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La solida tradizione ecumenica degli ortodossi romeni

di Serafim Romul Joanta
Arcivescovo metropolita di Germania del Patriarcato di Romania

ortodossi-rumeniPoiché uno studio approfondito su questo tema, "La paternità spirituale e il mondo contemporaneo", richiederebbe un'ampia informazione sulla vita della Chiesa sia in Oriente che in Occidente, a causa della mancanza di tempo per una tale ricerca, nella mia presentazione farò soprattutto riferimento alla Chiesa ortodossa in Romania. Sono tuttavia convinto che il caso della Romania e della sua Chiesa ortodossa, largamente maggioritaria, non sia isolato e che la tradizione della paternità spirituale sia la stessa, più o meno viva, in tutte le Chiese ortodosse locali. L'Occidente, invece, ha conosciuto, a questo riguardo, una sorta di "rottura della tradizione"; tuttavia la paternità spirituale resta una realtà, per quanto diminuita nel monachesimo, soprattutto benedettino.
A questo punto, vorrei citare padre Placide Deseille, che nel suo libro Nous avons vu la vraie lumière ci dà questa valutazione del monachesimo come fonte di paternità spirituale:  "Il monachesimo non è mai divenuto una semplice istituzione:  una catena ininterrotta di autentici spirituali gli ha preservato il suo carattere profetico, ovunque è rimasto fedele a se stesso". Il monachesimo occidentale non fa eccezione. Per questo, padre Deseille conclude:  "Sino a oggi, nella Chiesa cattolica di Occidente, il monachesimo è rimasto il luogo ove il radicamento di questa Chiesa nelle tradizioni comuni dell'epoca patristica è restato più percettibile".


 Dopo queste osservazioni preliminari, vorrei cominciare la mia relazione presentandovi il ritratto spirituale di uno dei più grandi "spirituali" della Romania del xx secolo, padre Paisij di Sihla, morto nel 1990, nel monastero di Sihastria. Non compie miracoli, non predica e nessuno lo ha ascoltato predicare in chiesa. Non è neppure un bravo cantore, come celebrante non è dotato; ha una voce tenue, benché chiara e gradevole. Malato più che sano. Non è né teologo né diplomato o licenziato in una qualsiasi disciplina. Ha tuttavia un dono particolare, che potrebbe spiegare, almeno parzialmente, il suo "segreto" spirituale. Chi lo lascia al monastero dopo avergli fatto visita, parte con la convinzione che i suoi peccati sono rimessi. E questo accade perché lui stesso è fermamente convinto di aver assunto dinanzi a Dio la responsabilità del peccato al posto dell'altro. In qualche modo, rimane lui debitore dinanzi a Dio al posto dell'altro.
E ancora:  l'archimandrita Ioanichie Balan, morto nel 2007, del monastero di Sihastria, che si può chiamare l'Optina di Romania, nel 1980 ci diede un grande "Paterikon" romeno con trecento vite e insegnamenti dei grandi spirituali, uomini e donne, conosciuti nella storia della Chiesa ortodossa in Romania. Nella seconda metà del XX secolo, dunque dal 1950 al 1980, enumera trentuno spirituali con le loro vite e insegnamenti, tutti morti in questo periodo. Lo stesso padre Ioanichie, nel 1984, ci diede anche due volumi, contenenti dialoghi spirituali con quasi cento grandi spirituali, quasi tutti oggi addormentatisi nel Signore. Questi dialoghi contengono un'enorme ricchezza di sapienza nello spirito della tradizione, facendo sempre riferimento alla realtà di oggi.
Ma cosa resta oggi di questa fioritura monastica dovuta a tali padri spirituali, che riposano tutti nel Signore, tranne qualche eccezione? Penso molto poco. Viviamo oggi in Romania una crisi molto grande non solo della vita monastica ma della vita della Chiesa in generale, dovuta proprio alla mancanza di padri spirituali. Durante una dozzina di anni, dopo la caduta del comunismo, abbiamo conosciuto una vera esplosione della vita monastica per quel che riguarda il numero delle vocazioni e dei nuovi monasteri e delle "skiti".
Nell'entusiasmo generale, dopo quarantacinque anni di regime ateo, molti vescovi, presbiteri e anche laici volevano costruire un monastero o almeno una "skiti". Così il numero dei monasteri e delle "skiti" è salito vertiginosamente. Ma oggi si rivela sempre di più che questo entusiasmo, per quanto sincero, non ha avuto un fondamento realistico. Infatti, non si può edificare un'autentica comunità soltanto con giovani senza alcuna esperienza della vita monastica, come era il caso della maggior parte di questi nuovi monasteri e "skiti". Non è allora sorprendente vedere come si accresce sempre di più l'instabilità di questi giovani e che alcuni lasciano la vita monastica e ritornano nel mondo. A questa instabilità - e da qualche anno anche una mancanza dolorosa di vocazioni - contribuisce anche lo spirito di questo mondo che invade sempre di più i monasteri.
Un altro vero problema è la penuria di cappellani per i monasteri femminili. Si trova a fatica un monaco presbitero che celebri gli uffici e l'eucaristia in questi monasteri. Spesso per la confessione, le monache chiamano degli "ieromonaci" più anziani e più esperti. È una situazione anormale, soprattutto se si pensa che in Romania la confessione precede ciascuna comunione eucaristica.
Vorrei abbordare anche, di passaggio, l'atteggiamento di alcuni padri spirituali che ho conosciuto davanti all'ecumenismo. Come si sa, i monaci del Monte Athos sono in generale anti-ecumenici, poiché vedono nel dialogo ecumenico una sorta di mercanteggiamento della verità confessata dalla Chiesa ortodossa. L'influenza del Monte Athos è molto grande in tutti i Paesi a maggioranza ortodossi, dove ci sono degli ambienti anti-ecumenici molto aggressivi. La Romania non fa eccezione. L'anti-ecumenismo, come si manifesta oggi, è una forma di fanatismo religioso. Infatti, nella gerarchia ortodossa nessuno ammette il compromesso in materia di fede. Ora, il fanatismo religioso è una negazione della religione stessa. Perciò, per me, è inimmaginabile un'ortodossia fanatica, militante, rivoluzionaria, benché abbia difeso nel corso della storia la verità evangelica a prezzo di innumerevoli sofferenze e martiri.
Vorrei vedere, invece, un'ortodossia missionaria, aperta, duttile, capace di testimoniare la propria ricchezza mistica. Oggi ciascuna confessione storica ha la propria teologia e la propria pratica liturgica ben precisate e i fedeli vi sono attaccati, se non con molta consapevolezza, almeno per l'inerzia della tradizione. La Chiesa ortodossa ha la coscienza di essere "una, santa, cattolica e apostolica". È la continuazione storica della Chiesa indivisa dei primi secoli. Custodisce la pienezza della verità e della vita in Cristo. Di conseguenza, il suo ruolo nel dialogo ecumenico è proprio quello di testimoniare questa pienezza. Ma non in modo puramente teorico, intellettuale, poiché allora la verità diviene un idolo. Ciò che disgraziatamente spesso è il caso nel dialogo con gli altri. E non solo da parte ortodossa!

(©L'Osservatore Romano - 3 ottobre 2008)