Hanno colpito il futuro

Mons. Francis Chullikatt (nunzio) sulla strage di giovani cristiani
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“Vicinanza spirituale alle comunità cristiane dell'Iraq a tutti gli uomini e le donne di buona volontà perché mantengano salde le vie della pace e respingano tutti gli atti di violenza che hanno causato così tante sofferenze”. È quanto si legge in un telegramma di Benedetto XVI, a firma del segretario di Stato, card. Tarcisio Bertone, diffuso il 4 maggio da Radio Vaticana, inviato alla Chiesa irachena dopo l’attentato del 2 maggio che ha provocato 4 morti e 171 feriti tra gli studenti di un convoglio diretto all’Università di Mosul. Ne abbiamo parlato con il nunzio apostolico in Giordania e Iraq, mons. Francis Assisi Chullikatt.
Eccellenza, ancora un attacco contro i cristiani, e questa volta a pagare col sangue sono stati giovani studenti universitari…
“È stato un attacco non solo contro i cristiani ma contro l’intero Iraq. Questi giovani andavano all’Università solo per studiare e per ottenere un'educazione che li trasformasse in cittadini ben formati a livello accademico, culturale, sociale e spirituale, per poter così contribuire alla ricostruzione del loro Paese. Questi attacchi efferati hanno quindi contribuito soltanto a spegnere le aspirazioni di questi giovani innocenti e a stroncare la rinascita irachena”.

Perché colpire un convoglio di giovani studenti?
“I giovani sono il futuro della nazione e della Chiesa irachena. I giovani sono gli artefici di una nuova nazione che tutti gli iracheni, musulmani e cristiani, intendono costruire insieme. Essi vogliono essere portatori di speranza, profeti di riconciliazione e messaggeri di pace. Senza di loro una nazione e la stessa Chiesa non possono sognare un futuro luminoso. La speranza è che i giovani iracheni non rinuncino a sperare e a studiare. La loro vocazione è costruire – dice Benedetto XVI – un futuro di speranza per l’umanità. E noi tutti abbiamo il dovere di aiutare i giovani iracheni a realizzare la loro missione per il bene della loro nazione”.

Gli episodi di violenza anticristiana si susseguono ormai da anni: esiste, a suo parere, un complotto per cacciare i cristiani dall’Iraq?
“Più che un complotto vedo il tentativo da parte dei terroristi di dimostrare che è solo con la violenza che si possono risolvere le questioni interne al Paese. Un approccio assolutamente illogico. Non è con la violenza che si possono cambiare le questioni religiose, sociali e politiche”.

Fino a ieri (3 maggio, ndr.) non si sono registrati attestati di solidarietà da parte delle autorità, dopo l’attacco di Mosul. Pare che i cristiani siano stati lasciati soli.
“In queste ore so che alcune autorità locali di Mosul hanno espresso tutta la loro solidarietà al vescovo siro-cattolico della città, mons. Georges Casmoussa. Non mi risultano, fino ad ora, interventi da parte delle autorità governative nazionali. Le autorità di Mosul hanno offerto tutto il loro apporto perché tali cose non accadano più. Mons. Casmoussa ha anche chiesto un’inchiesta formale per fare luce sulla vicenda”.

Mons. Casmoussa ha invocato anche l’aiuto delle Nazioni Unite per tutelare la minoranza cristiana. Come vedrebbe un intervento Onu?
“L’Onu non è un organismo superstatale ma interstatale e organizza, pertanto, le sue attività solo in collaborazione con il Governo statale. È indubbio che le Nazioni Unite, interlocutori imparziali, possono dare un contributo molto costruttivo in questa vicenda, soprattutto perché si tratta della ‘vocazione’ fondamentale dell'Onu che è quella di tutelare la vita e la dignità umana”.

Sono passati circa 2 mesi dalle elezioni del 7 marzo e l’Iraq non ha ancora un governo. Questo vuoto favorisce il clima di violenza?
“È auspicabile che si formi, quanto prima, il nuovo governo per evitare il vuoto di potere. Questo potrebbe, infatti, intervenire in modo opportuno e tempestivo per fronteggiare casi simili come l’attacco del 2 maggio”.

Dopo episodi di violenza come questo si torna a parlare della “Piana di Ninive”, come di una zona sicura, nel nord iracheno, per i cristiani…
“Della Piana di Ninive se ne parla da anni in seno ai vescovi iracheni ma non è da intendersi come un ghetto nel quale isolare i cristiani. Tutt’altro. Credo che la cosa riguardi l’amministrazione e la gestione di quelle zone e villaggi dove i cristiani sono in maggioranza. Cosa ben diversa da un’enclave politico-settaria o religiosa dove raggruppare tutti i cristiani. I cristiani, poi, non formeranno mai una milizia propria per difendersi. Essi si sono sempre rivolti alle autorità costituite alle quali spettano la sicurezza e la protezione dei cittadini”.

Al Sinodo per il Medio Oriente (10-24 ottobre 2010) si parlerà anche della violenza contro i cristiani iracheni e della diaspora cui sono costretti?
“Il Sinodo sarà un’occasione preziosa per affrontare, tra l'altro, anche il tema della violenza e dell’emigrazione dei cristiani, problemi che non si registrano solo in Iraq. Si potrà vedere la sofferenza delle comunità cristiane mediorientali e capire come affrontarla. E lo stesso vale per l’esodo dei cristiani”.

© SIR - 4 maggio 2010