Meno strutture, più vita

duarte“Identità nazionale e integrazione europea: un contributo dai cristiani”. È il tema scelto quest’anno per l’incontro del Comitato congiunto della Conferenza delle Chiese europee (Kek) e del Consiglio delle Conferenze episcopali europee (Ccee) che si svolgerà a Belgrado dal 17 al 20 febbraio. “La ragione della scelta del tema – spiega in questa intervista padre Duarte da Cunha, segretario generale del Ccee – deriva dalla sequenza dei temi che hanno accompagnato negli ultimi anni gli incontri del Comitato congiunto. Per il 2009 è stato scelto il tema della salvaguardia del creato, nel 2010 le migrazioni. Quest’anno il tema sarebbe la pace ma abbiamo visto l’anno scorso che parlare di pace in termini così generici sarebbe stato troppo confuso e allora si è deciso di parlare d’identità nazionale e integrazione europea”. 

Quale legame c'é tra il tema di questo incontro e il tema della pace?
“Si tratta di identificare e di vivere una identità nazionale che non generi tensioni e non diventi causa di guerre. E in questo ci sembra che i cristiani abbiano qualcosa di importante da dire, proponendo la logica della carità come parametro di vita politica e sociale, perché capace di valorizzare le identità nazionali, e quindi l’amore per il proprio popolo, per la storia vissuta in un paese e la cultura ricevuta con la responsabilità verso gli altri, l’apertura verso i rapporti di amicizia capaci di generare armonia e solidarietà. È dunque un parametro che non toglie nulla alla identità anzi la valorizza”. 

Quali conseguenze ha sul vivere europeo questa logica della carità?
“Abbiamo individuato 4 sottotitoli. Il primo è il tema della libertà religiosa e, quindi, come vivere l’identità nazionale e, allo stesso tempo, l’identità religiosa. Si tratta cioè di riflettere sul rapporto tra le minoranze e le maggioranze nei diversi Paesi, tra una sana laicità e la promozione della religione. Si parlerà poi della situazione economica: è chiaro che i Paesi non possono sopravvivere da soli. Da una parte si avverte la necessità di riconoscere con realismo la diversità dei singoli Stati rispetto alle diverse fasi di sviluppo, alla cultura economica, ai diversi livelli di povertà e ricchezza. Per cui non ci può essere un’Europa che obbliga a fare cose che poi i singoli Paesi non riescono a fare. Allo stesso tempo, però, una sana economia deve necessariamente essere solidale con gli altri. Poi parleremo di ecumenismo e del movimento ecumenico e, cioè, di come i cristiani siano chiamati a vivere questa comunione nella esperienza ecumenica. E infine verrà un rappresentante del governo serbo che parlerà di pace a livello politico”. 

Belgrado, una città monito per l’Europa, reduce da una guerra che si è consumata solo pochissimi anni fa...
“Belgrado è davvero un punto nevralgico e altamente simbolico per l’Europa. è una guerra che nei Balcani non è ancora e del tutto risolta, soprattutto in Bosnia, in Kosovo, in Macedonia, assistiamo cioè ad una storia che ancora oggi si sta costruendo. Siamo però convinti che i cristiani, delle diverse Confessioni, devono dare esempio di maturità sociale e politica e dire che insieme non solo è possibile vivere ma soprattutto dimostrare che stare insieme non vuole cancellare le diversità ma camminare tutti verso una unità che sia rispettosa delle diversità di tutti”. 

Dieci anni fa la firma a Strasburgo della “Charta Oecumenica”. Si è andati avanti o si è tornati indietro?
“Credo che questi 10 anni abbiano portato nuove difficoltà nel movimento ecumenico, ma non necessariamente per andare indietro. C’è un realismo molto forte oggi. Forse si è perso un certo ottimismo che cercava di oltrepassare le difficoltà puntando soprattutto agli aspetti che uniscono. Però poi nella realtà concreta e locale le cose non si rivelavano così semplici. Forse qualcuno, guardando a questa situazione, può dire che non c’è più l’entusiasmo ecumenico di qualche anno fa. Ma non è vero. Si sono compiuti anche oggi passi consistenti. Il dialogo teologico continua, i rapporti personali si approfondiscono. Si sta passando da un ecumenismo più internazionale ad un ecumenismo più locale in cui le istanze internazionali diventano luoghi di testimonianza di quello che si fa a livello locale. Non è cioè da sopra che vengono le indicazioni ma è da sotto. Si registra poi un altro movimento, il passaggio cioè da un ecumenismo multilaterale ad un ecumenismo bilaterale. Sono tutti passi discreti, poco visibili, ma che rappresentano un importante lievito destinato a fermentare. E infine è un ecumenismo chiamato a confrontarsi più sui progetti da realizzare insieme che per grandi strutture che poi si rivelano difficili da gestire. Dunque un ecumenismo che reclama meno strutture e più vita”.

© SIR - 16 febbraio 2011