Omelia del vescovo Pierbattista Pizzaballa la domenica di Pasqua 2022

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Fratelli e sorelle carissimi,

il Signore è risorto! Alleluia!

Ogni giorno di questa Settimana Santa ci ha visti qui riuntiti attorno alla Tomba vuota di Cristo. Oggi siamo di nuovo qui per celebrare finalmente il Suo trionfo sulla morte, e per annunciare ancora una volta a tutto il mondo che la morte e i suoi legacci non hanno più potere.

Ma vogliamo ora chiederci cosa abbiamo compreso e cosa ci hanno lasciato i tanti e significativi gesti che ci hanno accompagnato in questi giorni. Tutto ci parla di festa, di celebrazione, ci parla di qualcosa di diverso e particolare, gioioso e unico. La Pasqua a Gerusalemme è anche questo, certo. E a Gerusalemme, come in qualunque altra parte del mondo, oggi viene posto davanti alla nostra coscienza il Mistero per eccellenza, il nocciolo della nostra fede: la Risurrezione. Ce lo ricorda l’apostolo Paolo: “Ma se Cristo non è risorto, vuota allora è la vostra predicazione, vuota anche la vostra fede” (1Cor 15, 14). Oggi Gesù rivolge anche a noi la stessa domanda posta a Marta, che abbiamo udita qualche giorno fa: “Io sono la risurrezione e la vita… credi tu questo?” (Gv 11, 25-26).

Che cosa ne abbiamo fatto di questo Mistero? Quanto la coscienza che Cristo sia risorto e che sia vivo, ha cambiato ed è determinante per la nostra esistenza? Quanto ciò che annunciamo è consapevolezza vissuta?

Forse ci siamo abituati all’idea della Risurrezione, al punto da non renderci conto di quanto sia sconvolgente il significato di questo Sepolcro vuoto. Eppure, se ci pensiamo bene, è una pazzia, secondo i parametri umani, credere che vi possa essere una risurrezione.

E non mancano nemmeno oggi i moderni areopaghi (cf Atti 17, 32), i vari contesti dove noi cristiani siamo accolti, ascoltati e cercati, dove le nostre opere e i nostri servizi sono apprezzati e desiderati. Ma, allo stesso tempo, dove l’annuncio di Cristo risorto non è compreso né voluto, non interessa e forse suona anche fastidioso.

Eppure, questa è la nostra fede. Questo è il nostro annuncio: “Non è qui. È risorto, infatti, come aveva detto; venite, guardate il luogo dove era stato deposto” (Mt 28,6). 

È un Mistero che la nostra mente non può comprendere né spiegare. Può essere solo accolto e custodito nel cuore, con fiducia e amore. “Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette” (Gv 20,8). “Vedere” nel vangelo di Giovanni significa “fare esperienza”. È un vedere che coinvolge tutti i sensi, non solo la vista. Si vede anche con il cuore. E con il cuore pieno di fiducia, piegando le ginocchia di fronte al mistero di questa Tomba vuota, insieme all’evangelista Marco, noi diciamo: «Credo, Signore, aiuta la mia incredulità!» (Mc 9, 24). Qui affermiamo che, nonostante i nostri limiti e le nostre insicurezze, sì, noi crediamo!

Crediamo che la Pasqua è l’ultimo, definitivo intervento di Dio, nella storia, per tutti. Il più inatteso e il più sorprendente. Crediamo che dopo averci salvato dal nulla, dalla schiavitù, dall’esilio, Dio doveva ancora salvarci da un ultimo nemico, che è la morte e cioè il peccato. Noi crediamo e oggi annunciamo che la morte è ogni luogo in cui Dio è assente, dove l’uomo è rimasto senza la relazione con Lui: questo è il vero fallimento della vita. La vita, infatti, non resta priva di senso quando ci manca qualcosa o quando sperimentiamo il dolore, ma quando ci manca il Signore, perché senza di Lui siamo soli. La morte si trova dove Dio non è più la Sorgente, dove non siamo capaci di fargli spazio.

E oggi noi crediamo e annunciamo che Dio Padre, in Cristo risorto, si è fatto spazio nella vita di ciascuno di noi, per sempre. La risurrezione è l’irruzione della Sua vita nella nostra. Noi oggi diciamo che crediamo tutto questo. Che questa pienezza di relazione che c’è tra il Padre e il Figlio, da quel mattino di Pasqua, è anche per noi. Che non c’è luogo della nostra esistenza, della nostra storia, che non possa essere potenzialmente casa di Dio, luogo di incontro con Lui. Non c’è uno spazio nella vita di ciascuno di noi dove Lui non possa essere presente.

Questa consapevolezza non ci rende esenti dall’esperienza della prova, del dolore, del buio. Tutto questo rimane, ma non è più una condanna: in ognuna di queste situazioni può entrare la fiducia che Dio è con noi, che anche da lì Lui può trarre la vita.

Pensiamo un attimo a tutte le situazioni di morte che ci avvolgono: basta guardarci attorno, infatti, e troviamo motivi per cui preoccuparci e sentirci sommersi dalla morte, dalle sue vittorie e dai suoi pungiglioni (cf 1Cor 15, 55). Pensiamo alle tremende condizioni in cui si trovano molte parti del mondo oggi: in Terra Santa, in Ucraina, nello Yemen, in alcuni paesi dell’Africa e dell’Asia… la vita che noi oggi qui celebriamo, altrove con cinismo e arroganza viene disprezzata e umiliata ogni giorno. Ma anche in ciascuno di noi, nelle nostre relazioni, negli affetti, nelle nostre comunità, nel nostro vivere quotidiano, non manchiamo di fare esperienze di morte, di dolore, di solitudine. Pensiamo, inoltre, ai drammi che la pandemia ha lasciato dietro di sé.

Non ci accada, tuttavia, di confondere la Risurrezione con la ripresa, con il ritorno alla normalità della vita e nemmeno con la soluzione di conflitti, di qualsiasi genere essi siano. La Risurrezione non è, insomma, un generico simbolo di pace e di armonia al quale fare riferimento ma, come abbiamo detto, l’irruzione della vita di Dio nella nostra, è fonte di perdono, è la risposta alle nostre solitudini, il compimento del desiderio di unità e di amore di Dio per l’uomo. Solo l’incontro con il Cristo Risorto ci può donare la risurrezione vera, una vita piena, che ci fa stare nel mondo con la passione e la forza di persone libere e redente. Nella seconda lettura di oggi della lettera ai Colossesi, al v. 2, vi è un’espressione che nella versione latina recita: quae sursum sunt sápite. Sápite! Abbiate il sapore delle cose di lassù. Sta a significare che dobbiamo sì essere radicati qui in questa terra, immersi e incarnati completamente qui, amando appassionatamente questo mondo che Dio ci ha consegnato e l’uomo che lo abita, ma dobbiamo avere nello stesso tempo un sapore diverso: il sapore della Risurrezione, di chi non appartiene alla morte, ma ad una libertà che non gli può essere tolta, di chi appartiene al Padre della Vita, davanti al quale la morte è impotente.

Non ripieghiamoci o chiudiamoci dunque nelle nostre paure. Non permettiamo alla morte e ai suoi sudditi di spaventarci. Sarebbe un negare con la vita la nostra fede nella Risurrezione!

E non limitiamoci nemmeno a venerare questo Sepolcro vuoto. “Andate a dire ai discepoli e a Pietro, ch’egli vi precede…” (Mc 16, 7). La Risurrezione è l’annuncio di una gioia nuova che irrompe nel mondo che non può rimanere rinchiusa in questo Luogo, ma che da qui deve ancora oggi arrivare a tutti, ovunque nel mondo, in ogni angolo della terra.

Da qui, allora, da Gerusalemme, davanti a questo Sepolcro vuoto, noi annunciamo a questa Chiesa e a tutto il mondo, l’annuncio di pace vera che da qui è scaturita e che vogliamo raggiunga ogni angolo della terra.

Buona Pasqua!

 †Pierbattista Pizzaballa
                                                                                      Patriarca di Gerusalemme dei Latini