Santi, beati e testimoni

Spirito libero che operò meraviglie - L’estremo sacrificio della santa ortodossa Maria Skobtsova

madre maria parisdi CATERINA CIRIELLO

Nel venticinquesimo anniversario della lettera enciclica Ut unum sint di san Giovanni Paolo II la Chiesa cattolica, nella persona di Papa Francesco e di tutti coloro che continuano a lavorare assiduamente per l’unità dei cristiani, ha ribadito il suo forte impegno per il ristabilimento di questa unità.
La storia dell’ecumenismo e della sua spiritualità è senza dubbio un cammino interessante da percorrere in quanto ci regala sempre più spesso figure, quasi sconosciute, ma sovente di ampio spessore spirituale e di una notevole profondità e delicatezza umana. Alla ricerca di donne da “celebrare” al fine di far conoscere il loro prezioso contributo all’unità della Chiesa, ci si può imbattere in una figura definita da alcuni «una vera e atipica suora ortodossa» (Katerina Bauerova). Si tratta di Elizaveta Skobtsova (1891-1945), meglio conosciuta col nome di Madre Maria Skobtsova, santa della Chiesa ortodossa canonizzata nel 2004 e la cui memoria si celebra il 31 marzo. Leggere la sua vita e i suoi scritti — pochi tradotti in inglese — equivale a tuffarsi nelle acque di un’anima travolta dall’amore e dalla misericordia di Dio, che ha oscurato completamente se stessa per donarsi al prossimo. La Skobtsova infatti, prima di consacrarsi a Dio, è stata una contadina russa socialista rivoluzionaria, anarchica, due volte sposata e divorziata. Andata in esilio in Francia dopo la rivoluzione russa del 1917, impianta a Parigi (è conosciuta anche come Madre Maria di Parigi) un nuovo tipo di vita monastica. Questa sua trasformazione non è un processo breve e indolore. La sua conversione, di fatto, ebbe luogo nel 1926 quando la figlia più piccola muore. È davanti a questo evento dolorosissimo che divorzia dal secondo marito e cambia vita. Nel 1932 emette i voti e fonda una casa di accoglienza a Rue de Lourmel cosciente che il monachesimo ascetico e contemplativo della Chiesa ortodossa non poteva confrontarsi con la realtà degli esuli russi, ma doveva indossare una veste nuova, impiantare il nuovo seme dello Spirito. Per Maria Skobtsova l’esilio rappresenta una nuova opportunità, ossia il coraggio di liberare senza paura ciò che era reale e autentico, il Cristo sepolto da secoli sotto strati di polvere. Diceva: «Non dobbiamo permettere a Cristo di essere messo in ombra da regolamenti, costumi, considerazioni estetiche o persino pietà». Madre Maria era uno spirito libero che ha operato meraviglie. È vissuta in totale povertà dedicandosi alla cura degli esuli russi caduti in disgrazia, ma non solo a quelli. Denunciando la vita confortevole dei monasteri pensava che il mondo, nella sua totalità, era quella grande comunità ecclesiale dove si svolgeva la liturgia più importante, quella «celebrata sull’altare della carne e del sangue, quello di nostro fratello e sorella». La grande liturgia di Maria Skobtsova si sarebbe celebrata durante la seconda guerra mondiale, quando milioni di ebrei furono sterminati. Arrivato nel maggio del 1942 l’ordine che tutti gli ebrei nei paesi occupati avrebbero dovuto portare la “stella gialla”, a chi le disse che non era un problema dei cristiani Madre Maria risponde: «Non ti rendi conto che la battaglia è combattuta contro il cristianesimo? Se fossimo veri cristiani indosseremmo tutti la stella. È arrivata l’era dei confessori» ( Essential Writings , 33). Il 16 e 17 luglio 1942, 6.900 ebrei sono rinchiusi nel velodromo di Parigi prima di essere mandati ad Auschwitz: non hanno né cibo né acqua. Da quel momento Madre Maria si dedica completamente a loro. Li sfama come può, dà loro conforto e salva un certo numero di bambini facendoli uscire fuori dallo stadio nei bidoni della spazzatura. Nella sua casa di accoglienza è un via vai di ebrei ai quali la suora e i suoi collaboratori, tra cui il figlio Yuri, forniscono documenti falsi e vie di fuga. Vengono arrestati nel febbraio del 1943. La Skobtsova viene condotta nel campo di concentramento di Ravensbrück. Nonostante le condizioni di vita impossibili, le crudeltà e il trattamento disumano, per due anni vive cercando di rendere meno pesante la prigionia ai compagni. I sopravvissuti hanno raccontato quanto fosse amata da tutti perché non si lamentava mai, trasmetteva un’allegria autentica e non faceva differenze di persone. Nel vedere il fumo uscire dai forni crematori alimentava negli altri la speranza che quella non fosse l’unica via di uscita e diceva: «Quando si alzano più in alto, si trasformano in nuvole leggere prima di essere disperse nello spazio illimitato. Allo stesso modo le nostre anime, una volta che si sono staccate da questa terra peccaminosa si spostano senza sforzo in un volo ultraterreno nell’eternità, dove c’è vita piena di gioia». Il 31 marzo 1945 muore nella camera a gas. Il messaggio che lascia a sua madre: «Il mio stato al momento è tale che accetto completamente la sofferenza nella consapevolezza che è così che devono andare le cose per me, e, se devo morire, vedo ciò come una benedizione dall’alto».

© Osservatore Romano - 14 agosto 2020