L’enciclica del Santo e grande concilio ortodosso Dalla Chiesa al mondo

03 cristo pantocratorda Chania HYACINTHE DESTIVELLE

Il Santo e grande concilio della Chiesa ortodossa, oltre ai sei documenti del suo ordine del giorno, ha pubblicato un testo importante chiamato “enciclica”, un titolo inatteso. Inizialmente il regolamento prevedeva la redazione di un “messaggio” da parte di un comitato speciale, una settimana prima della convocazione del concilio. Esaminato e approvato dalla sinassi dei primati venerdì 17 giugno, il messaggio è stato poi sottoposto al concilio.
Come il patriarca Bartolomeo aveva spiegato nella sua prolusio della prima sessione, il fine di questo documento era fondamentalmente di affrontare le questioni “esterne” della Chiesa orto- dossa, essendo quelle interne oggetto dei documenti conciliari. Il comitato incaricato del messaggio, presieduto dal metropolita Emanuele di Francia, aveva fatto sapere fin dall’11 giugno che «il messaggio non solo avrà un impatto sulla Chiesa ortodossa nel suo insieme, ma segnerà anche una tappa storica nella storia del cristianesimo». Unico documento a non essere stato preparato dalle conferenze panortodosse preconciliari, il testo, lungo quasi quanto tutti gli altri documenti messi insieme, affronta in sette capitoli numerosi temi: la Chiesa, la missione, la famiglia, l’educazione, le sfide contemporanee, la globalizzazione e il dialogo. Nel corso del concilio è stato perciò ribattezzato “enciclica”, mentre un “messaggio” più breve ha riassunto le principali decisioni e i temi dell’assemblea conciliare. L’enciclica non si rivolge solo ai fedeli della Chiesa ortodossa, ma anche a tutti «coloro che un tempo erano lontani e sono diventati i vicini» (cfr. Efesini , 2, 13). Il primo capitolo, intitolato «La Chiesa in quanto Corpo di Cristo, icona della santa Trinità», sviluppa, uno dopo l’altro, i temi della Chiesa come «comunione divino-umana a immagine della santa Trinità», della Chiesa come Corpo di Cristo, della Chiesa come concilio, e infine della santità. Per quanto riguarda la conciliarità, il testo sottolinea che «la Chiesa è di per sé un concilio», e, oltre che al concilio di Gerusalemme e ai concili ecumenici, fa riferimento ai «concili più recenti dotati di un’autorità universale», soprattutto ai concili palamiti del XIV secolo e a diversi concili costantinopolitani dei secoli X V , XVII e XIX , il che potrebbe avere conseguenze sui rapporti della Chiesa ortodossa con le altre Chiese. Il capitolo termina affermando che «il principio di autocefalia non può operare a detrimento del principio di cattolicità e di unità della Chiesa», giustificando così la creazione delle assemblee episcopali nella diaspora ortodossa. Il capitolo su «La missione della Chiesa nel mondo» ha quasi lo stesso titolo del documento conciliare dedicato a questo tema, ma il suo contenuto è molto diverso. Non si tratta qui dell’antropologia cristiana ma dell’apostolato, il cui fine è di «ecclesializzare il mondo attraverso l’istituzione di nuove Chiese locali». Tale missione deriva dalla partecipazione all’eucaristia che porta il cristiano a prolungare la «liturgia oltre la Divina liturgia». Parallelamente all’evangelizzazione, si presenta come necessaria «la rievangelizzazione del popolo di Dio nelle società contemporanee secolarizzate». Il capitolo intitolato «La famiglia, icona dell’amore di Cristo per la sua Chiesa», affronta temi vicini a quelli del documento conciliare sul matrimonio, ma da un punto di vista più spirituale: la famiglia è una «piccola Chiesa» (san Giovanni Crisostomo), il matrimonio è «un laboratorio di vita nell’amore nutrito dalla Chiesa», la crisi attuale di queste istituzioni viene spiegata con una «crisi della libertà». Un intero paragrafo è dedicato ai giovani, che «non sono solo il “futuro” della Chiesa, ma sono anche l’espressione attiva della sua vita al servizio dell’uomo e di Dio nel presente». Un breve capitolo è poi dedicato a «L’educazione secondo Cristo». Il sistema educativo oggigiorno dominante, viene detto, è «individualista, secolariz- zato e alla sola ricerca della felicità», mentre dovrebbe «riguardare non solo ciò che l’uomo è, ma anche ciò che l’uomo deve essere». Il capitolo seguente enumera diverse «sfide contemporanee», indicate come secolarismo, sviluppo scientifico, bioetica, consumismo, crisi ecologica, le cui radici sono «spirituali e morali». Risolvere questa ultima questione esige «non solo fare penitenza per il peccato di sfruttare a oltranza le risorse naturali del pianeta», ma anche «praticare l’ascesi come antidoto al consumismo, al culto dei bisogni e al sentimento del possesso». Il sesto capitolo, intitolato «La Chiesa di fronte alla globalizzazione, alla violenza in quanto fenomeno estremo e all’immigrazione», affronta il tema della globalizzazione. In modo originale, propone come modello alternativo l’organizzazione della Chiesa ortodossa: «Dinanzi al processo di “omogeneizzazione” riduttiva e impersonale promosso dalla globalizzazione, di fronte anche alle aberrazioni dell’etno-filetismo, la Chiesa ortodossa propone di proteggere l’identità dei popoli e di rafforzare il carattere locale. Come modello alternativo per l’unità dell’umanità, presenta la sua organizzazione strutturata, basata sull’eguale valore delle Chiese locali». In questo stesso capitolo si ricordano anche i temi della «economia sostenibile» e del rapporto tra Chiesa e Stato, che «deve salvaguardare la singolarità della Chiesa e quella dello Stato, e assicurare la loro franca cooperazione a profitto dell’unica dignità umana da cui scaturiscono i diritti dell’uomo». La Chiesa ortodossa ha nei loro riguardi «un approccio critico», «temendo che il diritto individuale degeneri in individualismo» e ricordando che «nessuno ha tanto rispettato l’essere umano e si prende cura [dell’uomo] come Cristo e la sua Chiesa». Il capitolo ricorda infine il fondamentalismo religioso, che «costituisce una manifestazione mortale della religiosità», la necessità del dialo- go interreligioso, la persecuzione dei cristiani, la crisi dei rifugiati e degli immigrati, ai quali si deve estendere «la filantropia della Chiesa». Un ultimo capitolo, intitolato «La Chiesa; testimoniare nel dialogo», è dedicato al dialogo con i «cristiani eterodossi». Tale dialogo è giustificato dalla testimonianza e dall’irradiamento dell’ortodossia: «mediante questo dialogo, gli altri cristiani ora conoscono meglio l’ortodossia e la purezza della sua tradizione. Sanno anche che la Chiesa ortodossa non ha mai accettato il minimalismo teologico o la messa in dubbio della sua tradizione dogmatica e del suo ethos evangelico». Certo, è un peccato che l’enciclica giustifichi il dialogo ecumenico solo attraverso la «testimonianza ortodossa» tra gli «eterodossi», che non faccia alcuna allusione al suo fine che è l’unità visibile dei cristiani, e non menzioni neppure i progressi del dialogo teologico internazionale che da diversi decenni esiste tra le nostre Chiese. Va tuttavia reso omaggio a questa enciclica del Santo e grande concilio, che resterà certamente uno dei suoi frutti più importanti. Per la prima volta, le Chiese ortodosse parlano con una sola voce non soltanto delle questioni che le preoccupano, ma anche di quelle che preoccupano l’intera umanità. Mentre i documenti conciliari vertono essenzialmente su questioni interne alla Chiesa ortodossa — per esempio la diaspora, l’autonomia, il digiuno — l’enciclica ne offre una visione teologica più ampia, generalmente più positiva e meno giuridica. Affronta anche molte questioni “moderne” come l’educazione, l’ecologia, i rapporti tra Chiesa e Stato o la bioetica, che non facevano formalmente parte dell’ordine del giorno del concilio. Come mostrano i titoli dei suoi capitoli, in cui appare continuamente il termine Chiesa, l’enciclica affronta tutti questi temi sempre da un punto di vista ecclesiologico, anzi ecclesiocentrico. È questo un tratto indubbiamente proprio dell’ortodossia, per la quale, come dice l’enciclica, il mondo intero è chiamato a essere «ecclesializzato».

© Osservatore Romano - 29 giugno 2016