Senza la ricerca dell’unità la fede rinuncerebbe a se stessa

santi-pietro-e-paoloL’Anno della fede, che ci dona Papa Benedetto XVI, si collega strettamen-te al concilio Vaticano II da un pun-to di vista non solo temporale, ma anche di contenuto. Esso è stato in-fatti inaugurato nel giorno della commemorazione dell’apertura del concilio, avvenuta cinquant’anni fa, ed è animato dall’intento di attualiz-zarne le principali affermazioni ma-gisteriali, vedendo in esso il punto di riferimento decisivo per la missio-ne della Chiesa anche oggi. In ciò rientra anche l’impegno ecumenico assunto dalla Chiesa cattolica, il quale non è un tema secondario del concilio, ma una delle sue priorità centrali, come si legge già nella pri-ma frase del decreto sull’ecumeni-smo: «Promuovere il ristabilimento dell’unità fra tutti i cristiani è uno dei principali intenti del sacro conci-lio ecumenico Vaticano II»(Unitatis re d i n t e g ra t i o , n. 1). La convinzione che l’ecumenismo sia stato un importante leitmotiv del concilio anche e precisamente per il rinnovamento della Chiesa cattolica è stata espressa da Papa Paolo VIgià all’inizio della seconda sessione dello stesso concilio, nel suo incisivo di-scorso di apertura, al quale l’allora consultore Joseph Ratzinger ricono-sceva «un vero carattere ecumeni-co». Il Papa sottolineava che l’avvi-cinamento ecumenico tra i cristiani e le Chiese divisi era uno degli obietti-vi centrali, ovvero il dramma spiri-tuale, per cui il concilio era stato convocato. E nel momento della promulgazione del decreto sull’ecu-menismo, alla fine della terza sessio-ne del concilio, egli affermava espressamente che questo decreto delucidava e completava la costitu-zione dogmatica sulla Chiesa: «ea doctrina explicationibus completa». In tal modo, Papa Paolo VIr i m a rc a -va in maniera inequivocabile che il decreto sull’ecumenismo non era né un documento a parte né poteva es-sere considerato come un documen-to tra i tanti, ma si collocava all’in-terno dell’intero magistero conciliare e costituiva il risultato dell’attenzio-ne rivolta a una delle priorità centra-li di tutto il concilio. In questo senso, la costituzione sulla sacra liturgia menziona tra gli obiettivi del concilio quello di «favo-rire ciò che può contribuire all’unio-ne di tutti i credenti in Cristo» (Sa-crosanctum concilium, n. 1). Il decreto sull’attività missionaria della Chiesa ricorda che gli sforzi ecumenici si congiungono saldamente all’op era missionaria, poiché la divisione dei cristiani è di pregiudizio alla santa causa della predicazione del Vangelo e «impedisce a molti di abbracciare la fede» (Ad gentes, n. 6). All’imp e-gno ecumenico è improntata anche tutta la costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, come si evince in particolare dai pa-ragrafi conclusivi: «Il nostro pensie-ro si rivolge contemporaneamente ai fratelli e alle loro comunità, che non vivono ancora in piena comunione con noi, ma ai quali siamo uniti nel-la confessione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo e dal vincolo della carità» (Gaudium et spes, n. 92). Un intimo nesso esiste soprat-tutto tra il decreto sull’ecumenismo e la costituzione dogmatica sulla Chiesa, nella quale si trovano i fon-damenti di fede dell’impegno ecu-menico della Chiesa cattolica. L’ecu-menismo è tutt’altro che una que-stione di mera politica ecclesiale o una faccenda puramente pragmatica; esso, piuttosto, è intrinseco alla fede stessa. Pertanto, l’Anno della fede ci chiama anche ad attualizzare i fon-damenti di fede del compito ecume-nico della Chiesa e a cementarli nuovamente davanti a una situazio-ne ecumenica profondamente muta-ta. Mi limiterò qui a ricordare i due principali fondamenti dogmatici dell’ecumenismo enunciati dalla co-stituzione dogmatica sulla Chiesa. Il fondamento di più ampia por-tata su cui si basa il legame ecume-nico esistente tra la Chiesa cattolica e i cristiani non cattolici viene indi-viduato in primo luogo nel vincolo sacramentale del battesimo, come si legge nell’articolo 15 della Costitu-zione dogmatica sulla Chiesa: «La Chiesa sa di essere per più ragioni congiunta con coloro che, essendo battezzati, sono insigniti del nome cristiano, ma non professano inte-gralmente la fede o non conservano l’unità di comunione sotto il succes-sore di Pietro». Il riconoscimento del battesimo come vincolo sacra-mentale di unità tra tutti coloro che tramite esso sono rinati si basa so-prattutto sul fatto che il battesimo unisce il battezzato a Cristo così in-timamente che il battezzato trova la sua dimora in Gesù Cristo e vive in una reciproca compenetrazione, qua-si mistica. Ne consegue direttamente che, con il passaggio esistenziale del battezzato a Cristo, avviene anche la sua immissione nella Chiesa come Corpo di Cristo. Infatti, l’essere in Cristo come dono del battesimo è una realtà ecclesiale di base: “e s s e re in Cristo” è sinonimo di “essere nel Corpo di Cristo”. Il battesimo è la porta d’entrata nella Chiesa e, dun-que, anche nell’ecumenismo. Il bat-tesimo e il mutuo riconoscimento del battesimo costituiscono il fonda-mento di fede di tutti gli sforzi ecu-menici a tal punto che l’ecumenismo cristiano è essenzialmente ecumeni-smo battesimale e sta o cade proprio con questo fondamento. In secondo luogo, alla luce di quanto appena detto, è coerente che soprattutto l’articolo 8 della costitu-zione dogmatica sulla Chiesa formu-li quella che è l’a u t o - c o m p re n s i o n e della Chiesa cattolica in modo da in-cludervi la dimensione ecumenica. Difatti, quando della Chiesa di Gesù Cristo si dice che essa è realizzata nella Chiesa cattolica, in questo sub-sistit in è contenuta in nuce tutta la questione ecumenica. Più precisa-mente, come spiega Papa Benedetto XVI, tale affermazione esprime due cose: da un lato, si opera una «forte concretizzazione», nel senso che la Chiesa di Gesù Cristo non è un’idea platonica, ma esiste nella storia co-me soggetto concreto ed è realizzata nella Chiesa cattolica. Dall’altro lato, non si esclude con ciò che anche al di fuori di questa realizzazione stori-ca esista una realtà ecclesiale; piutto-sto, si fa posto «al plurale “Chiese” accanto al singolare». Eccoci davanti alla questione centrale del dialogo ecumenico, che è quella di sapere come si rapportano tra loro il plura-le — prodottosi nella storia — delle Chiese e Comunità ecclesiali separa-te e il singolare — altrettanto legato alla storia — dell’unità della Chiesa cattolica. Questa necessaria chiarifi-cazione ecclesiologica non ha ancora condotto a un soddisfacente consen-so ecumenico, ma ha, al contrario, reso evidente un problema ancora più profondo. Poiché le diverse ec-clesiologie comportano anche con-cetti di ecumenismo molto diversi, il vero e proprio dilemma dell’o dierna situazione ecumenica consiste nel fatto che non siamo più concordi su ciò che significa ecumenismo e su quello che è il suo obiettivo. Spesso non sappiamo più cosa vogliamo nell’ecumenismo e cosa dovremmo volere. Ciò rappresenta una grande sfida. Infatti, se non siamo più d’ac-cordo su dove deve condurci il no-stro cammino, corriamo il rischio di avviarci in direzioni diverse, doven-do poi alla fine costatare che ci sia-mo allontanati ancora di più gli uni dagli altri. Per evitare proprio que-sto, oggi è indispensabile riflettere nuovamente sulla destinazione che deve avere il viaggio ecumenico alla luce della fede. Il fatto che tale necessaria rifles-sione sull’obiettivo comune del mo-vimento ecumenico risulti oggi così difficile è dovuto fondamentalmente allo spirito pluralistico e relativistico del tempo postmoderno, così ampia-mente diffuso anche nella cristianità. L’idea chiave della postmodernità è quella di non potere e di non dovere indagare col pensiero oltre la plurali-tà della realtà se non si vuole essere sospettati di propendere verso un pensiero totalitario; si è cioè convinti che la pluralità è l’unico modo in cui la totalità del reale ci si mostra, se mai lo fa. Questo rifiuto, in linea di principio, di ogni pensiero di uni-tà ha condotto nel movimento ecu-menico alla perdita dell’obiettivo co-mune e a un pluralismo ecclesiologi-co diventato ormai largamente plau-sibile, secondo il quale ogni ricerca di unità — anche e precisamente nell’ecumenismo — è guardata con sospetto. L’unità viene vista al mas-simo come un riconoscimento tolle-rante della molteplicità e della varie-Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice Conversione di San Paolo Vespri presieduti dal Santo Padre Benedetto XVI Venerdì 25 gennaio 2013, alle ore 17.30, nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, il Santo Padre BenedettoXVIpresiederà la celebrazione dei Secondi Vespri della solennità della Conversione di San Paolo, a conclusione della Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani sul tema: «Quel che esige il Signore da noi» (cfr. Mi6, 6-8). Prenderanno parte alla celebrazione i Rappresentanti delle altre Chiese e Comunità ecclesiali presenti a Roma. Sono invitati, in modo particolare, il clero e i fedeli della diocesi di Roma. I Cardinali, i Vescovi, i Sacerdoti e i Religiosi, che desiderano partecipare alla celebrazione, indossando l’abito corale loro proprio, sono pregati di tro-varsi per le ore 17 presso l’Altare della Confessione per occupare il posto che verrà loro indicato dai cerimonieri pontifici. Città del Vaticano, 18 gennaio 2013 Mons. Guido Marini Maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie Per i componenti la Cappella Pontificia sarà a disposizione un servizio pull-man, con partenza dalla piazza antistante l’ingresso dell’Aula Paolo VI, alle ore 16.30. Quanti desiderano usufruire del servizio sono pregati di darne co-municazione all’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice. di RICCARD O BURIGANA «La celebrazione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani (18-25 gennaio) è un vero e forte se-gno di amore e di speranza, di aiu-to spirituale e morale; e l’unità dei cristiani sarà un dono dello Spirito Santo»: con queste parole monsi-gnor Mansueto Bianchi, vescovo di Pistoia, presidente della Commissio-ne episcopale per l’ecumenismo e il dialogo della Conferenza episcopale italiana, il pastore Massimo Aqui-lante, presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, e il metropolita Gennadios Zervos, arcivescovo ortodosso d’Italia e Malta, hanno presentato la Settima-na di preghiera per l’unità dei cri-stiani in Italia. Lo hanno fatto con una lettera che è la premessa alla traduzione italiana del sussidio per la Settima-na che quest’anno è stato preparato dalle comunità religiose dell’India, ispirandosi a un passo del profeta Michea. Con questa lettera si è vo-luto proseguire la tradizione che ve-de cattolici, evangelici e ortodossi in Italia proporre una riflessione co-mune. Non è facile orientarsi nella mol-teplicità delle iniziative in program-ma nella quasi totalità delle diocesi italiane, spesso promosse con il coinvolgimento delle comunità par-rocchiali, anche nei pochissimi casi dove, per varie ragioni, manca un delegato diocesano per il dialogo. Un primo elemento caratterizzante è costituito dalla sempre più ampia partecipazione delle diverse comu-nità, che operano all’interno di una stessa diocesi. Non si tratta di un passaggio né scontato né banale, dal momento che non mancano i motivi di dialettica tra i cristiani, soprattutto riguardo alla diversità di posizioni su alcune questioni etiche, sulla validità dei sacramenti e sulla possibilità di una preghiera vera-mente condivisa. Nella piena consa-pevolezza delle questioni ancora aperte sulla strada dell’unità si assi-ste in Italia a un numero sempre crescente di comunità, in particolare quelle pentecostali, che accettano di condividere le speranze e le gioie del cammino ecumenico in occasio-ne della Settimana. Talvolta sono le stesse comunità pentecostali a orga-nizzare dei momenti di lettura e di preghiera sulla Parola di Dio nei lo-ro luoghi di culto, come accade, per esempio, a San SeveroeaVicenza. Proprio la centralità assunta dalla Parola di Dio rappresenta un secon-do elemento fondamentale della Settimana di quest’anno in Italia. Sebbene questa centralità non sia una novità — anche per l’intenso la-voro che la Società Biblica in Italia svolge in questa direzione da anni — essa ha assunto un carattere nuo-vo, come si coglie nello scorrere le tante celebrazioni ecumeniche della Parola con commenti a più voci di uno stesso passo biblico; i momenti di preghiera legati strettamente alla lettura e all’ascolto della Sacra Scrittura; il crescere dell’esp erienza dello scambio degli amboni durante le celebrazioni eucaristiche e i culti evangelici, come accade, per esem-pio, a Cagliari, a Modena e a Reg-gio Calabria. La centralità della Parola di Dio richiama inoltre il tema dell’acco-glienza e alimenta anche la dimen-sione spirituale del dialogo, sulla quale, in tanti, anche durante la Settimana, pongono l’accento per indicare una strada che sembra in grado di aiutare a comprendere i nodi che ancora impediscono la piena e visibile comunione tra cri-stiani. In questa direzione è da se-gnalare quanto, in un numero cre-scente di diocesi, come a La Spezia, viene fatto nel campo della musica sacra, come luogo privilegiato per condividere un patrimonio spiritua-le con il quale comprendere la mol-teplicità nell’unità. Anche quest’anno, come avviene dal 1990, la Settimana di preghiera è preceduta, in Italia, dalla celebra-zione della Giornata di riflessione ebraico-cristiana (17 gennaio). Or-mai da qualche anno i cristiani e gli ebrei hanno deciso di dedicare que-sta giornata alla comune riflessione sulle Dieci Parole, alle quali si fa ri-ferimento nell’introduzione al sussi-dio firmata da monsignor Bianchi e dal rabbino Elia Richetti, presidente dell’Assemblea dei rabbini d’Italia. Numerose sono le iniziative, che talvolta si intrecciano e si sovrap-pongono con gli incontri per la Giornata della Memoria (27 gen-naio), come a Lecce; o che si collo-cano fuori della Settimana, come a Brescia. Tra le proposte di gran lun-ga maggioritaria è la tendenza a un commento a due voci sul passo bi-blico, anche se compaiono sempre più dei momenti con i quali favorire una conoscenza diretta delle tradi-zioni ebraiche, con una visita alla Sinagoga, come accade a Cuneo; o anche attraverso la musica, come a Nap oli. tà, in cui si considera come già rea-lizzata una diversità riconciliata. L’ecumenismo cristiano potrà far fronte a questa grande sfida soltanto se non si conformerà al paradigma postmoderno ma se terrà sveglia an-che oggi, con amorevole tenacia, la ricerca dell’unità, poiché senza ricer-ca dell’unità la fede cristiana rinun-cerebbe a se stessa. L’unità è e rima-ne una categoria fondamentale della fede cristiana, sia nella Sacra Scrittu-ra che nella tradizione della Chiesa. Disunità, separazione e divisione so-no, per la Sacra Scrittura, conse-guenze del peccato, a cui viene con-trapposto il messaggio redentore di un’unità fondamentale, come si dice in modo ineguagliabile nella lettera agli Efesini: «Un solo corpo, un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Si-gnore, una sola fede, un solo battesi-mo. Un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mez-zo di tutti ed è presente in tutti» (4, 4-6). La constatazione che, a distan-za di cinquant’anni dall’inizio del concilio, non abbiamo ancora rag-giunto l’obiettivo ecumenico di un’unità nella fede, ci ha fatto co-munque comprendere sempre di più che non siamo noi uomini a forgiare l’unità e che non possiamo definire né la sua forma né il tempo in cui si compirà, ma possiamo soltanto rice-verla in dono. Al riguardo, la pre-ghiera sacerdotale di Gesù ci si pre-senta come un’utile segnavia. Di fat-ti, Gesù non ha comandato l’unità ai suoi discepoli, né l’ha pretesa da lo-ro, ma ha pregato per essa. La pre-ghiera per l’unità è e rimane dunque anche oggi il segno distintivo di ogni sforzo ecumenico. Con la pre-ghiera, esprimiamo la nostra convin-zione di fede che il movimento ecu-menico è opera dello Spirito Santo, che lo ha iniziato, e che dimostre-remmo di avere scarsa fede se non credessimo che lo Spirito lo porterà anche a compimento: quando, dove e come vorrà. Il più profondo fon-damento di fede dell’unità cristiana, ovvero la magna chartadell’ecumeni-smo, ci viene dunque donato nella preghiera sacerdotale di Gesù, con la quale egli invoca l’unità dei suoi di-scepoli, ma volge al contempo lo sguardo oltre la comunità dei disce-poli di allora per abbracciare tutti coloro che, per la loro parola, crede-ranno, come osserva in modo pre-gnante Papa Benedetto XVI: «il vasto orizzonte della comunità futura dei credenti si apre attraverso le genera-zioni, la futura Chiesa è inclusa nel-la preghiera di Gesù. Egli invoca l’unità per i futuri discepoli». Poiché nella preghiera di Gesù sono com-presi anche i cristiani di oggi, anche su di essi si proietta la luce dell’uni-tà impetrata da Gesù ed è proprio dalla preghiera sacerdotale di Gesù che possiamo capire al meglio in co-sa consiste e deve consistere, al livel-lo più profondo, l’impegno ecumeni-co alla luce della fede: se l’unità dei discepoli è la priorità centrale della preghiera di Gesù, l’ecumenismo può essere soltanto un unirsi, da parte di tutti i cristiani, alla sua pre-ghiera, facendo proprio il desiderio che più sta a cuore a Gesù stesso. E se l’ecumenismo ha un motivo e un fondamento non semplicemente in-terpersonale e filantropico, ma realmente cristologico, allora esso non potrà essere altro che partecipa-zione alla preghiera sacerdotale di Gesù. Gesù stesso vuole farci entrare in questa preghiera e vuole mostrarci il cammino sul quale, come cristiani divisi e come Chiese divise, potremo sempre più avvicinarci gli uni agli altri. Riconoscere nella preghiera di Gesù il luogo più interiore della no-stra unità e addentrarci sempre più profondamente in questo fondamen-to di fede dell’impegno ecumenico è un compito urgente del tempo odierno che l’Anno della fede ci chiama ad assumere e ad assolvere, ricordandoci quello che è il grande lascito del concilio Vaticano II.

Kurt Koch
Cardinale presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani
 

© www.osservatoreromano.va - 18 gennaio 2013