Contro ogni umanità

bimba-damasco«Atti contro Dio e contro ogni senso di umanità». Così il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese orientali, denuncia «l’estrema gravità» delle violenze scatenate in questi giorni contro le popolazioni irachene «duramente colpite da barbarie totalmente contrarie alla dignità umana». In un comunicato del dicastero diffuso nella serata di ieri, giovedì 7 agosto — poche ore dopo il «pressante appello» rivolto dal Papa alla comunità internazionale affinché si attivi «per porre fine al dramma umanitario in atto», per «proteggere quanti sono interessati o minacciati dalla violenza» e per «assicurare gli aiuti necessari» — il porporato manifesta riconoscenza a Francesco «per la vicinanza tanto sollecita espressa agli oltre centomila cristiani che nella notte hanno dovuto lasciare le proprie case, chiese e villaggi della biblica piana di Ninive in Iraq e ora vagano verso la città di Erbil in condizioni impossibili alla ricerca di rifugio e sopravvivenza sempre più incerti».
Proprio alla luce di questa «grave situazione», il Pontefice ha incaricato oggi il cardinale Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli (che è stato nunzio apostolico a Baghdad dal 2001 al 2006), di di recarsi nel Paese come «suo inviato personale» per esprimere «la sua vicinanza spirituale alle popolazioni che soffrono e portare loro la solidarietà della Chiesa». Di fronte a questa immane tragedia il prefetto del dicastero per le Chiese orientali si fa interprete del «dolore immenso» e dello «sdegno dei pastori e dei fedeli orientali cattolici sparsi nel mondo». Il cardinale Sandri «rinnova la più intensa preghiera al Signore per le popolazioni» e ribadisce «la piena solidarietà umana e cristiana nei loro confronti». Ma soprattutto formula l’auspicio che «il mondo civile, le pubbliche autorità e gli organismi internazionali, nella estrema gravità della situazione, non attardino gli indispensabili interventi umanitarie a ogni altro livello per fermare, specie in Iraq e Siria, il doloroso e profondamente ingiusto esodo dei cristiani dalle terre che abitano da duemila anni». La Congregazione, che è in costante contatto con il patriarca di Babilonia dei Caldei, Louis Raphaël I Sako, con la rappresentanza pontificia a Baghdad e con i vescovi locali, «incoraggia i responsabili e quanti sono sensibili alla sorte dei cristiani d’Oriente affinché si compia con urgenza quanto è indispensabile per alleviarne le sofferenze». In particolare viene espressa grande preoccupazione per la sorte dei bambini, degli anziani e dei malati, che vivono «nella più insopportabile tribolazione», privi come sono «di acqua, cibo e di ogni altro genere di prima necessità». Lo spettro che si profila, secondo il dicastero, è quello di «un epilogo catastrofico, se non si pone fine alla marcata insicurezza generale alimentata dalla indifferenza di molti più volte denunciata». Parole che riecheggiano anche nell’appello congiunto lanciato dai patriarchi orientali cattolici e ortodossi, riunitisi nella sede patriarcale maronita di Dimane, nel nord del Libano, alla presenza del nunzio apostolico, l’arcivescovo Gabriele Caccia. Nel lungo comunicato diffuso al termine dell’incontro i patriarchi hanno manifestato inquietudine e sgomento per gli sviluppi «senza precedenti» della situazione dei cristiani iracheni, chiedendo ai responsabili religiosi e agli organismi politici di prendere una posizione chiara su quanto sta accadendo nella piana di Ninive e sollecitando in particolare un intervento delle Nazioni Unite, mirato soprattutto ad assicurare la restituzione delle case e dei beni sottratti alle popolazioni civili costrette alla fuga. Nel condannare ogni forma di estremismo religioso i patriarchi hanno affermato che «cristiani e musulmani hanno il dovere di farvi fronte insieme, per trasmettere alle generazioni future un Medio oriente libero da questo flagello, illuminando le coscienze e le intelligenze, e invitando i fedeli a rispettare l’essenza della religione, lontano da qualsiasi uso che se ne possa fare per ragioni personali o per raggiungere un obiettivo regionale o internazionale». A questo scopo il comunicato ricorda che i responsabili religiosi «non hanno altra scelta che ritrovare lo spirito di unità», per riscoprire «i vantaggi della diversità» e «accettarsi reciprocamente nei loro modi di vita differenti, nel mutuo rispetto e nell’eguaglianza civica, in tutti i Paesi in cui essi si trovano». Più in generale i patriarchi hanno esortato gli Stati ad affrontare il tema della «diversità culturale» non da un angolo di visuale meramente quantitativo, «come se soltanto il numero desse valore alla presenza umana», ma a tener conto «del contributo umano di ciascuna persona, secondo i doni che il Creatore le ha dato».

© Osservatore Romano - 9 agosto 2014