Uniti da Gesù

cmunedi KURT KOCH

Una visione ecumenica della vita consacrata come forma di vita fedele al Vangelo si è potuta affermare perché è stato possibile individuare in maniera rinnovata le radici della vita consacrata nel tempo della cristianità ancora indivisa.
Facendo ciò, si è visto che i tre voti dell’obbedienza, della povertà e della castità, a cui si pensa immediatamente oggi in riferimento alla vita consacrata e che sono stati fraintesi al tempo della Riforma come forme particolari della giustificazione per opere, sono comparsi relativamente tardi nella storia. Più precisamente, sono il frutto di una riflessione condotta, tra il IX e il XIII secolo, nelle opere ascetiche sulle regole dei fondatori dei primi ordini religiosi. Fino a quel tempo, però, non si prendevano esplicitamente i voti, «per paura — come osserva Pacomio — che ciò che si deve praticare liberamente e per libera scelta venga fatto non per dedizione ma per d o v e re » . Il voto monastico fondamentale che si faceva era in realtà uno solo e aveva molteplici effetti. Era la confessione di una forma di vita che doveva rispecchiare l’esp erienza comunitaria di tutti i cristiani. Questo atto venne definito allora consecratio . Secondo le belle parole di sant’Agostino, il cristiano che abbraccia la vita consacrata è un homo Dei nomine consecratus et Deo votus, un uomo consacrato nel nome di Dio e dedito pienamente a Dio. In questa piena dedizione a Dio consiste l’unico voto, omnicomprensivo, su cui si fonda la vita consacrata; i tre voti della castità, della povertà e dell’obbedienza in realtà non vi aggiungono niente di nuovo. Essi servono piuttosto a concretizzare e a esplicitare il voto essenziale della piena dedizione a Dio. Questi tre voti fondamentali possono essere compresi soltanto sullo sfondo del racconto biblico delle tre tentazioni di Gesù nel deserto, le quali rappresentano i lati opposti al negativo dei tre voti e sono anche le tentazioni fondamentali che riguardano noi uomini, ovvero la tentazione dell’abuso del potere, la tentazione dell’avidità di possesso e la tentazione di essere dipendenti dall’apparenza davanti agli altri. Quanto queste tre tentazioni originarie, che Gesù stesso ha sperimentato, segnino la vita del cristiano ci viene mostrato dal fatto che su di esse Gesù incentra le intenzioni fondamentali della sua preghiera, come risulta dalle prime tre invocazioni del Padre nostro: Gesù ci invita in primo luogo a pregare affinché sia santificato il nome di Dio e sia superata la nostra tentazione di apparenza e di prestigio. In secondo luogo, egli ci esorta a pregare affinché venga il Regno di Dio e si possa vincere la nostra tentazione di potere e di dominio. In terzo luogo, Gesù ci incoraggia a pregare affinché sia fatta la volontà di Dio e sia debellata la nostra tentazione di possesso e di egoismo. Ciò che vale per ogni cristiano, viene vissuto in maniera profetica dai cristiani consacrati nei tre voti, che rappresentano il rovescio positivo delle tre tentazioni fondamentali: l’obb edienza come assenza di potere, la povertà come assenza di possesso, la verginità come assenza di matrimonio. Giustamente, il poeta russo Fjodor Dostojewski ha riconosciuto al monachesimo una funzione di segnale in un mondo dominato dalla ricerca del piacere, del possesso e del dominio, in un mondo esposto dunque alle tre tentazioni. Se andiamo ancora più al fondo di queste tre tentazioni originarie, vedremo che esse si fondono in un’unica tentazione, ovvero quella di considerare se stessi, i propri bisogni e i propri desideri del momento come più importanti del Dio vivente. Come ha osservato con parole profonde Papa Benedetto XVI: «Qui appare chiaro il nocciolo di ogni tentazione: rimuovere Dio, che di fronte a tutto ciò che nella nostra vita appare più urgente sembra secondario, se non superfluo e fastidioso. Mettere ordine da soli nel mondo, senza Dio, contare soltanto sulle proprie capacità, riconoscere come vere solo le realtà politiche e materiali e lasciare da parte Dio come illusione, è la tentazione che ci minaccia in molteplici forme ». Questo ci riporta di nuovo al voto fondamentale della vita consacrata, che consiste essenzialmente nel riconoscere il primato di Dio nella propria vita e di vivere sempre in presenza di Dio. Ecco quale è la vocazione fondamentale della vita consacrata. Il beato Papa Paolo VI ha dato per questo ai religiosi il bel nome di «specialisti di Dio». Infatti, i cristiani nella vita consacrata non sono in primo luogo chiamati a fare questo o quest’altro, ma sono chiamati a essere qualcosa di specifico, ovvero il segno profetico della presenza di Dio nel mondo odierno. Il significato più bello della vita consacrata consiste meno in ciò che questi cristiani fanno per gli uomini che in ciò che essi sono per gli uomini: segni della presenza di Dio e del senso profondo della vita, quel senso che gli uomini anche oggi ricercano consapevolmente o inconsapevolmente. Tali segni profetici sono essenziali proprio nel mondo di oggi, in cui la consapevolezza della presenza di Dio rischia di affievolirsi sempre più e in cui Dio viene messo da parte, in panchina, nella società contemp oranea. Testimoniare la presenza del Dio vivente nelle società sempre più secolarizzate di oggi è la sfida basilare dell’ecumenismo. Riconoscendo questa centralità di Dio, la vita consacrata rende all’ecumenismo un servizio eccezionale. In questa ottica teocentrica, la vita consacrata si rivela come una bella possibilità ecumenica. Essa non è altro, in fondo, che la conseguenza naturale di ciò che viviamo nel battesimo. E già i segni esteriori ce lo manifestano: entrando nella comunità di vita consacrata, le sorelle e i fratelli ricevono spesso un nuovo nome, che simboleggia il nuovo “io” donato da Cristo al battezzato. Ma con il conferimento di questo nuovo nome si ribadisce e si ratifica quello che era stato posto a fondamento già con il battesimo, nel quale il Dio trino e unico chiama il battezzato per nome. Entrando nella comunità di vita consacrata, i fratelli e le sorelle ricevono anche una nuova veste, che ricorda quella battesimale e significa così che essi si sono rivestiti di Cristo. Tutto questo ci sta a indicare che la vita consacrata, in ultima analisi, non può e non vuole essere niente altro che il più serio adempimento di quello che costituisce già il fulcro del battesimo cristiano. Di fatti, la vocazione fondamentale della vita consacrata consiste nel vivere in maniera credibile le conseguenze del battesimo e, così facendo, nel ricordare a tutta la Chiesa l’importanza cruciale del battesimo, non solo a parole, ma attraverso la testimonianza della vita vissuta. Poiché il battesimo accomuna tutti i cristiani e il mutuo riconoscimento del battesimo è il più profondo fondamento della comunità ecumenica, la vita consacrata, come coerente realizzazione del battesimo, si rivela quale forma di vita assolutamente ecumenica. L’importanza ecumenica della vita consacrata è ancora più evidente se consideriamo le sue primissime origini, al tempo, cioè, dei padri della Chiesa. In quell’epoca, la vita dei monaci era definita come vita al modo degli angeli: la vita consacrata è la vita nella comunione degli angeli. Il compito della vita consacrata è vivere e mantenere in un sano equilibrio quelle due dimensioni che caratterizzano l’esistenza cristiana e che sono presentate in maniera esemplare nel racconto di Marco sulla chiamata dei primi discepoli: Gesù «salì poi sul monte, chiamò a sé quelli che egli volle ed essi andarono da lui. Ne costituì Dodici che stessero con lui e anche per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demòni» (Marco, 3, 13-15). La prima chiamata dei discepoli, quella di stare con Gesù, può essere definita come vita apostolica dei dodici insieme a Gesù; la seconda chiamata, quella di predicare e di scacciare i demoni, può essere definita come missione apostolica dei dodici nel mondo. Queste due chiamate non solo sono inscindibilmente legate, ma nel racconto biblico avvengono in una chiara successione: la chiamata alla missione apostolica segue la chiamata alla vita apostolica con Gesù. Dietro a ciò si cela la convinzione di Gesù che i discepoli saranno in grado di annunciare il Vangelo e avranno il potere di scacciare i demoni soltanto se, per prima cosa e per sempre, impareranno e sperimenteranno lo stare con lui. La chiamata a stare con Gesù verrebbe dunque sminuita se in essa si vedesse soltanto uno stadio temporaneo, presto sostituito dalla definitiva missione. Per Gesù, la missione dei dodici presuppone lo stare con lui, che rappresenta un processo permanente di apprendimento. In contrasto con questo chiaro ordine di priorità, nel corso della storia fino ai nostri giorni, è ripetutamente emersa la tentazione di attribuire la priorità alla missione apostolica rispetto alla vita apostolica. Ecco perché nello stare dei dodici con Gesù è stato visto soltanto il luogo e il tempo della preparazione, affinché la missione possa iniziare il più presto possibile. Nella storia della Chiesa, quest’ordine di priorità si mostra nel fatto che il ministero apostolico della missione non è mai mancato, ma in essa la vita apostolica è retrocessa sempre più o è stata semplicemente considerata come un’esclusiva degli ordini religiosi e delle comunità spirituali. Proprio in questo sviluppo distorto il teologo cattolico esperto in Nuovo Testamento, Gerhard Lohfink, ravvisa le radici più profonde della crisi attuale della vita ecclesiale: «Il fatto che la Chiesa oggi viva ancora lo deve al ministero apostolico. Il fatto che sia malaticcia è dovuto all’affievolirsi della vita apostolica». Questa diagnosi ci spinge, anche nella Chiesa odierna, a concentrare la nostra piena attenzione sullo stare con Gesù, sulla vita apostolica. E ricordare questo ai cristiani costantemente è, a mio avviso, la missione speciale della vita consacrata nella Chiesa e in tutto l’ecumenismo oggi. Naturalmente anche nelle comunità religiose ci sono varie forme e vari carismi, a esempio ci sono coloro che si dedicano consapevolmente a una particolare missione apostolica e coloro che pongono in primo piano la vita apostolica. Credo però che il compito speciale e la forza vitale della vita consacrata sia mantenere sveglio il primato della vita apostolica con il Cristo risorto rispetto alla missione apostolica e questo non semplicemente a parole, ma tramite la testimonianza di una vita consacrata credibile. Emerge chiaramente anche la più profonda dimensione dell’importanza ecumenica della vita consacrata, espressa da padre Paul Couturier, appassionato pioniere dell’ecumenismo spirituale, con il paragone tra il movimento ecumenico e un monastero invisibile in cui i cristiani delle diverse Chiese nei diversi Paesi e continenti pregano insieme per l’unità. Di fatti, la preghiera per l’unità dei cristiani non rappresenta soltanto l’inizio del movimento ecumenico, con l’introduzione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, ma è e rimane anche oggi il cuore di ogni sforzo ecumenico. Con la preghiera, esprimiamo la nostra convinzione di fede basata sulla consapevolezza che noi uomini non possiamo fare l’unità, né definire la forma e il tempo della sua realizzazione, ma possiamo soltanto riceverla in dono. La preghiera deve ricordare a noi cristiani permanentemente che Gesù stesso non ha comandato ai suoi discepoli l’unità, ma ha pregato per essa. Se prendiamo sul serio questo aspetto fondamentale, allora capiremo che l’ecumenismo cristiano, in ultima analisi, non potrà essere altro se non una partecipazione alla preghiera sacerdotale di Gesù. È per questo che il decreto del concilio Vaticano II sull’ecumenismo Unitatis redintegratio ha definito l’ecumenismo spirituale come «anima di tutto il movimento ecumenico». È evidente allora che, per il progresso dell’ecumenismo oggigiorno, sono di fondamentale importanza la riflessione comune sulla vita consacrata e la prassi della vita consacrata: i cristiani consacrati sono protagonisti speciali del movimento ecumenico.

© Osservatore Romano - 1 aprile2016