Italia Patriarca Bartolomeo: Sfida comune per le religioni. Il seme più piccolo

patriarca Bartolomeo«Il più piccolo seme di pace può avere un impatto grandissimo sul mondo». Le parole del patriarca Bartolomeo sintetizzano in modo assai eloquente lo spirito con i circa cinquecento rappresentanti delle religioni che sono da ieri, domenica 18, radunati nella città di san Francesco. Incontro, come è noto, convocato a trent’anni dalla storica giornata voluta da Giovanni Paolo II — era il 27 ottobre 1986 — che chiamò proprio ad Assisi i leader mondiali delle religioni per una preghiera corale per la pace. Nel frattempo, archiviata la guerra fredda tra le superpotenze, il mondo ha purtroppo conosciuto altre emergenze e una spirale di violenza diffusa che ha travolto il Medio oriente, l’America, l’Africa, l’Asia, l’Europa.
Una lunga scia di sangue che nel segno del fondamentalismo e dell’uso strumentale della religione ha recentemente toccato Parigi, Bruxelles, Nizza, fino a colpire una piccola chiesa della Normandia, a Rouen. In questo contesto i leader religiosi sono tornati ad Assisi. E attendono con trepidazione l’arrivo di Papa Francesco che segnerà il momento più alto della tre giorni di lavori intitolati «Sete di pace. Religioni e Culture in dialogo». Alla giornata inaugurale, aperta con la messa presieduta dal vescovo di Assisi - Nocera Umbra - Gualdo Tadino, Domenico Sorrentino, ha partecipato anche il presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella. «Il dialogo tra le religioni, tra credenti e non credenti, il dialogo nella cultura può molto nella lotta al terrore, più di quanto si pensi. 
Lo scontro contro la violenza estremista è anche uno scontro culturale. E quindi la cultura può prevalere sull’oscurantismo», ha rimarcato il capo dello Stato. Riflessioni contenute anche nell’intervento centrale della giornata inaugurale, quello appunto del patriarca di Costantinopoli, che ha sottolineato l’importanza del dialogo tra le fedi e le culture. «Ho in mente quando, da giovane — ha detto Bartolomeo — incontrai il patriarca ecumenico Atenagora, un leader straordinario, dalla sensibilità ecumenica, un uomo alto, con occhi penetranti e una barba molto lunga. Il patriarca Atenagora era noto perché invitava le parti in difficoltà a incontrarsi insieme per poter risolvere il loro conflitto; diceva loro: “Venite, guardiamoci negli occhi e vediamo cosa abbiamo da dirci”. Aveva ben capito che la pace è qualcosa di personale. 
Il fatto di guardarsi l’un l’altro con onestà, al fine di comprendersi e cooperare reciprocamente è un concetto di vitale importanza all’interno di qualsiasi dialogo religioso che abbia lo scopo di stabilire la tolleranza e la pace nel mondo». In questi anni, ha aggiunto, «siamo tutti stati testimoni di cambiamenti costruttivi e creativi nella società contemporanea, nel senso di una maggiore apertura e integrazione nei confronti di altre fedi e minoranze». Allo stesso tempo, però, «nel mondo abbiamo sperimentato episodi di esclusione e violenza verso migranti e profughi. Se abbiamo veramente sete di pace dobbiamo sicuramente lavorare per la pace». Per questo motivo, ha sottolineato, «il Santo e grande concilio della Chiesa ortodossa, nel messaggio conclusivo, ha dichiarato: “Un serio dialogo interreligioso aiuta in modo significativo la promozione della fiducia reciproca, della pace e della riconciliazione”». La ragione fondante dell’apertura e del dialogo, in ultima analisi, ha affermato Bartolomeo, «è che tutti gli esseri umani si confrontano con le stesse sfide. Il dialogo, quindi, conduce persone provenienti da culture diverse a uscire dall’isolamento, preparandole a uno scambio di rispetto reciproco e coesistenza. Naturalmente, alcuni hanno delle convinzioni forti — potremmo dire fondamentaliste — e sacrificherebbero la propria vita piuttosto che cambiare le proprie opinioni. Altri, purtroppo, arriverebbero addirittura a togliere la vita a vittime innocenti pur di difendere il proprio punto di vista. È questo il motivo per cui siamo obbligati ad ascoltare con più attenzione, a “guardarci l’un l’altro” con amore e compassione, a guardarci più profondamente “negli occhi”. Infatti, in realtà, siamo più vicini l’uno all’altro di quanto non siamo distanti o differenti». La pace, insomma, «è un avvenimento comune, un’impresa collettiva». 
La pace deve essere «una risposta ecumenica a una responsabilità ecumenica», perché «possiamo preservare la pace e salvaguardare il nostro pianeta soltanto attraverso la cultura del dialogo». Una responsabilità avvertita anche nelle toccanti parole dell’arcivescovo di Rouen, Dominique Lebrun, che ha portato ai partecipanti all’incontro di Assisi la testimonianza dalla città di don Jacques Hamel, l’anziano sacerdote brutalmente ucciso il 26 luglio scorso mentre celebrava la messa. «Chiedo a Dio, per intercessione di san Francesco e di padre Hamel, la grazia del perdono», ha detto il presule. «Perdonare gli assassini? Non è così difficile perdonare due assassini ma i mandanti, coloro che li hanno incoraggiati, approvati, questo è più difficile». Se dunque per gli assassini valgono le parole di Gesù sulla croce, «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno», per i mandanti il perdono, dice monsignor Lebrun, è più difficile. «Sono capace di pregare per la loro salvezza, di amarli? Domando la grazia di amarli come fratelli». 
L'Osservatore Romano, 19-20 settembre 2016.

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