Il farmaco dell’unità

candeladi WALTER KASPER

Nel Nuovo testamento Gesù annuncia il vangelo di Dio Padre misericordioso soprattutto con parabole ben note: la meravigliosa parabola del “figlio pro digo”, che sarà chiamata più esattamente del “padre misericordioso”. La parabola ci dice sulla misericordia di Dio, che essa oltrepassa ogni diritto. Il figlio prodigo aveva già ricevuto e poi perduto i suoi diritti di figlio. Nondimeno Dio non richiede restituzione, non infligge nessuna punizione; anzi lo aspetta, gli va incontro, lo abbraccia e oltre ogni diritto, gli restituisce i diritti di figlio. Il padre non il figlio, fa la restituzione. La sua misericordia non fa a meno della giustizia; all’altro figlio nulla va tolto, ma l’atteggiamento verso il figlio prodigo supera la giustizia meramente umana e va oltre ogni attesa e ogni umana misura. Una seconda parabola ci dice, che la misericordia sovrabbondante di Dio è la misura della misericordia che è richiesta a noi. Secondo le Beatitudini sono i misericordiosi, che troveranno misericordia (Matteo , 5, 7) e la preghiera del Signore ci dice che la nostra disponibilità al perdono è la misura del perdono di Dio. Pertanto Gesù dice: «Siate misericordiosi, com’è misericordioso il Padre vostro» (Luca, 6, 36).
La parabola del Buon Samaritano illustra questa misericordia. Il samaritano, dai giudei dell’epoca considerato come un semipagano, era in viaggio, probabilmente aveva da sbrigare i suoi affari, ma vede il moribondo che era incappato nei briganti e ne ha compassione. Benché non avesse obbligo alcuno, si china nel fango della strada, gli fascia le ferite; poi lo porta a una locanda e si prende cura di lui. Il giorno seguente, estrae due denari e li dà all’alb ergatore, dicendo: «Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno» (Luca, 10, 30-35). A prima vista la parola “compassione” potrebbe insinuare che la misericordia è solo un atteggiamento emozionale; la parabola però mostra che essa è un atteggiamento attivo, che risponde attivamente e dinamicamente ai bisogni dell’altro; non apre solo il cuore, mette in moto le mani e fa correre le gambe per andargli incontro. Innanzitutto è un opus superogatum. La giustizia è per così dire il minimo che dobbiamo all’altro, mentre la misericordia è il massimo, è una risposta che proviene della generosità di un amore oltre misura. Con le parabole Gesù spiega il suo comportamento con i peccatori, che raggiunse il suo apice quando dà la sua vita per tutti noi peccatori. Sulla croce, il duello fra vita e morte raggiunse il suo epilogo. Lui, che era innocente, volentieri si è sottomesso alla morte invece di noi e per noi; la sua risurrezione ha vinto la morte. Per mezzo del battesimo, che è il sacramento della fede, siamo resi partecipi della morte di Cristo e viviamo nella speranza di partecipare anche alla risurrezione di Cristo. Tutto il cammino nella libertà cristiana è un processo di superamento del peccato, delle sue conseguenze e delle forze della morte, verso una vita nuova per Dio e per gli altri. In questo senso è una permanente penitenza non per equilibrare il male, ma per vincere il male con il bene tanto più grande in forza della vittoria della vita nella risurrezione di Cristo. Il perdono non è il nostro merito; nondimeno il perdono misericordioso da parte di Dio è tutt’altro che una grazia a buon mercato e non una liberale generosità, che non prende sul serio il peccato. Anzi siamo comprati a caro prezzo con il Sangue prezioso di Cristo. Il perdono è il dono della vita nuova e del cuore nuovo già promesso nell’Antico testamento. La Bibbia non è un manuale sistematico teologico e nemmeno un distributore automatico di risposte. La Bibbia ci dà da pensare, da meditare e ci spinge anche a fare. La Chiesa, così come ogni cristiano, deve sempre lasciarsi sorprendere dalla novità della misericordia di Dio. Mai si vedrà la fine di questo processo di riflessione e di rinnovamento della prassi, per realizzare la giustizia nella misericordia. La questione del rapporto tra giustizia e misericordia è questione vitale, da cui dipende il destino della tradizione latina. Essa è rimasta ampiamente prigioniera dell’idea della giustizia commutativa e della redenzione come compensazione. L’idea di compensazione si trova in Tertulliano, Cipriano, Agostino, Anselmo di Canterbury. Non possiamo entrare nei dettagli dell’interpretazione soprattutto dell’interpretazione controversa di Anselmo e della sua teoria della soddisfazione. In questo contesto, basta dire che l’idea della misericordia è stata marginalizzata nella teologia. Nella teologia morale prevaleva spesso un legalismo, e nella prassi pastorale il messaggio di un Dio severo e punitivo. La testimonianza di molti grandi santi, per esempio Caterina di Siena, Teresa di Lisieux e più recentemente suor Faustina Kowalska, è assai migliore del mainstream della teologia neoscolastica, e la fiducia dei semplici cristiani nella misericordia di Dio non è mai venuta meno. Si pensi alla devozione del cuore di Gesù, interpretata magistralmente e approfondita con la ricca tradizione patristica nella enciclica Haurietis aquas (1956). Spesso però l’aspetto misericordioso era rappresentato più dalla Madonna, la Mater misericordiae (Salve Regina). Considerando tale tradizione si comprende meglio come il messaggio di Papa Francesco, che mette la misericordia al centro del suo pontificato, d’una parte sia una vera svolta, per molti anche una provocazione, ma d’altra parte è anche un recupero della tradizione biblica e dell’autentica devozione cristiana, cioè del sensus fidelium. Lui stesso parla di una rivoluzione non come una rottura, ma di una rivoluzione dell’amore e della tenerezza. Questa svolta era stata già preparata da Papa Giovanni XXIII che nel suo memorabile discorso d’apertura del concilio Vaticano II disse che oggi la Chiesa preferisce la medicina della misericordia all’arma della severità. Se la misericordia è l’auto-rivelazione di Dio per eccellenza e la somma virtù del cristiano, essa non elimina le altre verità e gli altri comandamenti come alcuni temono. Anzi, bisogna considerare la misericordia come somma e principio ermeneutico di tutta la dottrina e di tutta la prassi cristiana e la salus animarum come legge suprema. In questo senso la misericordia richiede anche un nuovo impulso ecumenico. Le ferite della separazione sono ferite al corpo di Cristo, che solo la medicina del perdono e della misericordia può guarire. Siamo testimoni di una persecuzione cristiana e di una eliminazione del cristianesimo in Paesi di antichissima tradizione cristiana. I cristiani non sono perseguitati perché sono ortodossi, cattolici o protestanti, sono perseguitati perché sono cristiani. Papa Francesco parla di un ecumenismo del sangue. Possiamo allora formulare la frase di Tertulliano: Sanguis Christianorum semen Christianorum in un senso aggiornato: Sanguis communis Christianorum semen unitatis Christianorum.

© Osservatore Romano - 10 settembre 2015