Dalla trappa di Grottaferrata l'audacia dell'ecumenismo

di Giulia Galeotti

Quarant'anni fa moriva madre Pia Gullini - al secolo Maria Elena - per oltre un decennio badessa della trappa di Grottaferrata. Ancora poco nota - nonostante i lavori di Maria Augusta Tescari - la sua è una figura interessante specie in un tempo come il nostro, in cui la vocazione religiosa sembra destinata a persone distanti da sogni e sensibilità correnti.
Maria Elena nasce a Verona, il 6 agosto 1892, in una famiglia della buona borghesia:  il padre, ingegnere e alto dirigente delle Ferrovie. La madre è, invece, una donna riservata e religiosa. La diversa natura dei suoi genitori è tutta in un episodio:  nello studio domina un quadro a olio che ritrae la ragazza in abito da sera, e mentre il padre ne è orgoglioso, la madre si dispiace nel vedere la figlia scollata e provocante.
Vivacissima e spericolata, Maria Elena sin da piccola rivela una personalità complessa. Curiosa, intuitiva, appassionata di pattinaggio ed equitazione, ella dipinge, canta ed è sempre pronta ad aiutare il prossimo. Allo stesso tempo, però, è fiera, ribelle, spesso insofferente e impaziente, a volte persino violenta. Studia dalle Dame del Sacro Cuore, seguendo le lezioni in francese, mentre con il padre apprende l'inglese e il tedesco. Sono i semi di un'apertura che si rivelerà decisiva nella sua vita monastica. Contemporaneamente Maria Elena insegna catechismo in parrocchia e allo scoppio della Grande Guerra, fatto il corso da crocerossina, è solerte nell'assistere i soldati feriti. Intanto, fioccano le proposte di matrimonio, che però la ragazza rifiuta. Leggendola oggi, la vocazione della Gullini, profeticamente legata alla sua giovinezza immersa nel mondo, risulta caratterizzata da due aspetti. Se è una vocazione segnata da nodi che madre Pia, guidata da Dio, continuamente vive e attraversa, vi si ravvisa al contempo un fortissimo anelito al dialogo e all'ecumenismo. E tutto è vissuto assumendo nel profondo lo spirito trappista, pur mantenendo la sua attitudine di leader, con un piglio proprio di altre feconde religiose italiane come la Cabrini e la Verzieri.
Visto il carattere autoritario e un po' ribelle di Maria Elena, il suo ingresso nel silenzio e nell'obbedienza trappista sembra un'assurdità al padre confessore, ai familiari e, in principio, alla ragazza stessa. Ma l'esito di un primo ritiro di otto giorni nella trappa di Grottaferrata sarà, nelle parole di dom Norbert Sauvage - che lì l'aveva indirizzata - la conclusione che "la sua natura vuole la vita attiva, ma la sua anima esige e reclama la vita contemplativa". E così, nel giugno 1917, Maria Elena entra nella trappa di Laval, dove cinque anni dopo pronuncia la professione perpetua.
"Madre, io non ho mai obbedito", dirà la Gullini alla badessa all'arrivo in Normandia, "ma ora obbedirò". Abituata a essere un'esuberante prima donna, la giovane riesce a superare le iniziali difficoltà con le altre religiose, e quando - nel 1923 - viene nominata maestra delle converse, queste apprezzeranno moltissimo il suo insegnamento concreto e decisamente poco convenzionale. Indicativa è una frase che ripeteva dinnanzi alle sciocchezze sue e degli altri:  "C'è un Dio anche per gli imbecilli".
La vita nella trappa di Laval ha assunto profondità quando, rispondendo alla richiesta di aiuto giunta da Grottaferrata, madre Lutgarda, nel 1926, le comunica che deve partire. Grottaferrata sta vivendo un momento di grande difficoltà a causa delle condizioni di salute della badessa, anziana e malata. L'accoglienza a madre Pia è decisamente fredda, e certo non aiuta a migliorare le cose il fatto che nel 1931 - avendo madre Agnese dato le dimissioni dopo trentatré anni di governo - ella venga nominata badessa per autorità pontificia. Ancora una volta, però, madre Pia riesce a conquistare l'amore e la stima della comunità, al punto che nelle elezioni del 1935 e poi del 1938 viene riconfermata quasi all'unanimità. Ella riesce anche a risollevare le condizioni economiche del monastero, nonostante le difficoltà dovute a una proprietà tutt'altro che produttiva, a una casa poco adatta e al secondo conflitto mondiale ormai all'orizzonte.
Tutto questo, vivendo appieno e nel profondo la trappa. È lei a spiegare che "la vita cistercense, cioè la sua lode, la sua penitenza, la sua semplicità, la sua umiltà, il suo silenzio hanno per modello la vita umana del Figlio di Dio a Nazaret... La vita della trappa reca come un sigillo di morte per tutto ciò che rappresenta vanità e conforto, e un sigillo di vita per quello che innalza l'anima verso Dio. Infatti, c'è una sola maniera di appartenere a Dio ed è quella di non appartenere più a noi stessi".
Ma la via terrena verso Dio sarà ancora estremamente irta. A seguito di difficoltà addotte - pare - dai superiori, forse a disagio dinnanzi a una religiosa tanto determinata, nel 1940, con un anno d'anticipo rispetto alla fine del mandato, madre Pia deve dimettersi. Rieletta badessa sei anni dopo, è successivamente riconfermata al primo scrutinio nel 1949, con voto quasi unanime. Ancora una volta, però, la salita l'aspetta.
Il 19 aprile 1951, infatti, i superiori informano la comunità che madre Pia ha dato le dimissioni "per motivi particolari". Non solo, ha già lasciato Grottaferrata per la Svizzera. Nemmeno il tempo di un saluto, dopo venticinque anni di vita insieme. "Fu un fulmine a ciel sereno e la quasi totalità della comunità non comprese mai i veri motivi di quella partenza", rimasta "come una ferita viva nella memoria" (Tescari). Madre Pia farà ritorno in Italia, nuovamente richiamata, solo nel 1959, ma non riuscirà a raggiungere le sue consorelle:  partita il 22 febbraio, il 25 viene ricoverata a Roma per un mieloma già molto avanzato. Una ventina di giorni dopo viene dimessa, ma il rientro previsto per il 5 maggio a Vitorchiano - dove la comunità s'è intanto trasferita - non avverrà mai:  il 29 aprile, a 67 anni, Madre Pia muore.
Il repentino allontanamento da Grottaferrata nel 1951 quasi sicuramente si ricollega a quello che fu un aspetto qualificante della sua vocazione:  l'ecumenismo. Sin dal primo ingresso a Laval, il desiderio dell'unità dei cristiani è sempre stato vivo. Tuttavia negli anni Trenta l'anelito ecumenico era pressoché assente. Eppure, proprio grazie allo sforzo illuminato di madre Pia, Grottaferrata è diventata una sorgente d'unità. Così, per esempio, nel 1938 dall'Inghilterra le scrivono:  "Una carità come la sua distrugge i pregiudizi contro Roma, radicati in troppi anglicani. Se tutti potessero provare la sua carità, il muro di separazione cadrebbe in polvere". Colpisce che questo profondo desiderio d'unità abbia giocato contro la Gullini. Evidentemente ella stava richiamando troppa attenzione, il che venne giudicato in contrasto con lo spirito dell'ordine. Tuttavia, pur facendola soffrire, i duri attacchi non furono mai in grado di scoraggiarla.

(©L'Osservatore Romano - 18 luglio 2009)