Un’Europa che ha bisogno di Cristo

CCEE 630x210SAN GALLO, 13. «L’Europa ha bisogno di speranza. Per questo essa ha un bisogno elementare di Cristo. E la missione della Chiesa consiste nell’offrire, presentare e testimoniare Cristo come fonte di speranza per tutti». Lo scrive il cardinale arcivescovo di Esztergom-Budapest, Péter Erdő, presidente del Consiglio delle conferenze episcopali d’Europa (Ccee), nell’editoriale del rapporto annuale 2015-2016 «Ecclesia in Europa», volume che raccoglie le attività del Ccee e le Litterae communionis, ovvero le relazioni elaborate dai singoli episcopati sui principali temi affrontati durante l’anno da Chiese e società locali. Erdő coglie l’occasione per ripercorrere le numerose iniziative organizzate dal Ccee nei suoi dieci anni di presidenza (venne eletto nel 2006): dalla terza Assemblea ecumenica europea di Sibiu al Forum europeo cattolico-ortodosso, alle Giornate sociali europee organizzate insieme alla Comece, ma anche quella miriade di incontri volti a far crescere la comunione e lo scambio dei doni tra le conferenze episcopali e rispondere alle gioie e alle sfide delle società in Europa.
«Quando, dieci anni fa a San Pietroburgo, l’assemblea plenaria del Ccee ha voluto scegliere un vescovo “dell’Oriente europeo” come presidente — osserva il porporato — era manifesta l’intenzione di promuovere lo scambio delle esperienze di fede, di vita ecclesiale e la condivisone fraterna che comprende tutti dall’Atlantico fino agli Urali, e ben oltre, fino all’Oceano Pacifico, poiché la Conferenza episcopale della Russia rappresenta le comunità cattoliche anche della parte asiatica di questo Paese». Ma il pensiero di Erdő corre a ritroso nel tempo, fino al crollo del muro di Berlino nel 1989 e ai «primi incontri ormai liberi dei vescovi del continente» dai quali «si delineava un quadro impressionante a livello umano, cristiano e pastorale». Lo scambio dei doni materiali ma soprattutto spirituali tra le due parti del continente europeo «ha provocato all’inizio anche delle illusioni ma ha contribuito all’a p p ro - fondimento della vita cattolica in tutto il continente. Alcuni in Occidente avevano persino paura della clericalizzazione delle società europee, cosa che non si è affatto realizzata. La rinascita istituzionale di diverse strutture ecclesiali nell’Est europeo andava di pari passo con la secolarizzazione di quelle società che erano già spesso più secolarizzate di quelle occidentali in seguito al lungo tempo passato nel contesto dell’ateismo ufficiale. Nel quadro della rinascita delle culture e delle strutture sociali dei popoli appena liberati e per evitare la criminalizzazione di tutta la società, la politica cercava i valori nell’eredità culturale quasi distrutta nei decenni precedenti. Così cominciava a riscoprire i valori della cultura cristiana e forse a volte anche quelli della fede stessa». Nel 1999 si celebrava la seconda assemblea speciale per l’E u ro - pa del sinodo dei vescovi. Giovanni Paolo II — ricorda il presidente del Ccee — nella sua esortazione apostolica post-sinodale Ecclesia in Europa ha messo al centro Gesù Cristo vivente nella sua Chiesa come sorgente di speranza per l’Europa: «Già da questa scelta tematica si delineava il quadro di un’Europa diventata un po’ più tranquilla e pacifica, la quale però, malgrado la crescita del benessere in molte parti e le possibilità di una vita persino lussuosa per pochi, cominciava a diventare triste, cominciava a non vedere il senso e il valore della vita». Tra le sfide di oggi ci sono quelle dell’educazione dei giovani e dell’accoglienza dei migranti. «Non siamo di fronte a una gioventù rivoluzionaria, bensì abbiamo da incontrare molti giovani minacciati dall’egoismo, dalla passività, dall’individualismo e dalla solitudine», scrive il cardinale, per il quale, «dopo i sinodi dei vescovi del 2014 e 2015 e dopo l’esortazione apostolica Am o r i s laetitia, risulta chiara l’imp ortanza delle comunità cattoliche, soprattutto di quelle composte da famiglie, nell’accoglienza e nell’accompagnamento dei giovani che devono prendere le grandi decisioni della loro vita e superare le difficoltà. Ci vogliono sforzi speciali affinché i giovani di diversa appartenenza sociale possano trovare il loro posto in queste comunità». Ciò che è comune e condiviso ovunque è l’impegno cristiano nelle opere di carità per aiutare i più bisognosi: «Risulta molto istruttivo vedere come in base allo stesso impegno nella fede i cattolici dei Paesi del centro e delle diverse periferie europee trovano le vie più appropriate della misericordia e della carità cristiana. La nostra forza, infatti, proviene dalla persona di Cristo, dal suo insegnamento e dalla sua grazia. È lui — conclude Erdő — che ci mostra le risposte giuste di fronte alle sfide speciali e comuni».

© Osservatore Romano - 14 settembre 2016