Serbia - Il patriarca di Belgrado “ferma” il Papa

Un intenso primo piano del patriarca IrenejNuove chiusure sul viaggio del pontefice in Serbia. Irenej: «È bello che voglia venire ma gran parte della nazione è contraria»

BELGRADO. Prima qualche timida apertura, poi di nuovo chiusure che fanno capire che il

momento giusto non è ancora arrivato. Ed è difficile immaginare che il 2017 sarà ricordato per la prima, storica visita ufficiale in Serbia di un pontefice della chiesa cattolica.

Stepinac che rimane una ferita aperta, come aveva messo nero su bianco lo stesso Irinej in una lettera a Papa Francesco, spedita nel 2015.

Lo si evince dalle parole del patriarca serbo-ortodosso, Irinej, che si è concesso in un'intervista al quotidiano popolare belgradese Kurir. Intervista in chiave natalizia, con inclusa piccola icona di carta regalata ai lettori – oggi si festeggia il Natale ortodosso – durante la quale il patriarca ha spaziato tra vari temi.

 

 

Le relazioni con la Croazia, che dovrebbero essere come quelle «con i primi vicini e con i cristiani». La denatalità in Serbia, con i villaggi che «si spopolano, le scuole che chiudono, i «deleteri effetti dell’aborto».

Ma Irinej ha toccato anche l’argomento, sempre delicato, di un possibile viaggio del Papa in Serbia. Viaggio che può essere organizzato, il Papa è libero di pensarci, ha specificato Irinej, ma sarebbe meglio soprassedere, il tacito suggerimento.

«Lei non è contrario alla visita del Papa, perché questa resistenza?», la domanda dell’intervistatore. «Sul tema non decide il patriarca, l’ho ripetuto più volte», ha puntualizzato Irinej, confermando precedenti dichiarazioni, «ma il Sabor», il consiglio episcopale serbo-ortodosso.

 

«A noi fa piacere che il Papa abbia il desiderio di visitare la Serbia, ma a causa di tutto quanto accaduto nel passato e del enorme numero» di rifugiati serbi, espulsi dalla Croazia, nazione cattolica, durante le guerre degli Anni Novanta, «una grande parte della nazione è contraria» all’arrivo del pontefice, ha aggiunto Irinej. Papa che ha comunque tutto «il diritto di visitare la Serbia» come rappresentante dello Stato Vaticano.

Certamente, un viaggio storico, come il primo di un pontefice cattolico in Serbia, «non mi disturberebbe» e faciliterebbe «l’avvicinamento» tra le due Chiese, quella ortodossa di Belgrado e quella di Roma. Infine, il neppur troppo implicito ammonimento a Papa Francesco. Francesco che è una persona «educata, non visiterebbe mai un Paese» dove la maggioranza non professa il credo cattolico «senza il permesso della chiesa locale».

 

Parole, quelle di Irinej, che segnano un passo indietro rispetto a una precedente intervista del patriarca, data a ottobre alla Tv serba “Pink”. In quell’occasione, Irinej aveva ribadito che la visita del Papa sarebbe stata «di grande utilità», anche se – come confermato ieri – non è il solo patriarca a decidere, ma bisogna attendere il consenso del Sabor, il sinodo ortodosso.

E «resto convinto che il Papa non verrà finché non riceverà anche un invito e il consenso della nostra Chiesa», aveva suggerito a ottobre Irinej. Irinej che, alle telecamere di Pink, aveva indicato altri punti di attrito, oltre a quello dei serbi cacciati dalla Croazia durante l’ultimo conflitto. C’è anche da considerare il ruolo di membri della Chiesa cattolica «nel movimento ustasha».

E poi la canonizzazione di Stepinac, il controverso arcivescovo di Zagabria durante l’epoca buia del regime di Ante Pavelic, da beatificare nelle intenzioni di tanti cattolici croati, solo un criminale collaborazionista nella visione comune dei serbi.

«Abbiamo il timore che ci siano troppe questioni aperte e ferite che Stepinac e la sua canonizzazione rappresentano e che, con nostro grande dispiacere, riporterebbero indietro le relazioni tra cattolici e ortodossi e tra serbi e croati a tragici momenti della storia».

Continua così il tira e molla sulla visita del papa, un tira e molla che risale a decenni fa, con la volontà di Giovanni Paolo II di venire in Serbia già nel 1994, con il beneplacito di Milosevic. Anche in quel caso la chiesa ortodossa disse no, citando gli ancor «freschi» ricordi del sostegno cattolico agli ustasha. Quando arriverà il momento, lo si saprà solo con il passare del tempo e l’affievolirsi di dolorose memorie.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

©   http://ilpiccolo.gelocal.it/trieste/cronaca/2017/01/07