La divinità risplende nella carne

trasfigurazione icondi MANUEL NIN

Nella tradizione bizantina la Trasfigurazione del Signore è una delle grandi feste del calendario liturgico. Le preghiere si snodano in un continuo parallelo tra le teofanie veterotestamentarie e la trasfigurazione di Cristo sul monte Tabor da una parte, e l’apparizione gloriosa di Mosè ed Elia e la presenza meravigliata e atterrita degli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni.
Questa doppia presenza viene messa in luce in modo speciale nel canone del mattutino della festa, un testo attribuito a san Giovanni Damasceno. Prendendo spunto dei cantici dell’Antico Testamento che si trovano alla base di tutto il canone dell’ufficiatura bizantina, l’innografo mette in luce in primo luogo come la Trasfigurazione di Cristo viene prefigurata nelle teofanie veterotestamentarie: «Mosè, sul mare, vedendo un tempo profeticamente nella nube e nella colonna di fuoco la gloria del Signore, esclamava: Cantiamo al nostro redentore e Dio. Protetto dal corpo deificato come un tempo dalla roccia, il veggente Mosè, contemplando l’invisibile, esclamava: Cantiamo al nostro redentore e Dio. Sia sul monte della legge che sul Tabor ti sei mostrato a Mosè: ma un tempo, nella caligine, ora invece, nella luce inaccessibile della divinità». L’esperienza di Mosè sul Sinai viene messa in parallelo a quella che lui vive di nuovo sul Tabor. Lungo tutto il poema del Damasceno, la Trasfigurazione è presentata anche come una manifestazione della vera incarnazione, e della realtà delle due nature, divina e umana, nel Verbo di Dio incarnato: «La gloria che un tempo adombrava la tenda e parlava con Mosè tuo servo, era figura della tua trasfigurazione che ineffabilmente ha brillato sul Tabor, o sovrano. Con te sono saliti sul monte Tabor, o eccelso Verbo unigenito, i sommi tra gli apostoli, e ti hanno assistito Mosè ed Elia, in qualità di servi di Dio, o solo amico degli uomini. Tu che sei il Dio Verbo, sei divenuto pienamente uomo, congiungendo nella tua persona l’umanità alla pienezza della divinità: tale ipostasi nelle sue due nature videro Mosè ed Elia sul monte Tabor». Nella scena della Trasfigurazione l’apparizione di Mosè ed Elia accanto alla presenza di lPietro, Giacomo e Giovanni, diventa nel poema del Damasceno quasi un’occasione per sottolineare, per confessare la doppia natura di Cristo umana e divina, e la nascita, la fondazione della Chiesa stessa: «Signore, creatore della volta celeste che ci ricopre, e fondatore della Chiesa, rafforzami nel tuo amore, o vertice di ogni desiderio, sostegno dei fedeli, solo amico degli uomini». In diversi testi di Giovanni Damasceno si paragona l’op era creatrice di Dio all’inizio del mondo a quella della ricreazione dell’uomo attraverso la vita della Chiesa. La Trasfigurazione stessa è vista quasi come una nuova creazione che ridarà all’uomo la primitiva bellezza in cui era stato creato: «Tu, o Cristo, che con mani invisibili avevi plasmato l’uomo a tua immagine, hai mostrato quale fosse la tua bellezza archetipa nella creatura: e non come in un’immagine l’hai mostrata, ma come sei tu per essenza, Dio e uomo. Tu che ti eri unito senza confusione alla natura umana, sul monte Tabor ci hai mostrato il carbone ardente della divinità che brucia i peccati e illumina le anime: con ciò hai rapito in estasi Mosè, Elia e i primi tra i discepoli». Notiamo come il Cristo trasfigurato viene paragonato in questo tropario alla brace ardente, immagine presa dal sesto capitolo di Isaia e che le tradizioni liturgiche orientali applicano al corpo di Cristo nella celebrazione dei santi misteri. Nei testi della festa, poi, vediamo Cristo che nella trasfigurazione manifesta la sua divinità attraverso la carne gloriosa: «Dalla tua carne partivano i dardi radiosi della divinità: per questo i prescelti tra i profeti e gli apostoli cantando acclamavano: Gloria, Signore, alla tua potenza. Tu che hai conservato indenne il roveto tra le fiamme, hai mostrato a Mosè la tua carne sfolgorante di divinità, o sovrano, ed egli canta: Gloria alla tua potenza, Signore. Si eclissò il sole sensibile di fronte ai raggi della divinità, quando, sul monte Tabor, ti vide trasfigurato, o mio Gesù. Fuoco immateriale che non consuma la materia del corpo, tale ti sei mostrato a Mosè, agli apostoli e a Elia, o sovrano: uno, da due e in due perfette nature». La trasfigurazione di Cristo, il suo manifestare la divinità attraverso la carne assunta da noi, prepara i discepoli all’altra grande teofania sul Calvario; una delle strofe accosta i due momenti di manifestazione, nella luce l’una e nella tenebra l’altra, del Verbo di Dio incarnato: «Ti sottosei trasfigurato sul monte, e i tuoi discepoli, per quanto ne erano capaci, hanno contemplato la tua gloria, o Cristo Dio: affinché, vedendoti crocifisso, comprendessero che la tua passione era volontaria, e annunciassero al mondo che tu sei veramente irradiazione del Padre». La liturgia canta poi il Figlio coeterno al Padre, la sua concezione verginale nel seno di Maria, la sua vera incarnazione: «Si è mostrato ora agli apostoli ciò che non è dato contemplare, la divinità che risplende in povera carne sul Tabor di fronte a loro. Fremettero di timore, sbigottiti per lo splendore del regno divino, gli apostoli sul Tabor, e ti acclamavano. Ora si è udito ciò che non è dato udire: il figlio senza padre della Vergine, riceve gloriosa testimonianza dalla voce paterna, quale Dio e uomo egli stesso nei secoli. Non sei divenuto per adozione figlio dell’Altissimo, essendone già per essenza il figlio diletto, venuto senza mutamento tra noi». E l’ultimo dei tropari proclama la fede trinitaria: «O Verbo, luce immutabile della luce del Padre ingenito, nella tua luce che oggi appare sul Tabor, noi vediamo come luce il Padre, e come luce lo Spirito, luce che illumina tutto il creato». Nella trasfigurazione gloriosa di Cristo sul monte Tabor, lo spazio si riempie della sua presenza, e il cuore sente il soffio dello Spirito.

© Osservatore Romano - 6 agosto 2016