Tutti fratelli in Dio

Anticipiamo quasi interamente un articolo che uscirà sul prossimo numero de "Il Regno Attualità", a firma dell'arcivescovo emerito di Algeri, scritto in occasione dell'uscita in Italia del film "Uomini di Dio", dedicato all'eccidio, nel 1996, di sette monaci trappisti del monastero di Tibhirine.

di Henri Teissier
Molti si meravigliano del successo che il film sui monaci di Tibhirine ha avuto in Francia, Paese in cui il messaggio della Chiesa non raggiunge che una piccola parte della società. Anche se tutti sanno che il rapimento e poi l'uccisione dei monaci (27 marzo e 21 maggio 1996), assieme alla straordinaria qualità del testamento spirituale di padre Christian de Chergé, hanno suscitato allora una profonda emozione.
I legami del monastero di Tibhirine con la Chiesa d'Algeria erano, infatti, particolarmente stretti. La presenza trappista risale al 1840, quando l'ordine cistercense si stabilì in un villaggio situato a 30 km da Algeri e che doveva per questa ragione chiamarsi "La trappa". Padre Charles de Foucauld, allora trappista, ebbe a passare da questo monastero nel 1900, prima di prendere dimora come eremita a Beni Abbès. Tuttavia la separazione tra Stato e Chiesa avviata in Francia nel 1905 e le misure conseguenti contro gli ordini religiosi spinsero i monaci a scegliere di partire dall'Algeria. Una nuova comunità cistercense ritornò negli anni Trenta e s'installò nella regione di Medea, prima a Ben Chicao e poi, nel 1937, a Tibhirine.
A seguito dell'indipendenza dell'Algeria(1962), l'abate generale dei cistercensi decise la chiusura del monastero, affermando che l'ordine non poteva mantenere una propria presenza in un Paese diventato quasi totalmente musulmano. Ma il cardinale Duval, allora arcivescovo di Algeri, ottenne l'annullamento di questa decisione. Da allora la comunità di Tibhirine prese progressivamente una forma di vita che ne ha fatto un vero e proprio simbolo della nostra vocazione cristiana in Algeria. Infatti, i monaci formavano una comunità cristiana e monastica attraverso il segno della preghiera cristiana, del servizio evangelico e dell'incontro senza pregiudizi con un vicinato quasi totalmente musulmano. Era la medesima vocazione della nostra Chiesa d'Algeria dopo la partenza per l'Europa della quasi totalità dei suoi fedeli.
È per questo che la maggior parte dei cristiani praticanti delle quattro diocesi dell'Algeria cercava ogni occasione per passare di lì per un periodo di ritiro o per un week-end spirituale. Peraltro padre Christian de Chergé, divenuto abate del monastero - o priore - manteneva una corrispondenza di direzione spirituale molto ampia con numerosi preti, religiosi e laici. Aveva inoltre un ruolo molto importante nelle iniziative dell'Unione dei superiori maggiori d'Algeria, pur rimanendo strettamente legato alla piccola parrocchia vicina di Medea, il cui parroco, padre Gilles Nicholas, andava in visita ai monaci quasi ogni settimana.
Più in generale il monastero era in stretto legame con le quattro diocesi d'Algeria. Un anno i padri Giovanni della Croce e Christophe predicarono un ritiro spirituale ai vescovi dei quattro Paesi del Maghreb. Un altro anno i preti della diocesi di Orano vennero al monastero per il loro ritiro spirituale annuale. Un altro anno ancora fu padre Piroird, vescovo di Constantine, a predicare un ritiro ai monaci. Successivamente padre Sanson, gesuita di Algeri, fece altrettanto. Nel 1988 padre Claude Rault, oggi vescovo di Laghouat, fondò a Tibhirine il gruppo spirituale islamo-cristiano "Ribâta es-Salâm" ("Legame della pace"). I rapporti col Maghreb si allargarono ancora dopo la fondazione della piccola comunità collegata di Fès (Marocco, oggi a Midelt). In breve:  pochi monasteri possono vantare una relazione così stretta con la propria Chiesa locale.
Personalmente, in quanto sacerdote della diocesi d'Algeri avevo con i monaci i legami che avevano tutti, ma la mia relazione con il monastero si approfondì quando divenni loro vescovo. Infatti, dopo essere stato nominato vescovo di Orano dal 1973 al 1981, ritornai ad Algeri, prima come coadiutore del cardinale di Algeri e poi, dal 1988, come arcivescovo. Da allora, ogni due mesi, avevo il dovere d'andare al monastero. D'altra parte padre Christian de Chergé passava spesso da Algeri e faceva in modo, quasi ogni volta, d'incontrarmi. Quindici giorni prima del suo rapimento, l'8 marzo 1996, gli domandai di animare una giornata di ritiro spirituale per i laici della diocesi. Quando mi recavo al monastero, padre Christian aveva pronta una lista di quindici o venti punti di cui voleva parlarmi. Ci metteva anche a parte dei suoi interventi durante le consultazioni con l'ordine cistercense, nel corso delle quali egli difendeva la vocazione della nostra Chiesa a una presenza evangelica in una società musulmana. Ma ciò che per noi era particolarmente commovente era la qualità dei legami umani e spirituali che i monaci avevano saputo stabilire con il loro vicinato musulmano. Avevano relazioni con la maggior parte degli abitanti del villaggio di Tibhirine, che poco a poco si erano abituati a riconoscere nei loro vicini trappisti dei fratelli in Dio, anche se loro erano musulmani e i monaci cristiani:  relazioni di malati con fratel Luc, medico, il cui dispensario frequentavano, visite al fratello guardiano, Amedeo, o a un altro, per farsi compilare i moduli, lavoro in comune con fratel Christophe, incaricato del giardino, o con fratel Paul, le cui competenze di idraulico erano conosciute da tutti. Alcuni sapevano anche condividere con fratel Christian le loro preoccupazioni spirituali e comunque tutti riconoscevano il valore della preghiera dei monaci e contemporaneamente approfittavano della sala di preghiera che il monastero aveva preparato per loro aprendo una stanza del monastero che dava sulla strada.
Quando la situazione è diventata più grave, a partire dal 1992, io mi recavo ovviamente al monastero dopo ogni nuovo avvenimento:  per esempio dopo la prima visita di un gruppo armato il 24 dicembre 1993, o in occasione delle pressioni delle autorità perché i monaci lasciassero quei luoghi, o in occasione delle votazioni della comunità per decidere sul futuro della loro presenza.
A due riprese il padre abate mi chiese di ricevere singolarmente ciascuno dei monaci per verificare la libertà delle decisioni che essi prendevano di rimanere, nonostante i pericoli che circondavano il monastero. Il loro rapimento nella notte tra il 6 e il 7 marzo fu una grande prova non solamente per la comunità cristiana, ma anche per tutta la società algerina. Tutti i nostri amici algerini ci hanno rassicurato fino alla fine, persuasi che i rapitori avrebbero rispettato la loro vita.
Dopo l'annuncio della loro morte, il 21 maggio 1996, abbiamo ricevuto moltissime testimonianze di simpatia di persone molto diverse della società algerina. Ed è stato allora che il mistero della generosità monastica di cui essi vivevano, nascosti, in una regione isolata del Titteri si è rivelato al mondo, innanzitutto attraverso il testamento di Christian.

(©L'Osservatore Romano - 27 ottobre 2010)