Il Natale di Gesù nelle terre dell'islam

Il vescovo vicario apostolico d’Arabia racconta come i tanti fedeli attendono e celebrano la nascita del Signore
di Paul Hinder
Chi viene dall'Europa e visita gli Emirati Arabi Uniti ha la possibilità di vedere molti cantieri che sono sicuramente tra i più grandi e spettacolari nel mondo. Molti semplicemente si stupiscono quando vedono tante meraviglie in un Paese dove il denaro non sembra mancare. Un record dopo l'altro: la torre più alta del mondo; l'aeroporto più grande del mondo; il centro commerciale più esteso; la metropolitana più moderna, e così via. Chi percorre in macchina il deserto sulle splendide autostrade può vedere ogni tanto grandi cartelli che annunciano: «Coming soon!», «Verrà tra poco!». Guardando la pubblicità si ha l'impressione di un "avvento" permanente, perché c'è sempre qualcosa di nuovo che viene promesso, che si sta aspettando o che "si apre". Si annuncia sempre che sarà qualcosa che renderà la gente più felice. Sfortunatamente, questa è una facciata che nasconde un'altra realtà, e non mostra quello che può realmente rendere gli uomini pieni di gioia.
È come nel racconto di Luca: nei palazzi di Gerusalemme non si sa che cosa capita sui campi di Betlemme. Così è ancora nei nostri tempi: i palazzi lussuosi delle nuove megacittà del Golfo nascondono i complessi residenziali per i lavoratori, molto spesso lontani dalle autostrade. In quei labour camps non si trova più nulla dello splendore dell'"Emirates Palace" di Abu Dhabi o del "Burj Al Arab" di Dubai.
      Però, il racconto della nascita di Gesù trova il suo posto piuttosto in quei "campi" di lavoratori che nei palazzi lussuosi. Non furono gli accampamenti dei pastori il luogo della prima rivelazione dell'incarnazione del Verbo di Dio? I canti e le melodie di Natale nei centri commerciali non fanno apparire il Figlio di Dio in mezzo a noi. Lui appare piuttosto in quei gruppi di preghiera che si formano spontaneamente tra i lavoratori, i quali pregano insieme in luoghi poveri. Sono stato recentemente in una di queste residenze e ho incontrato semplicissimi lavoratori che vivono in sei in una stanza e che mi hanno raccontato con occhi pieni di gioia e con orgoglio come accolgono il Signore nella semplice preghiera dei loro gruppi. I più fortunati hanno forse la disponibilità di un mezzo di trasporto e possono andare alla messa di mezzanotte o durante il giorno di Natale. Sono migliaia e migliaia quelli che celebrano con gioia e semplicità il Natale del Signore, non solo ad Abu Dhabi e a Dubai, ma in tanti altri posti della Penisola. In quei giorni i terreni delle parrocchie diventano ampi saloni aperti a tutti i fedeli. Ci sono anche le persone che durante l'anno non hanno mai un giorno libero e quindi non possono andare alla messa. Sembra che a Natale molti padroni (e padrone) concedano ai loro impiegati almeno qualche ora libera. È questa gente che riempie le piazze davanti alle chiese e le aule delle parrocchie, dove possono incontrarsi e trovare anche qualcosa da mangiare. Chiunque si avvicina a queste comunità, che sono in qualche modo come quella dei pastori di Betlemme, può dire: «Oggi è nato un Salvatore che è il Cristo Signore». A Dubai, ad Abu Dhabi, a Muscat, a Doha, nel Bahrein, a Sana'a e in tanti altri posti si realizza ciò che scrive san Paolo a Tito: «Si sono manifestati la bontà di Dio, Salvatore nostro, e il suo amore per gli uomini».
      È vero che da noi mancano l'albero di Natale (eccetto l'orribile surrogato di plastica) e quelle belle tradizioni natalizie, ma c'è qualcosa di più profondo che vale la pena di scoprire. C'è quella fede nel Figlio di Dio che non fa caso ai ricchi e ai poveri, ai potenti e ai deboli, ma a ogni persona che ripone la propria fiducia incondizionata in Lui. Ogni tanto sono commosso nel vedere i filippini, gli indiani, i pachistani o gli arabi dei Paesi del Levante mettersi in ginocchio davanti al Bambino Gesù nel presepio e baciare i suoi piedi. È quel gesto che risponde al canto di Natale: «Venite, adoriamo!». Non è forse Lui che sulla croce ha portato via il peccato del mondo? Non sono forse loro quelli ai quali è promesso il Regno? Dobbiamo imparare di nuovo dai poveri e da quelli che non hanno nessun potere che cosa vuol dire: Dio si è fatto uomo ed è diventato uno di noi, per sempre!
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