Uno starec non fugge dal mondo

ambrogio starec monastero optinadi ROSSELLA FABIANI

Tra tutti i monasteri russi il cui ricordo è rimasto sempre vivo tra la popo-lazione anche dopo la chiusura forzata negli an-ni Venti del secolo scorso, un posto particolare lo ha Òptina Pustýn’, un monastero maschile a quasi duecento chilometri da Mosca, in un luogo deserto (Pustýn’ in russo vuol dire deserto). Il monastero si trova vicino alla cittadina di Kozel’sk, nella re-gione (oblast’) di Kaluga e nel XIX secolo — secolo di grandi rivolgi-menti politici e culturali — è stato uno dei più importanti luoghi di culto della Chiesa ortodossa russa.
Il suo nome deriva da un termine slavo traducibile con «vivono insie-me» e questo può essere spiegato dal fatto che, fino al 1504, anche le monache erano ammesse a vivere all’interno del chiostro. La gran par-te degli edifici del monastero di Òp-tina è stata costruita tra il XVIIIe il XIX secolo, quando il monastero si affermò come centro della vita mo-nastica russa. Nel 1821 vi si stabiliro-no degli s t a rc y — guide spirituali do-tate della capacità di leggere nel cuore delle persone, la cardiognosia dei padri orientali — che attirarono pellegrini di ogni ceto, compresi molti personaggi della cultura del tempo, per avere conforto e consigli. Ma Òptina era noto anche per la sua attività editoriale, soprattutto per le traduzioni delle opere che avevano fatto conoscere in tutto l’impero russo un insegnamento reli-gioso-ascetico di grande valore come l’esicasmo. Oggi la biblioteca del monastero contiene un considerevole numero di libri di grande pregio, al-cuni dei quali portati qui dai fratelli Ivan e Pëtr Kireevskij, entrambi sla-vofili e sepolti dentro le mura di Òptina. Anche il filosofo Konstantin Leont’ev visse per quattro anni nel monastero e vi prese i voti. Uno de-gli starec di Òptina, Amvrosij, fu scelto da Fedor Dostoevskij quale modello per il personaggio di Zosi-ma ne I fratelli Karamazov. Tra i visitatori che bussarono alla porta di Òptina alla ricerca di una risposta alle questioni che li tormen-tavano ci sono i massimi scrittori e pensatori russi, da Kireevskij a Solov’ev, da Gogol’ a Zukovskij, da Turgenev a Toltostoj, da Dostoevskij a Florenskij. Dopo la rivoluzione bolscevica, tutti i monaci furono deportati e il monastero fu trasformato in gulag. L’ultimo egumeno di Òptina fu fucilato a Tula nel 1938. Alcuni anni più tardi, una parte delle strutture del monastero venne demolita, lo skit (priorato monastico) annesso al mo-nastero assieme alle chiese, alle bi-blioteche, al refettorio e al cimitero furono abbandonati, mentre i locali già residenza dei monaci vennero adibiti a colonia per bambini, case per operai di un sovchos (un’azienda agricola statale) e per una segheria. La cattedrale fu trasformata in un museo di opere letterarie. All’inizio della Perestrojka, nel 1987, Òptina Pustýn’ è stata una del-le prime abbazie a essere restituita alla Chiesa ortodossa russa. Tra la fi-ne degli anni Ottanta e Novanta al-cuni dei suoi monaci più famosi so-no stati santificati. Le mura dell’eremo di Òptina divennero il punto di irraggiamento dell’esp e-rienza dello s t a rc e s t v o , la “paternità spirituale”, ani-mata dalle figura deglistar-cy più importanti: da Leonid a Makarij, da Am-vrosij a Iosif, fino agli ulti-mi grandi starci del mona-stero, Anatolij Potapov e Nektarij Tichonov. Il santo starec Amvrosij se non fu il più grande, fu certo il più famoso degli s t a rc y di Òptina. E al padre russo è intitolata la prima pubblicazione in italiano dedicata al monastero edi-tata dall’abbazia di Praglia, con un’introduzione del cardinale Tomáš Špidlík e la filiale cura delle mona-che del monastero russo Uspenskij (della Dormizio-ne di Maria) di Roma. Per molto tempo Òptina è stato un monastero che aveva vissuto una lunga storia senza particolari sprazzi di luce ma improv-visamente divenne un faro per tutta la società (dai semplici contadini agli intellettuali più tormentati) proprio dopo aver attraversato un periodo di grave decadenza e nel momento in cui, dopo le riforme dello zar Pietro il Grande, l’attacco al monachesimo si era fatto più mas-siccio, diffuso e profondo. Molti an-ni dopo, quando il monastero, subi-to dopo la rivoluzione d’ottobre, sta-va per essere smantellato, Pavel Florenskij intervenendo in sua difesa indicava nell’esperienza di Òptina qualcosa che trascendeva una disci-plina puramente morale e formal-mente ascetica e si poneva, piutto-sto, in senso autenticamente spiritua-le come il vivaio di una nuova crea-tività culturale, una nuova scienza, una nuova filosofia, una nuova arte, una nuova coscienza sociale e sta-tale. D all’incontro tra la cultura russa e Òptina Pustýn’ rinasce una conce-zione della ragione non più contrap-posta alla fede o costretta da essa, ma che nella fede trova la possibilità per riportare la ragione alla sua vo-cazione originaria. Come diceva Kireevskij «il principale carattere del pensiero credente consiste nel cerca-re il punto centrale, interiore dell’es-sere, dove la ragione e la volontà (...), il giusto e il misericordioso e tutto il complesso dello spirito con-fluiscono in una sola unità vivente e in questo modo ristabiliscono la per-sonalità concreta dell’uomo nella sua originale indivisibilità». Da questa nuova concezione della ragione, colta nella sua costitutiva apertura all’integralità del reale (quella che in Solov’ev sarebbe diventata l’«unitotalità»), non nasceva ovviamente una nuova ideologia, ma si riapriva la possi-bilità di una vita libe-ra, caratterizzata non dalla banale e servile osservanza di una serie di precetti o di tecniche, ma definita da quella forma suprema di libertà che è la possibilità di attaccamento al vero e al senso della realtà, quella li-bertà che è affezione personale alla verità incarnata, cioè alla Persona di Cristo. La prospettiva spalancata da Òp-tina, in questo senso, si rivela ancora una volta radicalmente al di là delle critiche di Pietro il Grande e di ogni concezione riduttiva del cristianesi-mo. Infatti questa trasfigurazione del mondo, lontana da qualsiasi fu-ga spiritualista, è nello stesso tempo lontana sia dal vago umanitarismo che vorrebbe ridurre il cristianesimo a una morale applicata, sia dalla pre-tesa di una salvezza dell’anima che l’uomo si costruirebbe da solo con le proprie tecniche o con le proprie virtù. Come scrive Vladimir Solov’ev in Dostoevskij(Milano 1971), «Dostoev-skij ci ha mostrato in tanti tipi a lui cari e soprattutto nei monaci di cui aveva ritrovato una nuova incarna-zione a Òptina, che se la piena real-tà della sconfinata anima umana si è avverata nel Cristo, ecco che la pos-sibilità, la scintilla di questa infinità e pienezza esiste in ogni anima uma-na, persino in quella che è caduta all’infimo grado». Non stupisce allora che l’eremo di Òptina Pustýn’ abbia acquistato la fama di centro della vita religiosa russa. Il suo significato spirituale è pari a quello di luoghi come la La-vra delle grotte a Kiev, il Monastero del miracolo a Mosca o la Lavra del-la Trinità di San Sergio. Anche Gogol sentì chiaramente il profumo della grazia divina che emanava il fiore del monachesimo òptiano quando dall’eremo scrive: «Credo che sullo stesso Monte Athos non potrebbe esservi nulla di meglio. Qui la grazia è tangibile. Appressandosi al convento, ad alcu-ne v e rs t y di distanza già si avverte il suo profumo: tutto diventa più cor-diale, gli inchini più profondi e la pietà per l’uomo più grande». Sui volti deglis t a rc y di Òptina brilla un riflesso della luce di Dio che parla con infinita eloquenza al sentimento religioso. Òptina Pustýn’ testimonia che il cristianesimo non è un’ep o ca della storia, ma un processo divino-umano che perdura nel tempo e ci conduce verso la trasfigurazione fi-nale della natura umana. E di nuovi starcy abbiamo oggi bisogno. Cia-scuno deve trovare un proprio padre spirituale. «Con la preghiera e con le lacrime — dice san Simeone il Nuovo Teleogo — implora Dio affinché ti mandi una guida santa e imperturbabile».

© Osservatore Romano - 12 gennaio 2013