Il dono dell’ospitalità · Aperto a Madrid con il messaggio del Papa l’incontro europeo dei giovani di Taizé ·

welcome fe5f51afb91873a801c010f38ba0afca 1Fare posto al Signore nella propria vita e scoprire che, grazie all’amicizia con Gesù, «è possibile vivere un’ospitalità generosa, imparare ad arricchirsi delle differenze degli altri, far fruttificare i talenti per divenire costruttori di ponti fra

le Chiese, le religioni e i popoli»: è l’invito rivolto da Papa Francesco alle migliaia di giovani della comunità di Taizé che da oggi al 1° gennaio, a Madrid, partecipano al quarantunesimo incontro europeo, quel “pellegrinaggio di fiducia sulla terra” così fortemente voluto dal fondatore, fratel Roger. In un messaggio a firma del cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, il Pontefice ricorda il tema al centro del raduno, l’ospitalità appunto, il recente sinodo dei giovani in Vaticano, l’incoraggiamento a non perdere mai «il gusto di godere dell’incontro, dell’amicizia, il gusto di sognare insieme, di camminare con gli altri», per concludere esortando a seguire l’esempio di Maria, il cui amore è «pieno di audacia e tutto proiettato verso il dono di sé», e ad accettare «la sfida dell’ospitalità, facendovi soprattutto prossimi a questa umanità ferita e a coloro che sono scartati, rigettati ed esclusi, piccoli e poveri».

È la prima volta, dal 1978 a oggi, che l’incontro europeo si tiene a Madrid. In precedenza la Spagna aveva accolto quattro volte i giovani di Taizé ma mai nella capitale: a Barcellona nel 1979, nel 1985 e nel 2000, a Valencia nel 2015. I partecipanti, come tradizione, sono ospitati presso famiglie e parrocchie della città. Il luogo dove si svolgeranno gran parte delle attività è l’Ifema, la Feria de Madrid. Il programma prevede la preghiera del mattino nella parrocchia ospitante, poi piccoli gruppi di condivisione e incontri con le persone coinvolte nella vita della comunità locale. Seguono momenti di raccoglimento nelle chiese del centro, workshop pomeridiani su temi legati all’impegno sociale, alla fede e alla vita interiore. Poi, alla sera, la preghiera tutti insieme all’Ifema, accompagnata dalla meditazione del priore, fratel Alois. Il 31 dicembre, alle ore 23, ci sarà la veglia di preghiera per la pace nel mondo, seguita dalla “festa delle nazioni” nelle parrocchie.

Alla vigilia dell’incontro Alois ha diffuso come consuetudine la lettera dell’anno, intitolata N’oublions pas l’hospitalité, che accompagnerà i ragazzi per tutto il 2019. Contiene cinque proposte, cinque buoni propositi: scoprire in Dio la fonte dell’ospitalità, stare attenti alla presenza di Cristo nella propria vita, accogliere i doni ma anche i propri limiti, trovare nella Chiesa un luogo di amicizia, esercitare un’ospitalità generosa. «Di fronte alla grande sfida posta dalle migrazioni — scrive fra l’altro il priore di Taizé — facciamo in modo che l’ospitalità possa diventare un’opportunità non solo per coloro che sono accolti ma anche per quelli che accolgono. Gli incontri personali sono indispensabili: ascoltiamo la storia di un migrante, di un rifugiato. Incontrare chi viene da altrove ci permetterà anche di capire meglio le nostre radici e di approfondire la nostra identità».

Oltre a Papa Francesco hanno inviato il loro messaggio molti altri rappresentanti religiosi. «Nella Chiesa ortodossa — afferma il patriarca ecumenico Bartolomeo — la concezione teologica del divino è un’immagine di Dio come incontro e comunione, come ospitalità e inclusione. È per questo che l’icona tradizionale del Dio-Trinità è una rappresentazione di tre estranei sotto le sembianze di angeli accolti da Abramo sotto la quercia di Mamre, come descritto nel capitolo 18 della Genesi. Non li vedeva come un pericolo o una minaccia. Al contrario, egli spontaneamente e apertamente condivise con loro la sua amicizia e il suo cibo. L’ospitalità è un dono e una grazia». Con Taizé, scrive il segretario generale del Consiglio ecumenico delle Chiese, reverendo Olav Fykse Tveit, «vediamo che l’ecumenismo non consiste solamente nel gestire le differenze o nel superare antiche divisioni fra cristiani» ma «significa costruire una comunione, un’amicizia o koinonìa fondata sulla nostra relazione con Dio attraverso Cristo, e avere un ardente desiderio di lavorare per la giustizia nel mondo». E per l’arcivescovo di Madrid, cardinale Carlos Osoro Sierra, «senza questa esperienza di fraternità, senza abbracciare il fratello come ci abbraccia Dio, non è possibile costruire l’Europa. Saremo divisi, ognuno sul proprio territorio, con delle frontiere, e senza i ponti che il Signore chiede a noi tutti di edificare». (giovanni zavatta)

© Osservatore Romano  28.12.2018