Sfide e incontri dell'ortodossia in Italia

"L'ortodossia in Italia:  nuove sfide pastorali, nuovi incontri spirituali" è il tema del convegno promosso dalla Conferenza episcopale italiana (Cei) che dal 1° al 3 marzo vede riuniti ad Ancona i delegati diocesani per l'ecumenismo e il dialogo tra le religioni. "Si tratta di un incontro di particolare importanza - ha  spiegato al nostro giornale l'arcivescovo di Ancona-Osimo, Edoardo Menichelli - non solo perché non da oggi siamo impegnati nella preghiera e nel lavoro ecumenico, ma soprattutto perché dal convegno scaturiranno anche importanti indicazioni molto pratiche per la pastorale verso i cristiani orientali non cattolici, la cui presenza nelle Marche, come anche in molte altre regioni italiane, sta diventando numericamente considerevole". Nel corso del convegno - il primo di una  serie  promosso ad Ancona dalla Cei in vista del Congresso eucaristico nazionale in programma dal 4 all'11 settembre 2011  nel  capoluogo  marchigiano  -  ha  anticipato  l'arcivescovo, verranno infatti presentati una relazione nazionale sui matrimoni misti e un vademecum per la pastorale delle parrocchie cattoliche verso gli orientali non cattolici preparati dagli  uffici della  Cei  per l'ecumenismo e il dialogo interreligioso  e  per  i problemi giuridici. L'incontro s'apre nel pomeriggio di oggi, 1 ° marzo,  con la relazione introduttiva del cardinale arcivescovo di Milano, della cui parte conclusiva pubblichiamo ampi stralci.

di Dionigi Tettamanzi

La presenza di fedeli e comunità ortodosse sul territorio italiano è legata al grande fenomeno contemporaneo dell'immigrazione che tante inquietudini e interrogativi suscita in molti italiani. Non di rado anche i fedeli cattolici percepiscono gli immigrati primariamente come persone in cerca di lavoro e che possono svolgere mansioni richieste nel nostro contesto sociale. In altri casi, i fatti di cronaca portano in primo piano i problemi posti dall'integrazione e dall'incontro o scontro tra culture diverse. Meno frequente è invece la considerazione del fatto che in mezzo a noi vivono credenti che appartengono a comunità di fede diverse dalla nostra e per i quali, a differenza di quanto spesso accade nel mondo occidentale, la religione non è un aspetto della vita appartenente alla sfera privata, ma realtà che richiede una manifestazione pubblica e costituisce un aspetto essenziale della loro identità culturale e nazionale.
Di fatto già da tempo le Chiese locali in Italia si sono confrontate con questa nuova situazione e hanno cercato di rispondere nel segno dell'ospitalità alle richieste che sono loro rivolte dalle comunità ortodosse delle diverse giurisdizioni e nazionalità. Le nostre Chiese locali, in primo luogo, hanno cercato d'aiutare le comunità ortodosse, che avevano una certa consistenza numerica, a trovare luoghi per la celebrazione della liturgia e per la formazione cristiana dei fedeli. Infatti, anche se la nostra comunione con loro oggi non è ancora piena e pertanto non c'è condivisione della mensa eucaristica, la carità c'impone d'aiutare questi fratelli e queste sorelle affinché possano conservare e alimentare la propria fede cristiana e possano celebrare il culto secondo la propria tradizione spirituale e liturgica. L'ospitalità fa incontrare le persone e tra loro fa crescere conoscenza e fiducia reciproca. Può così trovare realizzazione quanto Giovanni Paolo ii afferma nell'enciclica Ut unum sint:  "Il dialogo non è soltanto uno scambio di idee. In qualche modo esso è sempre uno "scambio di doni"" (n. 28). Anche la nostra Chiesa italiana, di fronte a questa crescente presenza ortodossa, è invitata a chiedersi quale "scambio di doni" possa realizzarsi tra i fedeli cattolici e le comunità ortodosse che essi incontrano.
Le comunità cattoliche offrono alle famiglie ortodosse e ai loro figli la possibilità di prendere parte alle iniziative di formazione umana e cristiana da esse promosse e ai diversi servizi attivati per venire incontro a coloro che si trovano in necessità. È però condizione imprescindibile evitare con scrupolo e rigore, da parte cattolica, ogni forma di proselitismo e ogni comportamento che possa suscitarne anche il minimo sospetto. Sono i campi dell'educazione e della carità quelli in cui, all'interno delle nostre parrocchie o dei gruppi ecclesiali, può avvenire un fruttuoso scambio di doni con cristiani di diversa tradizione confessionale.
Quando accogliamo tra noi questi cristiani dobbiamo farli sentire a proprio agio e fare in modo che la comunità cattolica sappia rispettare e valorizzare la loro diversa e ricca tradizione spirituale. Per i nostri fedeli si presenta così una grande opportunità di concreta e vitale formazione ecumenica.
Sia il cattolico sia l'ortodosso che s'incontrano nei nostri ambienti devono potersi sentire fieri di essere portatori ciascuno di un dono specifico, quello della propria tradizione confessionale, e, nello stesso tempo, lasciarsi convertire dallo Spirito all'unico e comune evangelo di Gesù Cristo, perché qui sta il porro unum necessarium della vita cristiana. Ciò comporta sia una doverosa attenzione a evitare ogni forma di assimilazione dell'altro alla propria esperienza confessionale, sia una decisa riaffermazione del primato di Dio nella propria e altrui vita.
Da parte cattolica, la nostra sollecitudine pastorale dovrà essere attenta ad aiutare le singole persone ortodosse a mantenere i contatti essenziali e sacramentali con i ministri e le comunità della propria Chiesa e, nello stesso tempo, a scoprire che al primo posto non c'è la propria tradizione confessionale, ma Gesù Cristo, il cui corpo indivisibile è la sua Chiesa, l'Una et sancta. In particolare non possiamo ignorare che le comunità ortodosse vivono la liturgia e la celebrazione eucaristica come il cuore della vita della Chiesa e come il luogo in cui la Chiesa prende forma e diviene visibile, in un determinato luogo, con tutte le sue proprietà essenziali. Al riguardo Nicola Cabasilas, grande teologo bizantino del xiv secolo, descriveva in termini assai suggestivi e insieme realistici il rapporto tra l'eucaristia - i "santi misteri" - e la Chiesa:  "I santi misteri rappresentano la Chiesa non come simboli, ma come il cuore rappresenta le membra o come la radice di un albero i suoi rami, oppure, secondo l'espressione del Salvatore, come la vigna i tralci. Qui, a ben guardare, non vi è semplicemente una comunanza di nomi, o un'analogia di cose equivalenti, ma piuttosto un'identità di realtà" (Commento alla divina liturgia, n. 38).
Molto spesso però s'impone la necessità di coniugare sensibilità ecumenica e realismo pastorale nell'affrontare la molteplice casistica d'esigenze e richieste che i fedeli ortodossi, in situazioni le più diverse, pongono ai ministri cattolici. Penso non sia facile suggerire ai nostri operatori pastorali linee generali di comportamento che risultino corrette dal punto di vista ecumenico e rispondano alle reali esigenze spirituali dei fedeli che, a causa della distanza o per altre ragioni, non frequentano la propria comunità ortodossa.
Sarebbe certamente auspicabile che un giorno tali linee potessero essere concordate insieme agli stessi rappresentanti dell'ortodossia in Italia. Un primo importante passo per arrivare, in futuro, ad accordi bilaterali è certamente quello d'incominciare oggi noi stessi a inventariare, sulla base delle prime esperienze acquisite in questi anni, le principali sfide pastorali che la presenza ortodossa ci pone. Il risultato di questo lavoro potrà essere in futuro verificato in sede di dialogo ecumenico.
Nel documento Il mistero della Chiesa e dell'eucaristia alla luce del mistero della Santa Trinità (1982) cattolici e ortodossi affermano insieme la fede comune nel mistero eucaristico come sorgente della Chiesa. Facendo tesoro delle ricchezze dell'esperienza spirituale e teologica dell'oriente cristiano, noi possiamo approfondire la nostra comprensione del dono inestimabile che Cristo ha lasciato alla sua Chiesa. Quel comune documento afferma:  "La Chiesa che è in un dato luogo si manifesta come tale quando diviene "assemblea". Questa stessa assemblea, i cui elementi e requisiti sono indicati dal Nuovo Testamento, è pienamente tale quando è sinassi eucaristica. Quando infatti la Chiesa locale celebra l'eucaristia, l'evento accaduto "una volta per tutte" è attualizzato e reso manifesto. Nella Chiesa locale allora non vi è né uomo né donna, né schiavo né libero, né giudeo né greco. Vi si trova comunicata una nuova unità che supera le divisioni e ripristina la comunione nell'unico corpo di Cristo. Questa unità trascende l'unità psicologica, razziale, socio-politica e culturale. Essa è la "comunione dello Spirito Santo" che riunisce i dispersi figli di Dio".
Ne consegue che la comunione che lo Spirito realizza in ogni celebrazione eucaristica trascende anche i confini confessionali. Come ha scritto il metropolita di Pergamo, Ioannis Zizioulas, "l'eucaristia come sinassi del popolo attorno al vescovo e ai presbiteri mantiene ed esprime nella storia l'immagine di un mondo che trascenderà la propria frammentazione e la propria corruzione grazie all'unione e all'incorporazione in colui che (...) ha unito mediante la sua croce e risurrezione ciò che era diviso (...). Questa è l'immagine che la Chiesa deve mostrare".
Noi dovremmo avere più consapevolezza che l'eucaristia che celebriamo è il culmine della manifestazione dell'intero e indivisibile corpo di Cristo. L'unità che si manifesta nel giorno del Signore, intorno alla mensa della Parola e del Pane di vita, è certamente più santa ed eminente di quella che potrà manifestarsi il giorno in cui si raggiungesse l'auspicata unità visibile della Chiesa. L'eucaristia, anche se canonicamente celebrata all'interno di una singola Chiesa confessionale, è per opera dello Spirito actio Christi, memoriale che ci ripresenta la sua Pasqua; è sempre azione del Signore che edifica la sua Chiesa, rendendo l'ecclesia radunata intorno all'altare segno sacramentale dell'Una et sancta.
Il Signore è certamente presente in ogni eucaristia in cui annunciamo e proclamiamo la morte e la risurrezione del Signore, nell'attesa della sua venuta, donec veniat. Il suo ritorno certamente manifesterà quella realtà che i nostri occhi oggi non sanno vedere, ma che già siamo:  "Carissimi, fin d'ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato..." (1 Giovanni, 3, 2). I nostri occhi sono offuscati anche perché non sono quelli di sentinelle che scrutano la notte e ne scorgono l'aurora. In troppe faccende affaccendati abbiamo perso il senso dell'attesa del Signore che viene. E la perdita della dimensione spirituale ed escatologica della vita cristiana è all'origine del peccato della divisione. Non a caso - penso di poter dire - Gesù ha pregato ut unum sint e non ut una sit... Non avrebbe avuto senso che pregasse per l'unità della sua Chiesa, che è il suo stesso corpo e che è già realtà nel mistero di ogni eucaristia.
Il movimento ecumenico ne è stato inizialmente consapevole, proponendo la preghiera per "l'unità dei cristiani", non della Chiesa. Infatti Gesù ha pregato perché i discepoli e i cristiani di tutti i tempi siano una cosa sola. In che cosa? Nell'attesa della sua venuta, ovvero ad annunciare la sua Pasqua donec veniat.


(©L'Osservatore Romano - 1-2 marzo 2010)