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Nel progetto di Dio creatore · «Placuit Deo» e la salvezza ·

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Quanto è grande la salvezza che il Vangelo annuncia all’uomo? Per rispondere a questa domanda, la lettera Placuit Deo della Congregazione per la dottrina della fede comincia parlando del disegno del Padre, impostando così subito la questione della

salvezza, non a partire dalla miseria umana, ma dalla sovrabbondanza di Dio. La parola latina salus non indica solo, nel suo uso cristiano, la riparazione di un male che si soffre, ma innanzitutto la ricchezza di vita che Dio vuole donarci. L’uomo è stato creato, diceva sant’Ireneo di Lione, perché Dio avesse «qualcuno in cui porre i suoi benefici». Questa frase ci ricorda che la salvezza di Dio non è grande solo per i doni che Egli ci ha donato, ma anche per l’opera che Egli compie nell’uomo, colui che riceve questi doni. Il progetto divino abbraccia infatti l’umanità integrale, prendendo in considerazione i lenti tempi della maturazione umana. Cristo è Salvatore perché ha ricapitolato nel tempo concreto della sua vita incarnata l’intero progetto paterno e può essere chiamato, secondo l’espressione di frate Luis de León, il frutto di tutto il creato, in quanto in lui si mostra pienamente fecondo quanto il Padre ha seminato dalla costituzione del cosmo.

La situazione culturale odierna non rende facile comprendere questo progetto del Padre. Prevale, infatti, un rifiuto di tutto quello che nella vita non è voluto direttamente dall’uomo, il quale tende a considerarsi così l’unico autore della propria storia. I rapporti sociali seguono il modello di ciò che Anthony Giddens ha chiamato le «relazioni pure», in quanto si misurano puramente a partire dalla volontà degli individui, senza far riferimento né a un ordine prestabilito (come quello che esiste tra padre e figlio, o tra marito e moglie) né a strutture temporali che vadano al di là dell’istante della decisione (come la tradizione o la fedeltà a una promessa). La salvezza dovrebbe essere, in questa luce, salvezza da questi limiti previ che impediscono l’autorealizzazione del soggetto. Anche l’esperienza religiosa tende oggi a essere vissuta al di là dell’ordine dei rapporti concreti tra gli uomini, considerati accidentali rispetto al rapporto con il Dio trascendente. L’analisi di Charles Taylor sulla secolarizzazione ha mostrato la prevalenza sia di una fede privata che non riesce a dare forma ai rapporti sociali dove si lavora per il bene comune, sia di una fede puramente interiore ed emotiva, che si mostra solo come una opzione fra tante, e non come fondamento sul quale edificare la vita.

Le due eresie evocate in Placuit Deo — il gnosticismo e il pelagianesimo — sono caratterizzate proprio dal rifiuto del disegno del Creatore. Questo è vero in particolare per il movimento gnostico, che negava la bontà del cosmo materiale e il suo destino salvifico nel Verbo incarnato. Secondo gli gnostici, la salvezza dell’uomo si realizza al di là della carne, in un’unione intima con un Dio alieno all’ordine creaturale. Nel rigettare quest’ordine conoscibile dalla ragione umana e segnato dalla legge morale, gli gnostici confessavano che la salvezza procede da un amore superiore a ogni verità, il quale non ha bisogno di rispettare i comandamenti. In un modo diverso anche il pelagianesimo si distingueva per una concezione erronea del disegno divino, considerando l’ordine della creazione come autonomo rispetto all’azione di Dio, e quindi incapace di essere trasformato internamente alla misura di un dono più alto. Si perdeva così di vista che la creazione è animata da un dinamismo, mosso dallo Spirito di Dio, dinamismo al quale l’uomo è chiamato a collaborare, e che porta verso la pienezza in Cristo.

La nostra situazione culturale rende oggi ancor più necessario l’annuncio della Chiesa, la quale proclama che Dio nel suo disegno ha voluto salvare l’uomo proprio attraverso la sua condizione incarnata e relazionale. In quanto la carne è il luogo della nostra presenza al mondo e del nostro incontro con gli altri — il luogo dove si uniscono genitori e figli, marito e moglie, e dove ci apriamo a tutti gli uomini come fratelli e sorelle — la salvezza nella carne è anche la salvezza nelle relazioni in cui viviamo. La salus carnis ci offre così una chiave di lettura di Placuit Deo, rispondendo sia allo gnosticismo ridotto ai sentimenti soggettivi, sia all’individualismo pelagiano che si isola dai rapporti. Il progetto del Padre consiste proprio nel modellare la carne, tramite la quale riceviamo l’ordine originario di presenza nel mondo e tra gli altri, in modo che attraverso di essa ci rendiamo sempre più capaci di comunione con Dio e con i fratelli.

Gesù è venuto, come nuovo Noè, a salvare questo progetto del Creatore, minacciato dal rifiuto dell’uomo. Il Figlio di Dio ha assunto l’ordine creaturale dei rapporti, poiché, nascendo da donna, è diventato nostro fratello e membro della famiglia umana. In questo modo ha potuto ristabilire dal di dentro della nostra umanità il progetto del Padre, portandolo a pienezza. Egli ha trasformato l’ordine di rapporti proprio della creazione, in modo che esso possa mediare la presenza piena dell’amore di Dio. Cristo, assumendo e portando a pienezza l’ordine creaturale originario, che ci permette di accettare i doni di Dio e di collaborare con Lui, ha fondato l’ordine sacramentale, che ha il centro nel suo corpo eucaristico, capace di mediare la sua carità fino all’estremo.

La salvezza, quindi, richiede la nostra accoglienza filiale di un ordine di rapporti istituito da Dio, presente nella creazione del mondo e nella sua ricreazione sacramentale. Quest’ordine non è un limite che ci asfissia ma, al contrario, la memoria filiale di un dono originario che ci precede e che offre l’orizzonte ai nostri passi. D’altra parte, quest’ordine di rapporti non consiste in un copione che possiamo solo eseguire, ma è un libro che Dio continua a scrivere, e vuole che scriviamo con Lui, fino a che si formi pienamente la parola di Cristo. Se accettiamo Dio come autore del progetto che guida la nostra vita, allora possiamo essere, in Cristo, protagonisti e co-narratori di essa.

Secondo sant’Ireneo di Lione il Figlio di Dio «è chiamato ed è davvero Salvezza, Salvatore, e Virtù salvifica». In questo testo si trova l’intuizione centrale di Placuit Deo. Cristo è Salvatore, perché, come Figlio di Dio incarnato, ci redime e porta vita abbondante. Ma Egli è anche la Salvezza, perché in lui si trova il nuovo ordine concreto di rapporti in cui possiamo introdurci per essere salvati, come uno nasce in una famiglia per condividerne la vita. E Cristo è infine la Virtù salvifica, in quanto possiede la pienezza dello Spirito santo, che abita nella sua carne e si comunica a noi quando siamo incorporati all’ordine sacramentale dei rapporti istituito nella sua vita. Per questo sant’Ireneo può aggiungere che Cristo è «salvifico perché Spirito [...] salvezza perché carne». Chi salva è lo Spirito, l’amore di Dio versato nei nostri cuori, che soffia dove vuole. E lo Spirito ha voluto soffiare pienamente solo in quel luogo relazionale che Gesù ha aperto con la sua vita nella carne e che si comunica a noi nei sacramenti. Solo nello spazio del corpo di Cristo possono dare frutto abbondante i doni che Dio ha voluto concedere all’uomo. Se è vero, secondo quanto diceva sant’Ilario di Poitiers, che «il Figlio dà al Padre la pienezza» (Patrem consummat Filius), possiamo dire anche che il Figlio incarnato porta a pienezza il progetto del Padre, rendendolo fecondo. In questa fecondità, a cui noi partecipiamo se incorporati a Cristo, vediamo quanto è grande la salvezza di Dio: il suo più grande dono consiste nel trasformare i suoi figli in sorgenti dei suoi propri beni.

di José Granados

© Osservatore Romano    13.3.2018