La Nascita è già annuncio della croce

nativitadi GIULIANO ZANCHI

Le celebrazioni liturgiche del Natale sono senza dubbio quelle attorno a cui si concentra la maggiore adesione affettiva. Per coloro che frequen-tano solo saltuariamente la liturgia, la partecipazione alla messa di Na-tale appare come l’atto religioso per definizione. Nel sentire comune go-de di un affezione capace di lasciare in secondo piano anche le liturgie della Pasqua.
Gli sforzi della forma-zione pastorale faticano ancora mol-to a ristabilire le debite gerarchie. A Natale le chiese si riempiono con una misura sconosciuta in altri mo-menti del ciclo liturgico. Di fatto è la festa cristiana che più di tutte ha importato dentro di sé l’immedia-tezza affettiva di molti aspetti della comune esperienza umana. Nel be-ne e nel male. In generale è diven-tata una sorta di collettiva celebra-zione dei sentimenti. Il Natale è per così dire l’appuntamento pubblico in cui tutti cercano un rinnovato contatto con la radice affettiva dell’esperienza umana. Sistematica-mente si tradisce nella retorica e si perde nei consumi. Ma bisogna sta-re attenti a giudicare. Anche travolto dall’inconsap evo-lezza, il successo pubblico del Nata-le ha le sue funzioni, mantiene una sua verità. Rappresenta il grande ri-to societario in cui viene rimessa al centro dell’attenzione di tutti l’origi-naria potenza delle relazioni e la lo-gica del dono. Con tutti i limiti che conosciamo. Ma con una intensità che non ha paragoni. Nell’ingenua ipocrisia di molti adulti il Natale si riduce a essere “la festa dei bambi-ni”. Ma resiste in tutto questo una involontaria verità. Esiste qualcosa di originario e di primario nella vita a cui bisogna sempre tornare alme-no col desiderio per poter restare uomini. Questi enfatici presagi di senso non dovrebbero essere morti-ficati da prediche natalizie traboc-canti di retorica catechistica. A Na-tale non si celebra forse la meravi-glia di un Dio capace di “a s s u m e re ” la natura umana? La commistione del Natale cri-stiano con le grandi ritualità civili appartiene alle sue stesse origini. Il ciclo natalizio infatti nasce per dare un senso cristiano ad alcune feste pagane che avevano ancora grande seguito: in occidente il Natalis solis invictis che si celebrava il 25 dicem-bre; in oriente la crescita del sole nei primi giorni di gennaio. I cri-stiani diedero un senso nuovo a queste feste a cui anche loro erano molto affezionati, non avendo mai smesso di appartenere a quella so-cietà. Le trasformarono perciò nella celebrazione della nascita umana di Gesù e nella festa della sua manife-stazione al mondo. Tutto questo ac-cadeva attorno al IV secolo. Nel Na-tale la fede cristiana in Gesù Signo-re si appropriava della grande emo-zione cosmologica legata al sole, al-la luce, ai cicli della natura, trasfor-mando tutto in metafora cristologi-ca. Ma l’affermazione del Natale sa-rebbe stata anche legata al percorso di comprensione teologica della Chiesa dei primi secoli, che attraver-so opere di grandi teologi e celebra-zioni di grandi concili, cercava di capire in profondità la complessa e misteriosa natura di Gesù. Quello che sembrava molto importante era poter dire che Gesù era davvero sta-to un uomo, la sua vita umana non era stata un travestimento, un abito da spogliare al termine del suo pas-saggio terreno. La cosa migliore era perciò sottolineare che Gesù come tutti era nato da una donna. Per dif-fondere questa idea, infatti, si era cominciato a dipingere immagini di Maria con in braccio Gesù. La cele-brazione del Natale metteva così un sigillo liturgico sulla natura umana del Figlio di Dio. A Natale mettiamo al centro pre-cisamente questa idea: nella vita di Gesù gli uomini hanno fatto l’esp e-rienza di un Dio che non si aspetta-vano. Che dunque era anche diffici-le da riconoscere. Quando gli uomi-ni cercano di immaginare il divino lo immaginano sempre come una presenza oscura, lontana, più da te-mere che da amare, la cui potenza è così onnipotente da essere prepoten-te. Persino i discepoli di Gesù sono ancora convinti che la grandezza di Dio si manifesta soprattutto nella fermezza con cui punisce i peccatori attraverso la malattia. Quando gli uomini si immaginano come deve essere Dio non sanno immaginarlo se non così. Lo immaginano come sarebbero loro se potessero essere divini: rancorosi, vendicativi, prepo-tenti (certi filosofi dell’otto cento avevano anche qualche ragione nel dire che spesso la religione è una proiezione del desiderio umano). Con Gesù, invece, si è scoperto un Dio completamente inatteso. Tanto da apparire irriconoscibile. Un Dio che si abbassa, che si mette al livello dell’uomo, che ha così tanta passio-ne per gli uomini che anche prova a fare l’uomo. Nel linguaggio greco del Nuovo Testamento questo viene chiamato kénosi, vale a dire “abbas-samento”, perché Dio non è geloso della sua grandezza, scende dal pie-distallo ed entra nella storia umana. L’immagine di Gesù come bambi-no ispira tenerezza. Ma il senso di quella immagine sta appunto nel grandioso e inconcepibile gesto di Dio di “s c e n d e re ” nella condizione umana. Questo gesto in realtà lo si vede nel modo più evidente quando Gesù accetta di rinunciare alla sua sopravvivenza fisica piuttosto che alla sua amicizia con gli uomini. In questo Gesù fa vedere com’è Dio veramente. Dio muore lui piuttosto che costringere un solo uomo a vo-lergli bene. Anche Dio, come noi, vuole essere desiderato e non subì-to. La nascita di Gesù come figlio dell’uomo è già annuncio della grande libertà della croce. I racconti evangelici dell’infanzia di Gesù in-fatti, se si legge con attenzione, so-no traboccanti di tragedia. Appena nato Gesù deve già essere messo in salvo dai poteri del male. Gli evan-gelisti Matteo e Luca sono perfetta-mente coscienti che raccontando la nascita di Gesù stanno già annun-ciando la sua passione. Il Gesù bambino dalle braccia allargate, di-pinto da quasi tutti i pittori, è difat-ti già il Gesù in croce. Nella figura di Gesù bambino la logica del dono connessa al mistero della croce si presenta come legge stessa della condizione umana. Ogni uomo che viene al mondo è sempre un mistero di “passione”, che significa, nello stesso tempo, “a m o re ”e“s o f f e re n -za”. Nella nascita del Figlio dell’uo-mo dunque i cristiani in realtà an-nunciano già la grazia pasquale dell’uomo nuovo. Questo collegamento fra memoria natalizia e annuncio pasquale ci aiu-ta a comprendere bene le scansioni liturgiche dei giorni natalizi. L’idil-lio sentimentaloide di molte messe di mezzanotte ha infatti consolidato l’idea che il Natale coincida con “quella” messa. Ma tutti coloro che sono attenti alla vita liturgica sanno che quello del Natale è un “temp o”, articolato secondo liturgie che la storia ha messo una accanto all’al-tra, ma che alla fine costituiscono una sorta di visione multipla del mi-stero dell’incarnazione. Come nei quadri di Picasso, in cui la realtà ci viene fatta vedere da diversi punti di osservazione. Il tempo di Natale si è dunque stratificato su più litur-gie che sono il frutto di diverse tra-dizioni cristiane. Una è quella del Natale del Signore, il Natale per an-tonomasia, liturgia che mette al cen-tro il fatto storico della nascita uma-na di Gesù, ma, come si è visto, alla luce del principio teologico dell’in-carnazione. Qui viene dato anche un grande valore alla natura umana e al tempo della storia. Il cristianesi-mo dà un grande valore alla contin-genza storica della condizione uma-na. Lo fa precisamente in virtù del fatto che Dio l’ha scelta come il pia-no di costruzione della sua alleanza con gli uomini. Tutta la tradizione, risalente a san Francesco, di “mette-re in scena” la natività di Gesù at-traverso il presepe, assolve sostan-zialmente a questa esigenza: ricorda-re che tutto è accaduto nella storia, nella concretezza della vita umana, nella contingenza del tempo. Le tra-dizioni connesse al Natale cercano di tradurre il grande senso di prossi-mità e di vicinanza legato al princi-pio dell’incarnazione. La seconda liturgia del tempo na-talizio è l’Epifania. Come tutti or-mai sanno “epifania” significa “ma-nifestazione”. Essa viene legata all’episodio evangelico della visita dei magi. Per le Chiese orientali questo era il vero Natale. Il farsi vi-vo di Dio nel mondo ha in questo senso il suo atto originario nella sua manifestazione a tutti gli uomini della terra (di cui i magi sono la rappresentazione). L’Epifania dun-que non deve essere vissuta come se fosse un prosieguo cronologico del Natale, una seconda puntata nella storia dell’infanzia di Gesù. Essa è piuttosto un altro modo di sottoli-neare il senso teologico dell’incarna-zione. L’Epifania mette in luce in modo particolare la destinazione universale dell’alleanza divina che si offre in Gesù. In Gesù, Dio viene per tutti, ebrei o non ebrei, schiavi o liberi, giusti o peccatori. La terza liturgia, quella che chiu-de il tempo di Natale, è quella del Battesimo di Gesù. Come si capisce il tema va molto oltre la coerenza cronologica legata alla nascita. Gesù è già nella sua condizione adulta. Ma la liturgia non segue un criterio di narrazione diaristica. Il battesimo di Gesù in realtà è l’altra forma di manifestazione al mondo di Gesù come Figlio di Dio. Nei racconti evangelici tutto ha l’aspetto di una scena di investitura. Il Padre e lo Spirito manifestano di riconoscersi pienamente nella testimonianza umana del Figlio Gesù. Questa con-sacrazione avviene in concomitanza a un gesto del tutto sbalorditivo. Gesù, per sé senza bisogno di per-dono, si mette in fila con tutti i pec-catori, per farsi battezzare da Gio-vanni. L’idea è che la sua grandezza divina non è per lui ragione per te-nere le distanze dagli uomini. Il ge-sto del battesimo è per Gesù una potente proclamazione di fraternità umana come l’altra faccia della sua prossimità divina. Dio riconosce sé stesso precisamente in “questo” ge-sto. Dio fa così. E Gesù lo rende vi-sibile. Per questa ragione Dio si ri-conosce in Lui. In realtà il tempo di Natale è un altro modo di celebrare la Pasqua. Il compito reso possibile dalla litur-gia difatti è sempre quello: ricono-scere nell’uomo Gesù il Signore del-la creazione. Essere coscienti di que-sto può aiutarci a concentrare su questo tempo della liturgia le ener-gie affettive appropriate. Lasciando a se stesse abitudini puramente di contorno. Quanto non proprio lon-tane dall’essenziale.

© Osservatore Romano - 23 dicembre 2012