Il sabato santo nella tradizione bizantina

Cristo Sposo AP 232x300di Manuel Nin

Una delle ufficiature più popolari, più belle e più profonde della settimana santa nella tradizione bizantina è il mattutino del sabato santo, durante il quale si cantano gli enkòmia: ben 176 strofe composte tra il XII e il XIV secolo su testi di Gregorio Nazianzeno e di Romano il Melode. Il canto si svolge di fronte al tàphos, che rappresenta la tomba di Cristo e dov’è posto l’epitàphios, il velo ricamato su cui viene raffigurato il corpo di Gesù nella tomba.
Il poema dà voce a diversi personaggi sui misteri che sono avvenuti, specialmente la sepoltura di Gesù e la sua discesa nell’ade, in un costante alternarsi di dolcezza e amarezza, di lacrime e attesa gioiosa della risurrezione. La tomba diventa così il centro dell’universo perché Cristo porta dalla terra al cielo, dalla morte alla vita. Diverse strofe presentano il contrasto: «O vita, come muori? Come dimori in una tomba, mentre distruggi il regno della morte e risusciti dall’ade i defunti? O vita, quale prodigio, tu sei nella morte! E come la morte è distrutta dalla morte? E come da un morto scaturisce la vita?». Vengono sottolineati il dolore, lo sgomento, la meraviglia dei diversi personaggi, ma la morte diventa più comprensibile alla luce della risurrezione: «Su di te, o Gesù, la pura tua madre effondeva gemiti e lacrime, ed esclamava: Come potrò seppellirti, o figlio? Risorgi, o datore di vita! Affrettati a risorgere, o Verbo, e dissipa la tristezza di colei che in modo puro ti ha partorito». Altre strofe mettono in rilievo come il Verbo creatore è allo stesso tempo il Verbo incarnato e oggi rinchiuso in un sepolcro: «Tu che hai fissato le misure della terra, o Gesù, re dell’universo, abiti oggi in una piccola tomba, per far risorgere i morti dai sepolcri. Anche la moltitudine delle schiere intelligibili accorre con Giuseppe e Nicodemo, per rinchiudere in un piccolo sepolcro te, che nulla può contenere. Tu, che nel principio con il solo tuo cenno hai fissato l’orbita terrestre, come uomo mortale scendi sotto terra esanime: fremi, o cielo, a questa vista! È stato innalzato sulla croce colui che ha sospeso la terra sulle acque, e ora, esanime, è sepolto sotto la terra, che non lo può sostenere e terribilmente si scuote». Uno dei temi centrali del sabato santo è la discesa di Cristo nell’ade per riprendersi Adamo ed Eva e riportarli nel paradiso. «Sulla terra sei sceso per salvare Adamo, e non avendolo trovato sulla terra, o sovrano, sino all’ade sei disceso per cercarlo. Come morto nella tomba, come Dio con il Padre, e nell’ade come sovrano del creato. Adamo ebbe paura di Dio che camminava nel paradiso, ma gioisce ora per la sua venuta nell’ade». Il Signore cerca infatti Adamo come lo aveva cercato nel paradiso dopo il peccato. Il poema riprende quindi il tema di Cristo come nuovo Adamo: «Apparso nella carne come nuovo Adamo, o salvatore, con la tua morte riporti alla vita Adamo, un tempo per invidia messo a morte. Tu che un tempo, prendendo una costola da Adamo, ne plasmasti Eva, sei stato trafitto al fianco e ne hai fatto sgorgare torrenti di purificazione». Negli enkòmia la figura della Madre di Dio è presentata con parole dove s’i n t re c - ciano il dolore della madre e la speranza per la risurrezione: «Su di te, o Gesù, la pura effondeva gemiti e lacrime di madre, ed esclamava: Come potrò seppellirti, o Figlio? Ahimè, luce del mondo, ahimè, mia luce, Gesù mio amatissimo! O Dio e Verbo, o gioia mia! Come sopporterò la tua sepoltura di tre giorni? Sono straziate le mie viscere materne! Quando ti vedrò, o salvatore, luce intemporale, gioia e diletto del mio cuore? Non ti attardare, o vita, tra i morti! O mia dolce primavera, dolcissimo figlio mio, dove è tramontata la tua bellezza?». E Gesù le risponde: «Per liberare Adamo ed Eva io soffro tutto questo: non piangere, madre». Oltre alla Madre di Dio, attorno alla tomba vivificante di Cristo ci sono Giuseppe di Arimatea, Nicodemo e le donne, figura della Chiesa che offre al corpo di Cristo gli unguenti e gli aromi, le cure e l’amore verso colui che si è incarnato, è morto ed è risorto il terzo giorno: «Venite, cantiamo al Cristo morto un sacro compianto, come un tempo le mirofore, per udire con loro il saluto: Gioite! Sei tu, o Verbo, il vero unguento profumato che mai vien meno, perciò le mirofore ti portavano unguenti: a te, il vivente, come a un morto. Con aromi, o Cristo, Nicodemo e il nobile Giuseppe, compongono in modo nuovo la tua salma, esclamando: Trema, o terra tutta! Cosparsero di unguenti profumati il sepolcro, le mirofore, e subito odono, in cambio dei loro doni, il saluto: Gioite!».

© Osservatore Romano - 26 marzo 2016