In Egitto con san Francesco L’incontro con il Sultano e la sua forza d’attualità

Francesco e Sultano 4 A cura di P. Pietro Messa, ofm    -     il definire come attuale un fatto o uno scritto passato è giustamente considerato da alcuni come un modo per non assumersi la responsabilità delle proprie scelte. Infatti del passato la presunta attualità non sta nel fatto in sé ma in colui che lo giudica tale: controprova è che due posizioni diametralmente opposte possono essere giudicate entrambe attuali a seconda dell’opinione di coloro che le considerano tali. Ciò accade anche per l’incontro al tempo della quinta crociata di frate Francesco d’Assisi con il sultano Malik al Kamil il quale è – come ogni avvenimento – ben inserito nelle coordinate della storia ossia lo spazio egiziano di Damietta e l’anno 1220 circa; tuttavia per onesta al massimo vi si può riconoscere una forza di attualità a motivo del confronto tra cristiani e mussulmani.

Proprio tale “attualità” rende questo episodio tanto famoso quanto soggetto a letture anacronistiche. Per una sana “igiene mentale” – che richiamando Raimondo Lullo può essere indicata come uno dei principali presupposti al dialogo (cfr. S. Muzzi,Raimondo Lullo, Edizioni Terra Santa, Milano 2016) – è importante partire sempre dalle fonti primarie verificandone innanzitutto – anche se sembra strano – l’esistenza! Se la notizia che la cosiddetta Preghiera semplice attribuita a san Francesco è in realtà degli inizi del ‘900 (cfr. C. Renoux, La preghiera per la pace attribuita a san Francesco, un enigma da risolvere, Padova 2003) comincia a diffondersi, lo stesso non vale ad esempio per la spesso citata fonte araba che narrerebbe dell’incontro di Damietta tra l’Assisiate e il Sultano. Infatti questa notizia in realtà è una supposizione fatta da Massignon nel 1957 basata su un autore arabo del Quattrocento il quale testimonierebbe di una epigrafe funerariadi Fakhr al-Dīn in cui è menzionato «quanto gli capitò a causa di un monaco»; come si vede si tratta di una fonte tanto generica e tarda da renderla pressoché inutilizzabile. Una delle fonti invece che gode di grande autorevolezza è il Liber de acquisitione Terrae Sanctae di Bernardo il Tesoriere databile agli ultimi anni del decennio 1220-1230 ossia a meno di una decina d’anni dall’incontro avvenuto a Damietta nel 1220 e che lo narra con particolari importanti per la sua comprensione. Ecco la traduzione in italiano di tale testo riportato in Fonti Francescane, n. 2235-2237. 

 

 

Riguardo ai sentimenti di umanità e di clemenza dello stesso sultano, il medesimo Bernardo riferisce questo esempio. Durante l’assedio di Damiata, mentre i cristiani circondavano la città, c’erano due chierici che, ardenti dello zelo della fede, si proposero di recarsi dal sultano per annunciargli il Vangelo. Chiesta la licenza al legato [cardinal Pelagio], questi rispose: «Non so davvero da quale zelo siate spinti: se siete mossi dallo Spirito di Dio o la tentazione di Satana vi ha preso. Che ci andiate o meno, io non vi esorto, né vi dissuado. Se però lo fate, curate attentamente che le vostre azioni portino frutti presso Dio».

Arrivati nell’accampamento dei saraceni, furono introdotti alla presenza del sultano. Questi insisteva a chiedere se avevano un incarico di ambasceria oppure volessero farsi saraceni. Ma essi risposero: «Noi siamo ambasciatori del Signore nostro Gesù Cristo, e siamo venuti per salvare le anime, pronti a dimostrare con argomenti irrefutabili che nessuno può salvarsi se non mediante l’osservanza della legge cristiana». E si dichiaravano disposti a subire la morte per questa fede. Il sultano, che era uomo mite di cuore, li ascoltò con bontà. Poi convocò un’adunanza dei suoi arcivescovi, vescovi, di altri periti nella sua legge e di capi del suo esercito. Ma appena ebbe esposto il motivo di quella convocazione, uno di loro, a nome di tutti, rispose: «Molto imprudentemente ha agito colui che era tenuto a essere il difensore della nostra legge e doveva rispondere con la spada della vendetta contro gli avversari di essa, e invece ha sopportato di concedere udienza a dei profanatori della legge, davanti a tante persone». Ciò detto, lo scongiurarono, in forza della sua legge, a condannarli a morte. E se ne andarono. Ma il sultano disse ai cristiani: «Non sia mai ch’io condanni a morte voi che siete venuti per la mia vita!». E assicurò di affidar loro grandi ricchezze, se volevano rimanere con lui, e fece mettere davanti a loro lingotti d’oro e d’argento; ma essi rifiutarono ogni cosa, protestando che erano venuti non a cercare i beni materiali, ma quelli spirituali. E, accettata una scorta dal sultano, ritornarono nell’accampamento cristiano.

 

Per un approfondimento cfr. https://www.ilcattolico.it/rassegna-stampa-cattolica/speciali/noi-e-l-islam.html