitutiva. Tanta parte della storia umana confluisce su quella terra, con ombre e luci. Ciò non va dimenticato, benché mai ritenuto tale da bloccare la novità, sempre possibile. Del resto, in termini assoluti, è proprio in Terra Santa che è apparsa la novità delle novità, l’irruzione di Dio nella storia con la sua incarnazione. L’annuncio e la preparazione del grande appuntamento ha, però, ribadito chiaramente la sua dimensione religiosa. È questa la priorità. Papa Francesco, quale successore dell’ap ostolo Pietro, si reca nella terra delle origini cristiane e sotto gli occhi di tutta la Chiesa, anzi sentendone pulsare il cuore, rinnova la professione di fede nel Cristo, il Figlio del Dio vivente. Il servizio petrino ha la fondamentale preoccupazione di proclamare la centralità di Cristo. Se ciò avviene in Terra Santa è per riappropriarsi della esperienza ecclesiale nella sua totalità e dare a essa un impulso ancora maggiore. Saranno giorni di ringraziamento a Dio per quanto nei secoli la famiglia ecclesiale ha cercato di compiere in fedeltà al suo amore e di rinnovato slancio alla corsa del Vangelo. Ma sarà tempo favorevole anche per chiedergli perdono per quando la centralità di Cristo è stata dimenticata, o almeno disattesa, e i cristiani hanno offuscato la loro missione spirituale. La volontà tanto evidente in Papa Francesco di farsi fratello del mondo intero, senza alcuna esclusione di persona, non discende da questa centralità di Cristo, il quale si è consegnato fino alla croce per assicurare l’a m o re universale di Dio? Tale centralità risveglia la responsabilità verso quanti sono vittime innocenti di violenze mai volute, che colpiscono addirittura la loro sopravvivenza. Gli interessi, spesso oscuri, che guidano le sorti dei popoli devono lasciare posto alla luce che il mistero di Cristo quando è evocato, e ancor più se è celebrato e vissuto, porta con sé. Cristo ci ha comunicato quella irrinunciabile tensione verso il Padre che è inscindibile dalla vicinanza a ogni uomo e a ogni donna. Il Papa aprirà la visita con un segnale di questo genere, salutando ad Amman i rifugiati e i disabili, e così ponendo al primo posto quanti sono considerati “ultimi”. Dalla centralità di Cristo dipende la corretta recezione della dimensione ecumenica e interreligiosa della visita. Il successore di Pietro si reca a Gerusalemme per abbracciare il successore del fratello Andrea nel cinquantesimo anniversario dell’incontro tra Paolo VIe il Patriarca ecumenico Atenagora. Francesco e Bartolomeo, davanti a tutte le Chiese e al mondo, rinnoveranno quel gesto di incalcolabile portata. Nel nome di Cristo, unico loro Signore e pastore della Chiesa una, compiranno quella profezia che da un lato raccoglie cinquant’anni fecondi di frequentazione ecumenica e dall’altro rilancia un proposito “i r re v e r s i b i l e ”, quello di non darsi mai per vinti finché nella sua pienezza la preghiera di Cristo al Padre si realizzi: Ut omnes unum sint. Se insieme guardiamo al Crocifisso, che è risorto e ci ha donato lo Spirito di unità, senza scontrarci a motivo delle perduranti distanze, ci ritroveremo molto più vicini di quanto pensiamo di essere. San Giovanni Paolo II, e sulle sue tracce il Papa emerito BenedettoXVI, furono in Terra Santa e sempre le visite ebbero una spiccata sensibilità ecumenica e interreligiosa. Ebrei e musulmani sanno che in quella Terra Santa sono, insieme ai cristiani, interpellati da tutto e da tutti a dialogare fraternamente. Debbono, perciò, riconoscersi il dovuto rispetto per l’identità propria di ciascuno e vicendevolmente garantirsi sulla medesima terra l’indispensabile mobilità e, specialmente, l’accesso ai luoghi santi di ciascuna comunità. C’è una mediazione, che definirei necessaria, atta a favorire le finalità della visita appena accennate ed è quella della comunità cattolica. Per questo penso al pellegrinaggio papale come a un ritorno alle orme, non solo storiche, bensì spirituali di Gesù. Là dove tutto ebbe inizio, ancora oggi vi sono “i custodi e i testimoni viventi” di quelle sante origini. Tra questi vi sono i figli e le figlie della Chiesa cattolica. Essi attendono la consolazione e l’incoraggiamento del Papa, vescovo di Roma, al quale nei secoli hanno voluto rimanere strettamente uniti e al quale sono immensamente riconoscenti perché sanno bene di non essere mai stati abbandonati. I locali rappresentanti pontifici sono una speciale espressione della sollecitudine papale. La Chiesa latina è raccolta nella diocesi patriarcale di Gerusalemme, che oltre alla città santa, comprende le comunità di Palestina, Israele, Giordania e Cipro. Ugualmente la comunità latina della Custodia francescana è operante nei santuari sorti sui principali luoghi santi nei Paesi sopracitati, giungendo però anche in Siria e in Egitto. Accanto a esse sono operanti le Chiese orientali cattoliche di tutte le tradizioni: i melchiti, tanto numerosi, i maroniti, i siri, gli armeni, i caldei. Potremmo definire imponente la rete pastorale cattolica per la generosità e la competenza con la quale, in campo educativo, assistenziale, sanitario, caritativo, le Chiese citate — con il formidabile sostegno di innumerevoli famiglie religiose maschili e femminili — realizzano in Terra Santa. Si distinguono anche nell’a f f ro n -tare problematiche, talora molto gravi, quali l’inarrestabile emergenza dei migranti. Per tutto ciò sono opportunamente rappresentate, insieme alla Congregazione orientale, nelle commissioni bilaterali tra la Santa Sede e Israele e Palestina. Ringrazio le comunità ecclesiali del mondo intero, che sotto varie forme e specialmente con la colletta voluta dai Papi per la Terra Santa, mostrano la loro costante generosità, e le incoraggio a intensificare la preghiera per quelle Chiese e la loro conoscenza, grazie specialmente ai pellegrinaggi. L’intenzione più urgente è di chiedere al Signore che rincuori i cristiani orientali a rimanere là dove sono nati quali orme spirituali del passaggio storico di Cristo. Le istanze degli Stati e degli organismi internazionali dovranno però tutelare in modo adeguato la presenza pastorale delle Chiese e programmare senza ritardi prospettive di speranza, specie in ambito occupazionale e abitativo, affinché i giovani possano rimanere in Terra Santa a garantirne il futuro. Una mediazione necessaria, ho detto, perché spetta alle Chiese locali di condurre quotidianamente la possibile collaborazione ecumenica e interreligiosa. E le giovani generazioni sono il terreno più fertile: la capillare presenza scolastica cattolica dall’infanzia fino a livelli universitari è prova di questa consapevolezza, con l’accoglienza talora persino maggioritaria riservata ai non cattolici. Lo testimoniano, per esempio, la Bethlehem University e, sempre a Betlemme, l’istituto Effetà per bambini portatori di handicap uditivo, ambedue sorti a memoria del pellegrinaggio di Paolo VI. Una pace stabile per la Terra Santa e il ritorno della pace nelle nazioni circostanti: è il migliore auspicio per la visita papale. La condizione del Medio oriente è tutta sospesa tra l’accettabile convivenza di alcuni contesti e la dolorosa condizione di altri, quali la Siria, l’Iraq e l’Egitto. Si farà, perciò, accorata in quei giorni la supplica perché la pace annunciata a Betlemme non sia continuamente e pesantemente smentita. Non manca, purtroppo, di motivazioni il timore che esplodano contrasti e conflitti, sempre latenti. La Chiesa intera dovrà affiancare il Papa mentre cercherà di strappare dal cuore di Dio il dono della pace. Preghiera intensa e risveglio delle coscienze circa le responsabilità di tutti, senza misconoscere le proprie, potranno sostenere Papa Francesco che, a nome della Chiesa, si reca «là dove tutti siamo nati», come dice il salmo, per annunciare «pace ai vicini e ai lontani». La Congregazione per le Chiese orientali custodisce un’opera in bronzo di Angelo Biancini, che riproduce l’abbraccio avvenuto nel 1964. Forse è un bozzetto di due opere in ceramica che, rispettivamente nella delegazione apostolica di Gerusalemme — dove esso avvenne — e nella galleria di arte contemporanea dei Musei Vaticani, lo stesso autore ha lasciato a memoria dell’evento. È un richiamo per il nostro dicastero a condividere sempre la sollecitudine del Papa verso la Terra Santa. Ma per parte mia ho custodito in questi anni una piccola medaglia di Enrico Manfrini, coniata per la visita di allora: riproduce da un lato i due fratelli, Pietro e Andrea, con la scritta in greco: Dio è amore; dall’altro PaoloVIe Atenagora con l’esortazione in latino a camminare nell’amore. Le due espressioni bibliche possono costituire la sintesi del pellegrinaggio di Papa Francesco, ispirando anche la nostra preghiera. Questa potrà contare sulla intercessione del futuro beato Paolo VIe dei nuovi santi: GiovanniXXIII, riconosciuto recentemente dalla Knesset per l’opera a favore del popolo d’Israele, e Giovanni Paolo II, che ci regalò l’indimenticabile pellegrinaggio giubilare nella terra di Gesù.

© Osservatore Romano - 24 maggio 2014