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Quella croce in mezzo alle stelle · Il martirio di san Lorenzo a Ravenna ·

mosaico tetto ravennaIl mausoleo di Galla Placidia a Ravenna rappresenta, come è noto, una porzione della basilica di Santa Croce e, seppure commissionato dalla nobile figlia di Teodosio, pur essa imperatrice, potrebbe non essere identificabile con la sua sepoltura — come vorrebbero le fonti medievali — in quanto la

potente sorella di Onorio e Arcadio e la madre di Valentiniano III e Giusta Grata Onoria morì a Roma nel 450, dove, con tutta probabilità, fu sepolta.

 

Il sacello ravennate, a ogni buon conto, presenta le caratteristiche di una preziosa tomba imperiale, come suggeriscono l’architettura e il programma decorativo. Resta problematica la dedica del monumento che, se correntemente viene attribuita a san Lorenzo, per l’influenza di una rappresentazione interna piuttosto famosa, ma dibattuta, per quanto attiene l’interpretazione, pare più opportuno collegarla al culto dei santi milanesi Nazaro e Celso.

Come si diceva, il mausoleo — estremamente sobrio nell’articolazione architettonica — è divenuto celebre per il suo apparato decorativo, che ancora affascina i visitatori per l’allestimento musivo, che si sviluppa nella volta, al di sopra di un rivestimento in marmo giallo antico, ripristinato agli esordi del secolo scorso.

Tutto il resto, come si anticipava, è ricoperto di un minuto e luminoso mosaico, che si innerva nelle pareti, nelle lunette, negli archi, nei sottarchi, per esplodere nella cupola. Qui, su un fondo azzurro tempestato di un firmamento di stelle entro cui sono incastonati, al centro, il segno cruciforme e, agli angoli, i quattro simboli del tetramorfo apocalittico, sembra tradursi in figura il tempo sospeso della Parusia. Nei quattro lunettoni e verso questo luminoso empireo acclamano quattro coppie di apostoli, tra i quali si riconoscono Pietro e Paolo, mentre nelle lunette più profonde del sacello coppie di cervi, tra vigorosi racemi di acanto, si abbeverano per tradurre in figura il Salmo 42: «Come il cervo desidera la fonte d’acqua, così la mia anima anela a te, o mio Dio».Nella lunetta di ingresso si distende la beata raffigurazione del pastore giovane, vestito di tunica aurea e pallio purpureo, nimbato e assiso in un campo roccioso, mentre sostiene, con grazia, una croce dorata e vigila un gregge costituito da sei ovini. Ma la nostra attenzione è attratta dalla lunetta di fronte all’ingresso, dove un personaggio vestito di tunica e pallio immacolati, sostiene un poderoso volume aperto e sciolto nei sigilli con la sinistra, mentre con la destra regge una croce aurea posta diagonalmente.

Tutto rimanda all’iconografia di san Lorenzo, il suddiacono ucciso il 10 agosto del 258, in seguito alla persecuzione di Valeriano, che aveva già visto il supplizio, pochi giorni prima, del Pontefice Sisto ii e dei suoi quattro diaconi Felicissimo, Agapito, Magno e Vincenzo, nel cuore del comprensorio callistiano e che prelude, di lì a un mese, alla fine del vescovo cartaginese e Padre della Chiesa Cipriano.

Ebbene, se non teniamo conto della celebre medaglia di Successa, sospettata di falsificazione settecentesca, dove il martire romano appare disteso sulla graticola, tra un carnefice e il suo aguzzino, dobbiamo approdare a un affresco tardoantico delle catacombe di San Senatore ad Albano e al mosaico bizantino dell’arco trionfale della basilica pelagiana del Verano, nonché a un vetro dorato del Metropolitan Museum di New York, ancora del secolo iv, per riconoscere la fisionomia, la posizione, il modo di sostenere la croce del suddiacono di Papa Sisto ii.

Di più: dinanzi alla figura del santo nimbato e come immerso in un mistico vento che ne scompiglia le vesti, arde un vivace fuoco sotto a una graticola, secondo una affabulazione delle passioni medievali. Eppure se la graticola, intesa come strumento del martirio, il complesso della fisionomia e dell’atteggiamento del santo e l’intitolazione del mausoleo convergono verso l’identificazione dell’imago sancta con quella di Lorenzo, come confermerebbe anche una riproduzione, proprio nel corso del v secolo, della figura in un affresco delle catacombe di San Gennaro a Napoli, non è mancato chi abbia pensato a decodificazioni alternative.

Gli studiosi del passato, infatti, hanno visto nel personaggio il Cristo che brucia i libri degli eretici, oppure un angelo o addirittura san Vincenzo.

di Fabrizio Bisconti

© Osservatore Romano    9.8.2017