Il volto plurale dell’unica Chiesa

roacoIl Cardinal Sandri apre i lavori alla ROACO (Riunione Opere Aiuto Chiese Orientali)

In queste settimane «siamo letteralmente bombardati di

notizie spesso non incoraggianti sulla realtà del flusso migratorio anche in Europa». E «non vi è dubbio che l’emigrazione dal Medio oriente provenga da contesti divenuti invivibili per le guerre protrattesi negli anni e non concluse, come quella in Siria», benché rimanga forte «la preoccupazione circa lo svuotamento della culla del cristianesimo e il fallimento di un ideale di convivenza pacifica». È il grido d’allarme lanciato dal cardinale Leonardo Sandri, che mercoledì mattina, 20 giugno, ha aperto i lavori della novantunesima assemblea plenaria della Riunione opere di aiuto alle Chiese orientali (Roaco).

Il prefetto della Congregazione per le Chiese orientali ha fatto notare come i migranti che arrivano in Europa sono «sofferenti ma portatori di una gioia del Vangelo che le nostre società secolarizzate hanno smarrito». Per questo, «meritano non una “beneficenza” ecclesiale, ma il riconoscimento di una identità che concorre ad arricchire in forma plurale il volto dell’unica Chiesa di Cristo, che non è latina soltanto».

Entrando nello specifico discorso ecclesiale, il porporato ha sostenuto che in Europa va superata «una forma di dibattito sterile». Da un lato «la rivendicazione dei principi del diritto, che potrebbero però rimanere soltanto sistema teorico»; e dall’altro «una oggettiva forma di preclusione a ogni genere di cambiamento o allargamento dell’idea di giurisdizione unica su un medesimo territorio», come invece già «da decenni accade con grande disinvoltura nei contesti anglosassoni e latinoamericani». Tutto ciò è possibile farlo «solo insieme», e in questo senso il ruolo delle agenzie che compongono la Roaco è «prezioso e insostituibile», forse aggiornandone in qualche parte gli statuti. Non si tratta infatti, ha sottolineato il cardinale, «di creare ovunque altre eparchie o esarcati», ma nemmeno di essere «prevenuti all’idea con ristrettezza di vedute», chiarendo che il problema non è di «garantire una messa in arabo, come ci siamo sentiti dire da qualche presule dell’Europa in questi anni», quando i fedeli di cui si parlava di fatto erano caldei, siri, copti, maroniti. Da parte di alcuni patriarchi è comprensibile «chiedere strutture giuridiche fuori dal Medio oriente», e nello stesso tempo va ascoltata «la richiesta accorata, per esempio, del vicario apostolico di Anatolia per avere dei sacerdoti che assistano i rifugiati siriani e iracheni in Turchia, dove alcune chiese sono tornate a riempirsi, ma senza pastori».

Da qui l’invito ad aprire confronti, dialogando e ponendosi in ascolto, con un occhio anche alle Chiese ortodosse e ortodosse orientali nel continente europeo. Senza dimenticare, inoltre, una particolare riflessione sulla quantità di richieste che alcuni vescovi della Germania inviano per il passaggio alla piena comunione, ma nella Chiesa latina di fedeli ortodossi di varie denominazioni. Tale fenomeno forse «cambierebbe in presenza di una diversa organizzazione territoriale, nella quale anche gli orientali però devono imparare le regole, come la registrazione come fedeli cattolici di fronte allo Stato anche se si devono pagare le tasse»

Il cardinale ha poi ricordato che la Roaco quest’anno celebra i cinquant’anni dalla sua fondazione e ha ripercorso alcune delle tappe principali del cammino della Chiesa e del dicastero a partire dall’ultima assemblea plenaria. In particolare, ha fatto riferimento a Papa Francesco, che ha presieduto la celebrazione eucaristica nella basilica di Santa Maria Maggiore il 12 ottobre 2017, a conclusione del centenario della Congregazione e del Pontificio istituto orientale. Quest’ultimo, ha aggiunto, prosegue «il suo progetto di aggiornamento mentre rimane sempre vivo l’auspicio che possa accogliere un numero sempre maggiore di studenti», non solo provenienti dalle Chiese orientali, ma anche latini, «come è stata sempre volontà dei sommi Pontefici fin dalla sua fondazione».

Da qui l’invito alle nazioni rappresentate dalle agenzie internazionali, affinché «all’accompagnamento della vita delle Chiese attraverso i progetti» si affianchi «una solida formazione di sacerdoti e operatori pastorali che sempre più spesso si trovano ad accogliere i fedeli orientali nei loro territori, in Europa come in altri continenti, specialmente le Americhe e l’Oceania».

Il cardinale ha poi ricordato che nel mese di ottobre si è tenuta la plenaria della Congregazione. E ha richiamato l’incontro del Pontefice con i patriarchi e gli arcivescovi maggiori, durante il quale «è stata offerta la possibilità di un libero confronto sulle tematiche dei rispettivi contesti ecclesiali e civili di provenienza». Benché in questo anno non ci siano stati viaggi apostolici in territori seguiti dal dicastero, non di meno «è stata alta l’attenzione di Papa Francesco sul nostro lavoro».

In particolare, nel suo discorso per gli auguri alla Curia romana, un intero paragrafo è stato dedicato al rapporto con le Chiese orientali cattoliche, «con specifica menzione del delicato tema delle elezioni vescovili da parte dei sinodi e un ringraziamento più ampio».

Un evento storico è stata poi la lettera del Pontefice ai vescovi dell’India, che «accompagnava i provvedimenti relativi alla Chiesa siro-malabarese». Se è vero che «non si tratta tecnicamente della concessione dell’all-India jurisdiction, nei fatti però è così» perché l’intero territorio «può ricevere la cura pastorale ordinaria da parte dei pastori di una delle Chiese le cui origini vengono fatte risalire alla predicazione dell’apostolo Tommaso».