Il cielo sopra Bucarest

cceepUn'immagine per l'incontro dei portavoce Ccee in Romania. L'abbraccio che unisce le Chiese europee e si allarga a tutti i popoli del Continente

Paolo Bustaffa - Sir Europa (Bucarest)

  Attorno all’arcivescovo di Bucarest, nel convento dei carmelitani scalzi, ancora da ultimare ma già ricco di presenze, sono i portavoce delle Conferenze episcopali europee: è la sera del 14 giugno e si sta concludendo l’incontro che ogni anno il Consiglio delle Conferenze episcopali europee (Cccee) promuove per coloro che In Europa hanno responsabilità pastorali a livello nazionale nell’ambito della comunicazione.
L’immagine serale offre diversi significati a cominciare da quello del convento che raccoglie e rende viva una memoria segnata da molti martiri - a fine agosto ci sarà la beatificazione del sacerdote Vladimir Ghika torturato e ucciso nelle carceri comuniste - e nello stesso tempo trasmette un messaggio di rinascita e di speranza.
Il cerchio dei portavoce è un abbraccio che unisce le Chiese europee e si allarga a tutti i popoli di Europa nella condivisione della fatica che stanno vivendo nell’attraversare una crisi interminabile.
L’arcivescovo Ioan Robu, risponde alle domande con un linguaggio sereno e severo dove non manca mai il sorriso del Vangelo cioè il realismo cristiano che studia e conosce le sfide di questo momento storico , le affronta e ne cerca la soluzione con le dovute competenze e in questo impegno si fida del Signore della Storia.
La comunicazione della Chiesa in Europa può essere racchiusa anche in questa immagine sulla soglia di un convento di carmelitani scalzi alle porte di Bucarest.
C’è molta vivacità, voglia di approfondire e confrontare pensieri, esperienze , progetti, successi e insuccessi.
Così è stato anche nel le precedenti giornate dell’incontro.
C’è soprattutto la convinzione che l’Europa, dal respiro affannoso e dal passo incerto, per riprendere quota e ritrovare la su anima non ha bisogno di persone stanche, pessimiste, scettiche e rassegnate.
I portavoce ospiti di una Chiesa dell’Est che a buon diritto l’ arcivescovo Robu, presidente della Conferenza episcopale rumena, definisce “giovane” , hanno ribadito che anche per la comunicazione questo non è un tempo per sopravvivere ma è un tempo per rivivere.
Al centro di questa audace avventura sono le grandi questioni di oggi: dalla libertà religiosa e dei diritti dell’uomo alla natura della famiglia, dalla privacy e dal copyright alle periferie del mondo e dell’anima, dalle cause di una crisi non solo economica alla tutela della vita, con l’eco vibrante della campagna “Uno di noi” da rafforzare con riflessioni e gesti concreti che oggi si esprimono anche con una firma a sostegno in tutti i Paesi di Europa.
In sottofondo, a fare da filo conduttore sono le parole di papa Francesco ai comunicatori: “Il vostro lavoro necessita di studio, di sensibilità, di esperienza, come tante altre professioni, ma comporta una particolare attenzione nei confronti della verità, della bontà e della bellezza; e questo ci rende particolarmente vicini, perché la Chiesa esiste per comunicare proprio questo: la Verità, la Bontà e la Bellezza ‘in persona’. Dovrebbe apparire chiaramente che siamo chiamati tutti non a comunicare noi stessi, ma questa triade esistenziale che conformano verità, bontà e bellezza”.
Si aggiunge un monito del card. Roger Etchegaray, uno storico presidente del Ccee: “L’Europa può essere sconfortante se si pensa alla deriva tecnocratica delle sue istituzioni tagliate fuori dalla vita dei cittadini. Manca sul campo una pedagogia dell’Europa e lo sforzo richiesto non sarà accettato se non quando verrà ritenuto giusto e utile”.
E la Chiesta madre e maestra in umanità avverte anche in Europa questa sua specifica responsabilità educativa che ha come sua prima linea la comunicazione , antica e moderna, intesa come servizio alla coscienza.
I portavoce delle Chiese europee, con l’umiltà di chi prende atto delle ferite, con la responsabilità di chi vuole sanarle e con la competenza che non confonde la creatività con l’improvvisazione, sono tornati alle loro Chiese con una marcia in più sapendo che la storia europea non è “un fiume tranquillo” come ricorda spesso Jacques Delors. Ed è ancora questo europeo di alta statura politica, culturale morale a ribadire che “il futuro dell’Europa è prendere il largo!”.
Così quella sera alla soglia del convento, là dove il mondo si incontra con la Chiesa, guardando il cielo sopra Bucarest, risuona il “duc in altum” di Giovanni Paolo II che nel cuore ha sempre avuto l’Europa al punto di chiedere di mandare cristiani competenti e preparati nelle Istituzioni europee perché quella distanza non solo politica che oggi le separa dai cittadini venisse colmata o almeno ridotta.
Un atto di amore e di fiducia che la Chiesa pone, anche attraverso l’intelligenza dei responsabili della sua comunicazione, come alternativa realistica e credibile all’euroscetticismo e all’europessimismo.

© www.agensir.it - 17 giugno 2013