Lo spirito della materia

SSTrinita AndrejRublevAIDAN HART

Io non adoro la materia, adoro il Dio della materia, che per me è divenuto materia, e si è degnato di abitare nella materia, e ha portato la mia salvezza attraverso la materia. Non cesserò di onorare quella materia che opera la mia salvezza. La venero, seppure non come Dio». (San Giovanni Damasceno, Sulle Icone Sante, I. 16). Queste parole di san Giovanni Damasceno, venerato sia in Oriente sia in Occidente come dottore e padre della Chiesa sono state scritte in difesa delle icone contro gli iconoclasti. Tuttavia, esse affermano il ruolo spirituale non solo delle immagini sacre, ma anche di tutto il mondo materiale. La materia ora è importante non solo perché Dio l’ha creata, ma anche perché si è unito ad essa in un modo personale e ipostatico attraverso l’incarnazione. In quest’epoca come in nessun’altra la Chiesa deve conoscere e celebrare l’uso proprio ed entusiasta del mondo materiale. Il materialismo è di fatto un abuso e non un uso della materia. Il consumismo può essere considerato come una parodia secolare della santa Eucaristia, una parodia perché consumiamo senza rendimento di grazie, perché prendiamo un dono voltando le spalle al donatore. Quindi divoriamo, ma non siamo nutriti né sazi. Solo in Cristo si può comprendere e sperimentare il ruolo vero ed elevato del mondo materiale. In questo articolo desidero evidenziare in che modo la creazione e l’uso delle icone è un’ incarnazione grafica della “teologia” della Chiesa ortodossa della materia. Questa è una teologia incentrata sull’incarnazione di Dio e sulla trasfigurazione della persona umana e attraverso la persona, di tutto il c re a t o . Per essere corretti la teologia è il discorso sulla natura di Dio come Trinità, ma qui utilizziamo questo termine nel senso più generale. Parliamo anzitutto dell’uso delle icone e poi della loro creazione. Icona è una parola greca che significa immagine e in quanto tale pone immediatamente l’icona religiosa come mediatrice fra chi la guarda e ciò che essa ritrae. Il ruolo di qualsiasi icona, ma delle icone sacre par excellence, è quello di mediare. Il modo in cui trattiamo l’immagine è un riflesso di come vediamo la persona rappresentata. San Giovanni Damasceno cita san Basilio Magno: «l’onore tributato all’immagine viene trasferito al suo prototipo». (Sulle Icone Sante, I, 21, citando San Basilio Lettere sullo Spirito Santo, 18). Adoriamo Cristo e onoriamo i santi quando baciamo le icone o accendiamo candele di fronte alle loro immagini. Immagini di Cristo, della Madre di Dio e dei santi sono icone ovvie, ma, in generale tutta la creazione materiale nella sua bellezza è anch’essa una icona. La creazione esiste non soltanto per nutrire l’uomo fisicamente, ma anche per essere un’immagine di cose più elevate, un dono di amore, un’e s p re s s i o - ne di bellezza divina e di generosità. Quando la riceve e la contempla con rendimento di grazie, l’uomo sperimenta il mondo materiale come sacramento di amore. Quando l’afferra e lo consuma senza rendimento di grazie mangia morte. Questo naturalmente non significa che la materia divenga male in sé, ma che il nostro privarla del carattere di dono e il nostro depersonalizzarla, la rende mera materia, non un idolo. Con profonda intuizione, sant’Efrem il Siro, afferma che l’albero della conoscenza del bene e del male è di fatto creazione. Quando essa è ricevuta con rendimento di grazie porta all’uomo vita spirituale e bontà. Quando recepita senza rendimento di grazie diviene per lui priva di vita, un oggetto, una cosa morta, mero metallo; non certo una fede nuziale Che cosa deve dirci il modo in cui sono dipinte le icone tradizionali sul mondo materiale come Dio intendeva che fosse? Osserviamo che le icone non sono naturalistiche, ma, in qualche modo, tendono a cose astratte. Questa stilizzazione è un tentativo di suggerire lo stato trasfigurato delle cose, di vedere l’uomo e il mondo non soltanto con occhi fisici, ma con gli occhi dello spirito. Pur non essendo naturalistiche, le icone sono realistiche. Un inno della Chiesa ortodossa per la Festa della Trasfigurazione recita così: «O Cristo, ti sei rivestito dell’i n t e ro Adamo, hai illuminato la natura un tempo oscurata e nella metamorfosi del tuo aspetto l’hai divinizzata». Le icone mostrano l’uomo nella sua vera natura come essere creato e risplendente della luce del Creatore. Come scrive l’Ap ostolo Pietro «Con queste cose [Dio] ci ha donato i beni grandissimi e preziosi che erano stati promessi, perché diventaste, per loro mezzo, partecipi della natura divina, essendo sfuggiti alla corruzione che è nel mondo a causa della concupiscenza » (2 Pietro, 1, 4). Osserviamo anche che le tre descrizioni evangeliche della Trasfigurazione mostrano che le vesti di Cristo nonché la sua Persona emanavano luce. Le vesti di lino partecipavano della grazia divina per associazione con il suo corpo divino. Parimenti, la vita sacramentale della Chiesa intesse una veste per sé utilizzando la materia e quindi trasfigura la materia stessa. Attraverso la Chiesa, il mondo può diventare cosmo od ornamento — che è uno dei significati letterali di cosmo. È questo il mondo trasfigurato che le icone affermano attraverso il modo in cui ritraggono le persone, la natura e gli edifici. La materia non viene mai mostrata come mera materia, ma come materia infusa della gloria del Signore. Non c’è chiaroscuro, perché tutte le cose sono piene di luce e sono immerse nella luce. E l’attuale processo di pittura delle icone? Che cosa ci può dire questo sul rapporto più ampio dell’uomo con il mondo materiale così come Dio intendeva che fosse? Possiamo rispondere guardando ai tre ruoli classici di profeta, sacerdote e re. Un profeta procede nello Spirito Santo e attraverso quest’ultimo è ispirato ad ascoltare la Parola di Dio e ad annunciarla. Lui o lei non pronunciano parole proprie, ma soltanto la Parola ispirata e provata di Dio. Parimenti, un pittore di icone è chiamato non a esprimere le proprie opinioni personali, ma a incarnare la Parola di Dio con colori e linee. Questo non significa che l’iconografo debba copiare senza pensare, non più di quanto un profeta legge semplicemente un testo. Un pittore di icone deve, certamente essere fedele alle caratteristiche accettate del santo da ritrarre (per esempio l’Apostolo Pietro è sempre ritratto con capelli ricci e bianchi e barba) e includono in una icona gioiosa tutte le caratteristiche essenziali. Tuttavia, egli lotta per vivere la stessa vita santa dei santi cosicché li può dipingere come persone che conosce personalmente attraverso lo Spirito Santo. Il pittore di icone è chiamato a percepire l’essenza o lògos della persona o dell’evento sacro che dipinge, quel che il poeta Gerard Manley Hopkins ha definito la tensione interiore di una cosa. E allora deve cercare di rendere questo lògos manifesto nella pittura, di divenire l’equivalente del profeta che profetizza. Testi ascetici, in Oriente e in Occidente, affermano tre stadi di vita spirituale. Dopo la purificazione giunge l’illuminazione, c’è la percezione dei logòi o essenze interiori delle cose create. Queste sono le parole di Dio che porta ogni cosa ad esistere e che resta anche in esse e le conduce verso il loro compimento nel futuro. Il Lògos non solo crea con la sua Parola, ma è anche «impronta della sua sostanza e sostiene tutto con la potenza della sua parola» (Ebrei 1, 3). Dio conduce e compone. Il pittore di icone, aiutato dalla sapienza di secoli della tradizione e dall’ispirazione dello Spirito, cerca di portare alla luce e di rendere visibili le qualità spirituali delle persone, le cose materiali, gli eventi storici che dipinge. Le icone se vissute su base quotidiana, ci aiutano a percepire il mondo come un roveto ardente, che brucia, ma non è consumato dalla gloria di Dio. Cominciamo a vedere il mondo non solo come natura, ma come sinfonia di amore composta dal nostro Amante. Infatti, sul Monte Tabor non fu tanto Cristo a cambiare, ma furono i discepoli. Il Signore aprì loro gli occhi affinché lo vedessimo come era sempre stato. È significativo che il pittore di icone comincia la sua opera con una superficie bianca, il bianco abbagliante del gesso. Questo rappresenta lo Spirito Santo. Un profeta attende in silenzio al cospetto dello Spirito Santo e desidera soltanto pronunciare parole portatrici di Dio. Da più di venticinque anni sono iconografo a tempo pieno e ancora siedo di fronte a questo bianco luminoso con timore. Temo di coprirlo con una pittura spessa invece di lasciarla trasfigurare e illuminarla dal di dentro. E qual è il ruolo sacerdotale dell’iconografo, e quindi di tutti i cristiani, a proposito della materia? Un sacerdote è una persona che offre. Per l’esattezza, offre a Dio non solo il singolo talento giù donato, immutato e privo di interesse, ma offre cose trasformate dalla sua opera. Nell’Eucaristia non offriamo uva e grano, ma pane e vino. Offriamo la «materia grezza» donata da Dio, ma trasformata dalla cultura umana. Dio a sua volta trasforma questa offerta per mezzo della sua “cultura divina” e diviene, nell’Eucaristia, il Corpo e il Sangue di Cristo. Le icone non sono un sacramento perché non divengono sacre in virtù di una benedizione sacerdotale — c’è una pia tradizione di benedizione delle icone, ma non è questo che le rende sacre. Le icone restano legno e pigmento, ma sono sacre in virtù del fatto che recano la somiglianza e il nome del santo prototipo. Ciononostante vi è un parallelismo fra il processo di offerta sacerdotale e la pittura dell’iconografo. Un sacerdote rappresenta il popolo al cospetto di Dio, e ciò che egli offre lo offre a nome di tutti. Parimenti un’icona rappresenta tutti gli aspetti della creazione materiale. L’iconografo prende i pigmenti dal regno minerale (terre, pietre semipreziose), legno per il pannello dal regno vegetale e uova per legare i pigmenti dal mondo animale. L’icona quindi diviene un microcosmo del cosmo, un’offerta di tutta la creazione da parte dell’iconografo la cui opera rappresenta la chiamata sacerdotale di ogni persona. In tal modo, le icone non sono solo manifestazioni del cielo sulla terra, una finestra o una porta per mezzo della quale i santi possono rivelarsi a noi, ma sono anche un’offerta dell’uomo a Dio, una preghiera sacerdotale sotto forma di immagini piuttosto che di parole. Proprio come le preghiere sono suoni trasformati in parole dallo spirito e dall’intelligenza dell’uomo, così le icone sono oggetti materiali trasformati in forma e ritmo in una espressione di amore e di adorazione. Questo ci conduce al terzo ministero, quello regale. Il ruolo di guida correttamente inteso è affine al quello del direttore di un’orchestra. Consiste nel trarre il meglio da ciascun individuo e nel dirigere l’o rc h e s t r a in un’unità armoniosa. Il comandamento dato all’uomo nel primo racconto della creazione di «avere il dominio» (Genesi, 1, 28) è spiegato nel secondo: «Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden perché lo coltivasse e lo custodisse» (Genesi, 2, 15). Il dominio è dato per nutrire e allevare, non per schiacciare. Per un verso il direttore d’orchestra deve affermare l’unicità di ogni strumento, il flauto può esprimere ciò che un tamburo non è in grado di fare e viceversa. D’altro canto il direttore deve anche garantire che il singolo strumento svolga la sua parte nel creare una sinfonia armoniosa. Parimenti l’iconografo, come direttore di un’orchestra di colori e di forme, deve conoscere le caratteristiche speciali di ogni pigmento. Terre verte, per esempio, è un pigmento naturalmente traslucido e dovrebbe essere usato in modo differente da un pigmento naturalmente opaco come l’ocra rossa. Alcuni pigmenti, come il vermiglione, divengono più scuri se macinati in modo più sottile mentre altri, come l’azzurrite, perdono intensità cromatica se macinati in modo troppo sottile. In conclusione, possiamo affermare che tutti livelli di creazione, dal serafino all’umano fino agli atomi, sono compiuti in rapporto, in comunione. Dio stesso è una comunione ineffabile di Tre, con nessuna divisione e nessuna confusione fra Persone. Il Padre non è il Figlio e il Figlio non è lo Spirito e tuttavia non sono separati. Il rapporto è al centro di ogni cosa che la Santa Trinità ha creato. La stessa parola “eco” da cui derivano i termini ecologia, ecosistema, e così via, significa casa, dimora; una sinergia fra persona e materia. La creazione, l’uso e la contemplazione di una icona, restano un’incarnazione grafica di questa sacra ecologia. L’icona sacra ci ricorda che tutto il creato può essere trasfigurato, può diventare un ornamento o còsmos per la Chiesa divina e umana. La Chiesa splendente di luce e vestita di ornamento trasfigurato, sarà dunque «una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle» (Apocalisse , 12, 1).

© Osservatore Romano - 28 gennaio 2012