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L'immobilità dinamica che permise di resistere

 L'impatto con la modernità per la Chiesa russa è avvenuto in modo del tutto singolare attraverso l'esperimento bolscevico. La rivoluzione d'ottobre funse da acceleratore delle particelle dell'universo russo, imprimendo una svolta all'itinerario della società russa in età contemporanea.
Il "progetto della modernità" ha operato con particolare incisività sulle percezioni e sulle concezioni del tempo e dello spazio, come ha sostenuto nel suo classico studio Stephen Kern. E proprio tempo e spazio furono tra le categorie che vennero maggiormente influenzate dalla rivoluzione bolscevica. I primi passi dell'esperienza rivoluzionaria sono stati segnati da uno "sfasamento cronologico". La rivoluzione d'ottobre, infatti, ha avuto luogo in novembre:  il 7 novembre è la data del colpo di Stato bolscevico. Come è noto, lo scartamento cronologico è dovuto alla differenza tra il calendario giuliano, allora in vigore in Russia, e il calendario gregoriano, che il governo rivoluzionario si affrettò a introdurre alla fine del gennaio 1918, imprimendo un'accelerazione allo stesso computo del tempo:  all'indomani del 31 gennaio invece che il primo febbraio il calendario civile in Russia segnò il 14 dello stesso mese. Non era del tutto una novità. Anche Pietro il grande, in un'altra fase di accelerazione della storia russa, era intervenuto per modificare il calendario, introducendo quello giuliano, non ancora adottato a livello civile in Russia e non ancora abbandonato nei Paesi protestanti del Nord Europa a cui lo zar riformatore guardava come modelli ispiratori. La storia della modernizzazione russa, in modo più eclatante che in altri contesti, è stata sia rottura che continuità storica, paradossalmente proprio dove si è affermato un sistema che ha fatto della frattura completa con il passato, al fine della costruzione di un mondo totalmente nuovo, la ragione del suo essere. La dissociazione che si registra nella percezione del tempo, a partire dalla questione del calendario, è paradigmatica. L'unificazione delle coordinate temporali e la sincronizzazione del mondo sono stati passaggi decisivi per la modernità, che si è affermata come tempo della simultaneità. "Velocità storiche difformi" hanno coesistito nello stesso contesto culturale, nel medesimo sistema, sovente negli stessi uomini e nelle stesse donne. Questa "simultaneità diacronica" costituisce la cifra del rapporto dell'ortodossia russa con la modernità.
Il 14 giugno 1923 il politbjuro del comitato centrale del partito comunista bolscevico di Russia approvò una delibera in cui erano stabilite le condizioni per le quali sarebbe stato possibile liberare il Patriarca di Mosca, Tichon (Bellavin), privato della libertà dall'inizio dell'anno. Tra le condizioni era indicato il consenso del capo della Chiesa russa all'introduzione del calendario gregoriano nella pratica liturgica dell'ortodossia russa. Il Patriarca fu liberato il 25 giugno 1923.
Era una questione non nuova per l'ortodossia moscovita. Il Concilio della Chiesa ortodossa russa del 1917-18, pur affermando che non c'erano ostacoli di natura dogmatica a un cambiamento del calendario, aveva stabilito che la Chiesa avrebbe continuato a usare quello giuliano, rimandando la soluzione definitiva della questione a una decisione comune di tutte le Chiese ortodosse.
Il Patriarca ecumenico, Meletios iv, nel 1923, aveva convocato una conferenza inter-ortodossa, a cui non erano presenti delegati di alcune Chiese, tra le quali quella russa. Durante tale assise venne deciso di introdurre una riforma del calendario, che si risolse in un adeguamento, con alcuni correttivi, a quello gregoriano, tramite uno spostamento in avanti di tredici giorni, e nel mantenimento della definizione della data della Pasqua secondo quello giuliano.
D'altro canto, in quegli stessi mesi del 1923, mentre il Patriarca Tichon era agli arresti, la formazione scismatica dei "rinnovatori", sostenuta dagli organi della polizia politica sovietica, aveva approvato la riforma del calendario liturgico introducendo il "nuovo stile".
La decisione di Tichon di adottare il calendario gregoriano nell'uso della Chiesa patriarcale, presa in una riunione di vescovi del 24 settembre, fu resa pubblica con una lettera pastorale del Patriarca del primo ottobre 1923. Tuttavia l'8 novembre una delibera del Patriarca annunciava che l'introduzione del "nuovo stile" veniva differita, a motivo di decisioni analoghe prese da altre Chiese ortodosse, che non concordavano con quanto era stato stabilito alla conferenza di Costantinopoli.
L'esperimento era durato molto poco. Cosa era successo? Il Patriarca in un memorandum scritto nel settembre 1924 per il comitato esecutivo centrale ricostruì la vicenda. Le informazioni parziali che erano giunte da Costantinopoli avevano tratto in inganno Tichon, il quale aveva ritenuto che in occasione della conferenza del 1923 si fosse raggiunto un consenso panortodosso sulla questione, mentre i patriarcati di Alessandria, Antiochia e Gerusalemme si erano opposti.
Inoltre, dopo la pubblicazione della lettera con cui il Patriarca aveva comunicato l'introduzione del "nuovo stile", Tichon fu subissato di delegazioni di fedeli e di lettere, il cui messaggio era di recedere dalla decisione, che aveva suscitato nel popolo russo "angoscia, timore, scontento e resistenza". L'attaccamento al calendario tradizionale era un tratto profondo dell'universo religioso e culturale dei contadini russi, come ha osservato Andrej Sinjavskij. Le conclusioni del Patriarca, di fronte alle nuove pressioni da parte del governo per una riforma del calendario liturgico, erano univoche:  "Noi ci riteniamo obbligati a dichiarare che decisamente non troviamo possibile" adeguare il calendario ecclesiastico a quello civile.
La rottura con la tradizione è un tratto caratteristico della modernità, che, come osserva Krishan Kumar, "ha inventato la "tradizione del nuovo"". Si potrebbe parlare a lungo del valore precipuo della tradizione per l'ortodossia. Quello che preme in questa sede è sottolineare che la scelta dell'ortodossia russa non è stata quella di un tradizionalismo opposto alla modernità. Modernità e tradizione sono stati i due registri di una Chiesa, che, pur non rifiutando la modernità, sia nella sua versione sovietica che in quella post-comunista, non ha avuto prioritariamente la preoccupazione di essere al passo con la storia, ma piuttosto quella di vivere in una condizione di "simultaneità diacronica", che le ha permesso di non farsi dettare l'agenda esclusivamente dalla modernità.
La figura del Patriarca Aleksij i (Simanskij), a capo della Chiesa russa dal 1944 al 1970, è stata espressiva di tale strategia. Il Patriarca era un convinto sostenitore di quel "gusto ortodosso", che era parte consistente della mentalità religiosa dell'ortodossia russa e ne costituiva un tratto distintivo. In questa attitudine a coltivare il gusto liturgico, a esaltare gli aspetti anche estetici delle celebrazioni si deve cogliere la cifra di una strategia di lunga durata dell'ortodossia russa, che in un qualche modo fu esaltata dalle condizioni riservate alla Chiesa nel sistema sovietico. È stato l'approccio liturgico a definire nel lungo periodo il rapporto tra la Chiesa e la società in Russia, tanto da lasciare un'impronta profonda di carattere cerimoniale, estetico, simbolico nella cultura e nella storia russe. La liturgia rappresentava uno spazio e un tempo di alterità, di diversità con cui la Chiesa era presente, per quanto marginalizzata, anche nella realtà sovietica. Era il tempo liturgico a permettere quella "simultaneità diacronica" che la Chiesa assumeva come cifra del suo atteggiamento nei confronti della modernità:  i fedeli ortodossi, come cittadini sovietici erano soggetti alla scansione del tempo del calendario civile, ma mantenevano allo stesso tempo la libertà di seguire il "vecchio stile", vale a dire il calendario giuliano, nella vita liturgica e religiosa.
Un'attitudine conservatrice era, in un certo modo, una forma di resistenza al modernismo bolscevico. Ma non era tanto il conservatorismo di retroguardia di alcuni reduci, era la scelta profonda, forse in alcuni passaggi inconsapevole, di una Chiesa, che di fronte alla velocità dei tempi della storia, percepita dagli ortodossi russi come devastatrice, confidava sull'immobilità dinamica delle sue tradizioni e in primo luogo della vita liturgica. Un informatore degli organi sovietici descriveva in un suo rapporto quale fosse l'atteggiamento di fondo del Patriarca Aleksij i:  "Che cosa è caratteristico per il patriarcato? Puntare sulla conservazione del passato nello stile della vita quotidiana, nella liturgia, nei dogmi della vita spirituale qualsiasi cosa accada. (...) Parijskij da Mosca ha riportato questo insegnamento del Patriarca:  "Che cambi pure tutto intorno, noi dobbiamo restare tali quali eravamo centinaia di anni fa. Che la nostra immutabilità, inconformabilità allo spirito del tempo sia simbolo dell'eternità della Chiesa. È per noi motivo di gioia vedere che nella Chiesa siamo circondati anche ora da ciò che noi vedevamo nell'infanzia, di cui vivevano i padri, i nonni e i bisnonni. Noi dobbiamo imparare a custodire il passato nonostante il presente. In questo è la nostra forza, in questo è la nostra verità"".
Custodire il passato in un presente nel quale tutto cambia, è la strategia antinomica della Chiesa ortodossa russa nel mondo della modernità. La scelta per il tempo liturgico non è rifiuto del presente né opzione per un passato idealizzato. La Chiesa ortodossa e i suoi fedeli vivono nella storia, senza rincorrerne le accelerazioni, seguendo un ritmo scandito dalla liturgia.
di Adriano Roccucci
(©L'Osservatore Romano - 22 agosto 2008)