Un uomo di apertura

Toaff 86L’ultimo incontro con un Papa di Elio Toaff fu con Benedetto XVI il 17 gennaio 2010, quando Ratzinger visitò la comunità ebraica di Roma, guidata con saggezza ed equilibrio per mezzo secolo dal rabbino spentosi ieri a quasi cent’anni.
Quel giorno, dopo l’omaggio del Pontefice davanti alla lapide che ricorda l’orrenda razzia del 16 ottobre 1943, il rabbino Toaff, uscito dalla sua casa nonostante l’età e il clima freddo, lo accolse con un gesto quasi silenzioso, che si concentrò in uno scambio di sguardi commossi e nello stringersi delle mani, senza bisogno di troppe parole, in mezzo a una piccola folla di rappresentanti della più antica comunità della diaspora, in prevalenza anch’ essi anziani e visibilmente emozionati. Toaff è stato un uomo di fede a cui molto devono ebrei e cattolici per l’inestimabile contributo personale del rabbino capo emerito di Roma alla reciproca conoscenza e a un’amicizia che cresce. Per superare una storia troppo lunga di rivalità e inimicizia, di contrasti e persecuzioni, nella consapevolezza di una vicinanza profonda, pur nelle differenze, e di un futuro comune, in parte già presente e possibile, in parte ancora lontano e misterioso. Nella lunga e ricca vita di Elio Toaff il tratto più caratteristico è certamente l’ap ertura. Fin dalle sue origini e grazie all’esempio del padre, Alfredo Sabato Toaff, allievo di Pascoli, grecista e amico di ecclesiastici cattolici. E cattolica era Anna Pierazzi, per un sessantennio domestica in casa Toaff, a cui il padre del futuro rabbino insegnò a leggere e scrivere, preoccupandosi di mandarla a messa tutte le domeniche; dal canto suo la tata, mettendo a letto i bimbi, raccomandava loro di dire lo shemà. È dunque in casa, fin da piccolo, che Toaff visse e imparò lo spirito di apertura che l’avrebbe accompagnato per tutta la vita. I rapporti tra cattolici ed ebrei nell’Italia del Novecento e a Roma sono stati anche difficili e dolorosi. In questa storia Toaff ha avuto un ruolo di primissimo piano ed è significativo che il suo libro più conosciuto sia in gran parte dedicato appunto ai rapporti tra ebrei e cattolici, dimostrando un’amicizia a cui tanti hanno contribuito, non ultimi i Papi. Non è allora un caso che Giovanni Paolo II nell’ultima aggiunta al suo testamento abbia voluto ricordare «il rabbino di Roma». Riconoscendo implicitamente a Elio Toaff quel cuore aperto e quel pensiero largo che resteranno legati alla sua venranda memoria.

G. M. Vian

© Osservatore Romano 20-21 aprile 2015