Il Cardinale Leonardo Sandri, Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, in occasione del venticinquesimo delle relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e la Repubblica di Armenia

Chiesa di San Nicola da Tolentino del Pontificio Collegio Armeno in Urbe il SismografoAlle ore 18 di oggi, mercoledì 20 settembre, il Cardinale Leonardo Sandri, Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, ha presieduto la Celebrazione Eucaristica nel venticinquesimo delle relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e la Repubblica di Armenia, presso la Chiesa di San Nicola da Tolentino del Pontificio Collegio Armeno in Urbe. Hanno concelebrato S.E. Mons. Boutros Maryati, Arcivescovo Armeno cattolico di Aleppo (Siria), il Rev.mo Mons. Giorgio Chezza, Incaricato d'Affari a.i. della Nunziatura Apostolica in Italia, Padre Lorenzo Lorusso, Sotto-Segretario del Dicastero Orientale, il Rettore del Collegio armeno e altri presbiteri. Al termine della celebrazione, l'Ambasciatore di Armenia presso la Santa Sede, S.E. Minasyan, ha rivolto un indirizzo di saluto, mentre nel cortile, dopo l'esecuzione degli inni nazionali, ha preso la parola l'Ambasciatore di Armenia presso il Quirinale. Per la Segreteria di Stato Vaticana, sono giunti l'Assessore, mons. Paolo Borgia, e il Capo del Protocollo, Mons. Bettancour. Numerosa la delegazione del Corpo Diplomatico, di Parlamentari italiani e di Autorità Militari.
Omelia del card. Sandri
Eccellenza, Ambasciatore Minasyan,
Eccellenza, Mons. Marayati, Arcivescovo di Aleppo,
Reverendissimo Mons. Chezza, Incaricato d’Affari a.i. della Nunziatura Apostolica in Italia,
Reverendo Rettore del Pontificio Collegio Armeno,
Eccellenze,
Reverendi sacerdoti, religiosi e religiose,
Sorelle e fratelli nel Signore!
1. Ci ritroviamo questa sera per celebrare il gesto più alto che sia concesso a noi uomini pellegrini su questa terra, quello di essere resi partecipi, nella grazia dello Spirito Santo, dell’unico e perfetto sacrificio di Cristo che dona la vita sulla Croce. La morte però non ha potuto trattenere la sua esistenza totalmente donata al Padre e ai fratelli: Egli è il Vivente, Risorto il primo giorno dopo quel sabato di duemila anni fa. Lo scorrere del tempo umano dunque è divenuto pienezza abitata dalla Presenza certa e provvidente di Colui che regge le sorti dei popoli e delle nazioni. Siamo in comunione col Santo Padre Francesco, con Sua Beatitudine Ghabroyan e con il Patriarca Catholicos Karekin II.
2. In modo particolare si leva oggi il nostro canto di lode al Signore per quel particolare tratto di cammino costituito dai venticinque anni delle relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e la Repubblica di Armenia. Essa è costellata di tanti punti luminosi, come stelle del cielo, ciascuno dei quali segna una tappa dei nostri incontri; ne cito solo alcuni, iniziando dai Viaggi Apostolici di San Giovanni Paolo II nel 2001 e di Papa Francesco lo scorso anno, le sette visite dei Presidenti della Repubblica in Vaticano, inaugurate con S.E. Ter Petrosyan nel 1992, poi le due, nel 1999 e nel 2005 di S.E. Kocharyan, e infine le quattro (2011,2013,2014,2015) dell’attuale Presidente, S.E. Sargsyan; la grande celebrazione dell’aprile 2015 e la proclamazione di San Gregorio di Narek Dottore della Chiesa Universale, l’invio di un Rappresentante Speciale del Santo Padre alla consacrazione del Santo Myron a Ethchmiadzin, ogni sette anni, le visite dei Catholicos Vasken, Karekin I e II ai Papi, senza dimenticare la creazione dell’Ordinariato per i fedeli Armeno cattolici in Europa Orientale, con sede in Armenia, a cui tanto contribuì la stima e l’amicizia tra san Giovanni Paolo II e il Catholicos Vasken. È una lunga carrellata, ma ciascuno di questi eventi dischiude in chi li ha vissuti una memoria grata: ogni passo è stato preparato da incontri e dialoghi che hanno consentito di stabilire legami profondi di stima e di amicizia che hanno reso più bello e più ricco, umanamente e spiritualmente, il rapporto diplomatico.
3. Consideriamo queste pagine di amicizia come un vero dono di Dio, attraverso la disponibilità e l’accoglienza di noi uomini e di coloro che ci hanno preceduto: non potrebbe accadere che così, tra i discepoli dell’unico Signore e Maestro, Cristo Gesù. La pagina della lettera di san Paolo a Timoteo infatti contiene un frammento di un inno liturgico della Chiesa primitiva, con una semplice ed efficace professione di fede: “fu manifestato in carne umana e riconosciuto giusto nello Spirito, fu visto dagli angeli e annunciato tra le genti, fu creduto nel mondo ed elevato nella gloria”. Con particolare commozione andiamo col pensiero alla cattedrale di Santa Etchmiadzin, il cui nome significa “discese l’Unigenito”: essa, cuore irradiante della fede e del popolo armeno, con la sua costruzione diventa quasi una rappresentazione plastica della professione di fede ascoltata dall’apostolo Paolo. Il Verbo di Dio che si è fatto carne pone in una luce nuova e definitiva anche il mistero della nostra umanità, il legame salvifico di donazione che egli stabilisce diventa sorgente di altri legami quotidiani, dentro i quali impariamo a riconoscerci a partire dal dono di cui Dio ci ha resi custodi e testimoni, e in Lui anche la nostra carne, la nostra esistenza umana, è redenta e resa luminosa. Come ha affermato San Giovanni Paolo II nel 2001 “col “Battesimo” della comunità armena, […] nasce un’identità nuova del popolo, che diverrà parte costitutiva e inseparabile dello stesso essere armeno. Non sarà più possibile da allora pensare che, tra le componenti di tale identità, non figuri la fede in Cristo, come costitutivo essenziale”: tale eredità però -  ben lungi dall’essere soltanto un vanto del passato - mette in moto il cuore e la vita degli uomini e delle donne armene anche in questo tempo, come quelle di noi tutti. È la potenza stessa di Dio ricevuta nel Battesimo che ci spinge, ci mette fretta - “caritas Christi urget nos”- a vivere una vita conforme a quella del Figlio di Dio. Essa è chiamata a custodire il dono della fede, testimoniata lungo i secoli da schiere di martiri figli delle nazione e della chiesa armena: il motto antico di Tertulliano “sanguis martyrum est semen Christianorum” ci interroga sulla nostra capacità non soltanto di custodire la loro memoria, ma di vivere con passione e generosità la stessa fede in Cristo per la quale essi effusero il loro sangue. La nostra esistenza sia animata dalla carità, che sempre arriva prima, precede, apre strade e costruisce ponti: pensiamo in tal senso al gesto di San Giovanni Paolo II, che volle venire in soccorso del popolo armeno devastato dal terribile terremoto del 1988: le relazioni diplomatiche non erano ancora stabilite, eppure la carità ha aperto una strada luminosa che ancora oggi è simboleggiata dall’ospedale “del papa” -  come è soprannominato – ad Ashots. Rimaniamo infine fedeli alla vocazione di essere uomini e donne di speranza: memori del passato, ma con le radici nel futuro di Dio: ed esso non può che esser un futuro di giustizia, di riconciliazione e di pace. Nel suo viaggio di ritorno dall’Armenia, il Santo Padre Francesco salutava con speranza l’incontro avvenuto tramite il Presidente russo tra i Presidenti armeno ed azero; ci associamo al medesimo auspicio pensando all’analoga occasione, poche settimane fa, che ha visto incontrare nuovamente con Sua Santità Kyrill di Mosca il Catholicos Patriarca Karekin II e lo Sheikh dell’Islam azero: insieme diciamo con forza che non c’è alternativa alla pace, e va posto termine ad ogni dolore e sofferenza, a maggior ragione quando essa colpisce la popolazione civile inerme. Idealmente sogniamo e desideriamo che le colombe lanciate da Papa Francesco e dal Catholicos Karekin II al monastero Khor Virap - che significa letteralmente “prigione in profondità”, rievocando la prigionia patita da san Gregorio l’Illuminatore, attraversino le profondità delle divisioni, degli odi e delle guerre, si librino nel cielo alto di Dio, e tornino recando in bocca un ramoscello di pace per tutte le popolazioni del Caucaso e dell’Anatolia.
4. Affidiamo tutti i nostri desideri di bene, la nostra supplica per il Santo Padre Francesco e per tutti i figli dell’Armenia, all’intercessione della Tutta Santa Madre di Dio, Maria Santissima, invocata così dal Narek: “rifugiandomi nelle protettrici ali dispiegate delle tue preghiere, con speranza scevra da ogni titubanza ho fiducia di vivere. Assisti con le tue braccia in preghiera, tu che sei confessata madre dei viventi.. intercedi, perora, supplica poiché, insieme alla tua purezza ineffabile, credo pure nell’accoglienza della tua parola.” Amen.